La pace in Libia, non con i muscoli ma con la forza della politica

Libia e dintorni – Ma l’accordo con le tribù garantirebbe più sicurezza

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 12 dicembre 2015

Finalmente, dopo quasi quattro anni di tragedie, si svolge a Roma un’ importante ed urgente conferenza sulla Libia.

Importante perché vi partecipano tutti i paesi interessati a trovare una via d’uscita da una guerra cominciata in modo tragicamente insensato e proseguita senza che la fragile mediazione ONU potesse in qualche modo prepararne una concreta soluzione.

Ancora più importante per l’Italia, non solo per l’intensità dei rapporti e degli interessi che la legano alla Libia ma, soprattutto, nella prospettiva di porre fine alle tragedie della guerra civile e di dare un ordine all’ondata migratoria che sta da anni insanguinando il nostro Mediterraneo.

Una conferenza da tempo necessaria ma oggi urgente, data la capacità di espansione dell’ISIS, che non solo controlla oltre 120 chilometri di costa ma ha in mano parti strategiche della Libia, come la regione di Sirte, simbolico punto di riferimento del potere di Gheddafi.

Di fronte all’aumento della pressione militare, un crescente numero di militanti dell’ISIS si sta inoltre spostando dalla Siria verso la Libia, così come dalla Nigeria e dal Sahel arrivano sempre più numerosi i miliziani di Boko Haram.

Siria, Libia e Sahel fanno quindi parte di un unico problema a cui la conferenza di Roma deve preparare una strategia volta ad impedire che il fronte libico diventi il punto di riferimento principale del terrorismo mondiale.

Il cammino non è semplice perché gli sforzi compiuti fino ad ora non hanno avuto risultati concreti.

Tale cammino è stato infatti frenato da insormontabili difficoltà nel trovare un accordo fra i due parlamenti e i due governi che da quasi quattro anni si contendono il potere residuo di un paese che sfugge al controllo di qualsiasi autorità centrale. Non solo molti membri dei due parlamenti si sono opposti al loro scioglimento ma troppe realtà si sono sentite escluse dal processo di riorganizzazione della Libia. Nemmeno hanno giovato le pressioni di Turchia e Qatar da un lato e di Egitto e Stati del Golfo dall’altro, mentre la mediazione dell’ONU ha manifestato limiti superiori ad ogni previsione, anche se negli ultimi giorni si è aperta per l’ennesima volta la speranza di un accordo fra i governi di Tobruk e di Tripoli.

Forte di questa pur tenue speranza la conferenza di Roma si pone l’obiettivo di portare la pace alla Libia, ripristinandone l’unità con l’aiuto e non con un’impossibile e inaccettabile imposizione da parte delle grandi potenze.

Il compito della Conferenza sarebbe stato certo più facile ai tempi in cui le differenze all’interno della Libia non erano così radicate, ma un risultato positivo è ancora possibile se, qualsiasi sia la portata dell’accordo in corso, si riuscirà a spingere tutte le forze realmente radicate nel paese (compresi i rappresentanti della numerosa e importante diaspora) a sedersi attorno ad un tavolo, fuori da ogni interferenza e con il fermo obiettivo di garantire l’unità e l’indipendenza della Libia.

Quando parlo di forze realmente rappresentative intendo i responsabili delle tribù più importanti e di alcune realtà locali che sono da sempre centri di potere autonomo. Con esse e soltanto con esse si può concludere un accordo con efficacia nazionale.

La pace si raggiunge infatti solo con la mobilitazione della Libia profonda e delle tribù che la rappresentano, avendo ben presente la sostanziale difficoltà (e forse l’inutilità) di un accordo fra i due governi e il rifiuto da parte dei libici di un potere affidato a leader che vivono da decenni all’estero.

Mi auguro quindi che oggi si proceda nella direzione di facilitare una riunione di questi rappresentanti riconosciuti del popolo libico attorno ad un tavolo. Una riunione da svolgersi a Roma o in altra città europea o, forse ancora meglio, ad Addis Abeba dove ha sede l’Unione Africana, perché è di un paese africano che noi parliamo e perché dobbiamo sgombrare il campo da ogni nostra pretesa egemonica.

Un tavolo non facile da organizzare: è infatti complesso il compito di aiutare la scelta dei rappresentati, di assicurare loro tutte le facilitazioni, i visti e le immunità necessarie perché possano recarsi nel luogo prescelto e possano poi rientrare in Libia a garantire la messa in atto delle decisioni prese.

Vi sono dei momenti nei quali la pace e la sicurezza debbono essere garantite non da un esibizione di muscoli ma dalla forza della politica, unita al rispetto delle caratteristiche e delle prerogative di un popolo.

Il processo democratico ( cioè il potere al popolo) non può esprimersi in Libia nei modi con cui si esprime nei paesi europei ma in un modo evolutivo, che parta dalla storia e dall’anima del paese.

Mi auguro che la conferenza che si svolge ora a Roma sia in grado di aiutare la Libia a riscoprire la propria storia e la propria anima.

Parlo di aiuto e non di interferenza perché di interferenze improvvide ne abbiamo avute anche troppe. Così come abbiamo avuto troppi morti per terra e per mare.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
dicembre 13, 2015
Articoli, Italia