Per far ripartire l’Europa il Quantitative Easing da solo non basta

 

Ripresa e consumi – Il piano BCE che porta il cavallo alla fontana

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 25 gennaio 2015

Tutti gli inverni a Davos, in mezzo alle montagne svizzere, i vertici della politica mondiale si trovano a discutere sui nostri destini insieme a banchieri centrali, a grandi imprenditori, a uomini della finanza e a qualificati guru dell’economia e delle nuove tecnologie. Una miscela abbastanza singolare nella quale i dibattiti politici e conoscitivi si alternano alla preparazione di nuovi affari. Un’occasione unica per annusare l’aria (che tra l’altro nelle montagne svizzere è abbastanza buona), per trovare idee per il futuro e confrontarsi in modo riservato e inusuale con la classe dirigente di tutto il mondo. Insomma un bel supermercato di idee e di potere.

Nelle scorse edizioni ci si esibiva anche in spericolate previsioni sul futuro, esercizio su cui si   adotta oggi una maggiore prudenza, dati i ripetuti errori del passato quando fu ripetutamente prevista l’imminente fine della deflazione giapponese e un rapido arrivo di un boom europeo. Il tema di quest’anno, dal vago titolo “il nuovo contesto globale“, risultava quindi tale da permettere ai partecipanti di sbizzarrirsi senza troppo compromettersi riguardo al futuro.

Si è parlato quindi di tutto, delle crisi geopolitiche di Ucraina e del Medio Oriente, dei cambiamenti climatici, delle difficoltà economiche di Brasile e Russia, del prezzo del petrolio, delle nuove prospettive della tecnologia, di Ebola, del mercato dell’arte e di tanto altro. Si farebbe forse più presto ad elencare gli argomenti che non sono stati trattati piuttosto che quelli che lo sono stati.

Mi permetto tuttavia di riflettere su un paio di cambiamenti rispetto al passato che sono degni da essere messi in rilievo.

Il primo riguarda il fronte comune che si è creato nei confronti dell’ISIS e del terrorismo. Gli attentati di Parigi hanno segnato un radicale allontanamento da sentimenti che in passato avevano infiammato i dibattiti di Davos. L’applauso generale e senza riserve al presidente egiziano Abd al- Sisi ha reso palese non solo l’appoggio incondizionato alla politica dei paesi che combattono il terrorismo, ma ha solennemente sancito la fine della primavera araba che pure aveva sollevato, nelle riunioni degli scorsi anni, tanti appoggi e tante aperture di credito.

Nella libertà dei dibattiti di Davos è emersa inoltre un’interessante contraddizione che non mancherà di avere influenza sulla politica internazionale: da un lato molti esponenti americani ed europei hanno duramente attaccato la Russia per le vicende ucraine mentre, dall’altro, ne hanno messo in rilievo l’indispensabile ruolo nel ricercare un compromesso in grado di porre fine alla tragedia siriana, a costo di cambiare atteggiamento nei confronti del presidente Bashar al-Assad.

Insomma, da un lato la Russia vista come la bestia nera ma, dall’altro, come indispensabile alleato  nella lotta contro il dilagare del terrorismo. E vedremo come andrà a finire.

Si è poi parlato tanto di petrolio, anche con azzardate ipotesi sull’intensità e la durata del ribasso dei prezzi, ma sopratutto sulle conseguenze nei confronti delle economie dei paesi produttori e consumatori. Come avviene in tutti i salotti del mondo, il dibattito si è poi prontamente spostato verso le ultime notizie che arrivavano da Francoforte, con la decisione della Banca Centrale Europea di attuare il così detto Quantitative Easing, acquistando titoli fino a 60 miliardi di Euro al mese, una somma anche superiore rispetto alle precedenti ipotesi.

La prima reazione è stata una certa sorpresa per la coraggiosa decisione di Draghi, anche se subito accompagnata da una condivisa pagella negativa sul funzionamento delle altre istituzioni europee, dato che questa decisione arriva con sei anni di ritardo rispetto all’analoga politica americana che ha aperto la via alla successiva vigorosa crescita degli Stati Uniti. Pagella negativa che si estende alla decisione di scaricare sulle banche centrali dei diversi paesi l’80% delle conseguenze dei rischi di insolvenza, mantenendo sotto l’ombrello europeo solo il 20% della nuova liquidità.

Finite le reazioni a caldo e ritornati in un normale contesto di pianura, conviene ora riflettere se lo sforzo di Draghi, pur continuamente frenato dalle riserve tedesche, possa fare finalmente cambiare direzione all’economia europea.

Credo che il cammino sia lungo e difficile. Tuttavia è evidente che la politica adottata genera per sua natura un abbassamento dei tassi di interesse, rende possibile un allentamento della stretta creditizia e, sopratutto, spinge verso un deprezzamento della valuta, favorendo in tal modo le nostre esportazioni.

In teoria dovrebbe quindi generarsi una spinta positiva allo sviluppo, in conseguenza  del deprezzamento dell’Euro, del calo del prezzo del petrolio e della continuazione di una politica di basso costo del denaro.

Molti esperti si sono già lanciati nel quantificare gli effetti di queste misure che produrrebbero un effetto positivo del PIL italiano non lontano dall’1%.

Io, per ora, mi mantengo più prudente perché, come si studia nei manuali di economia, con queste misure si porta il cavallo alla fontana ma, per obbligarlo a bere, bisogna riattivare i consumi e gli investimenti sia pubblici che privati. Bisogna quindi, tra l’altro, mettere in atto le riforme economiche ( e della burocrazia) delle quali si è tanto parlato.

Riguardo alla ripresa dell’economia europea bisogna però fare un passo ulteriore, con una politica espansiva di cui il piano Juncker è solo la premessa.

Le diverse circostanze che, pur senza approfondirne gli aspetti particolari, ho brevemente elencato, costituiscono certamente un messaggio positivo per il cambiamento di direzione, anche se dobbiamo constatare che la mancanza di solidarietà europea ci ha già fatto perdere  troppe occasioni favorevoli. Su questo punto non possiamo tuttavia abbandonarci a facili ottimismi dato che, anche nel caso del Quantitative Easing, alla solidarietà europea non è permesso di superare il 20% del totale. Il resto rimane sulle spalle dei diversi paesi. Nonostante il lodevole operato di Draghi questo non è un messaggio rassicurante.

 

 

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
gennaio 25, 2015
Articoli, Italia