Afghanistan, Irak, Libia: la democrazia non si porta con la forza ma nasce dal consenso popolare

Kabul-Tripoli
Il potere militare torna in soffitta

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 1 aprile 2012

A quanto si legge nel New York Times, il 60% dei cittadini americani ritiene che l’esercito USA non dovrebbe rimanere in Afghanistan, mentre solo il 23% degli intervistati è in favore della continuazione della guerra.

Questi dati sono stati certamente influenzati dai recenti episodi che hanno negativamente colpito l’opinione pubblica.

L’uccisione dei 17 civili da parte del sergente Robert Bales e il rogo dei testi del Corano organizzato da un gruppo di militari hanno fortemente accresciuto il numero dei cittadini americani contrari alla guerra.

Tuttavia se gli orientamenti dell’opinione pubblica nei confronti della guerra in Afghanistan sono così generalizzati, il proposito di Obama di chiudere questa difficile partita entro la fine del 2014 diventa irreversibile.

A meno che la crescente tensione obblighi addirittura ad un ritiro anticipato.

Il ritiro definitivo delle truppe avverrà perciò senza che sia raggiunto alcuno degli obiettivi che la guerra si proponeva, fatta eccezione per l’uccisione di Bin Laden.

La sicurezza della popolazione civile è infatti peggiorata, contro tutte le aspettative, anche dopo che le forze americane sul campo sono state aumentate da 90 a 130.000 uomini.

Ora che le truppe straniere stanno diminuendo, le milizie afghane non sembrano assolutamente in grado di prendersi carico della sicurezza del proprio Paese.

Le speranze che, a conflitto finito, la democrazia possa regolare la vita dell’Afghanistan sono sempre più tenui, per cui il paese sarà ancora una volta devastato dal terrorismo e dai conflitti interni, mentre l’economia ritornerà saldamente nelle mani dei trafficanti di stupefacenti.

Non certo migliore è l’eredità della missione in Iraq.

Nonostante i quasi diecimila morti della coalizione e nonostante gli oltre centomila  irakeni uccisi, le violenze e gli attentati hanno causato centinaia di vittime e i conflitti politici fra sunniti e sciiti insanguinano il paese, mentre quel minimo di libertà religiosa che garantiva anche le minoranze cristiane ha lasciato spazio all’odio e all’intolleranza.

Per venire a momenti più recenti e a paesi più vicini si deve constatare che, dopo la caduta del regime di Gheddafi, il rispetto dei diritti umani ha fatto ben pochi progressi in Libia.

Continuano anzi le tipiche vendette legate alla guerra civile e si ha notizia di una lunga serie di torture e omicidi in un paese che appare sempre più diviso.

Le milizie delle varie tribù, invece di deporre le armi, stanno rafforzando i propri arsenali, anche perché tutto quanto è avvenuto in Libia si è svolto sopra la loro testa, senza tenere conto del ruolo da loro giocato nella vita reale del paese.

In tutti e tre questi casi si deve perciò constatare che è accaduto qualcosa di nuovo ( o almeno di non previsto) che cioè i più potenti eserciti del mondo non sono riusciti a raggiungere gli obiettivi politici che la loro azione militare si proponeva, cioè la sostituzione di un regime democratico alla dittatura.

I carri armati, le bombe e i missili possono eliminare un dittatore ma non sembrano essere lo strumento adatto per guidare il popolo verso la ricerca di un’alternativa democratica. Non a caso essa riesce a emergere solo nei paesi nei quali il regime autoritario è stato rimosso non da una guerra ma da un movimento popolare, come in Egitto e in Tunisia. La democrazia si diffonde e si afferma con il consenso e non con la forza.

Se così stanno le cose si può correttamente parlare di “erosione” del potere militare nella realtà politica contemporanea.

Questo termine “erosione” era stato elaborato venticinque anni fa da uno studioso  britannico (Evan Luard) che aveva definito “un’arma spuntata” l’azione degli eserciti nelle guerre che si pongono un obiettivo politico.

Si deve a questo proposito meditare sul fatto che l’arma si è dimostrata spuntata  in tutti e tre gli eventi bellici portati ad esempio, anche se sono stati impegnati sul campo gli eserciti più potenti del mondo (anche in Libia infatti il contributo americano è stato determinante). In tutti e tre i casi il regime precedente è stato  abbattuto ma in tutti e tre i casi la democrazia non riesce a nascere.

Credo perciò che possiamo dare un reale contributo alla crescita della democrazia nel mondo soprattutto aiutando i popoli e le persone a costruire l’affermazione dei loro diritti.  Le armi  sembrano essere sempre più inadatte a raggiungere questo obiettivo.

Naturalmente, se l’obiettivo non è il raggiungimento della democrazia, non bisogna tenere conto di quanto ho scritto.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
aprile 1, 2012
Italia