Chi introduce dazi non sa se vince o se perde, ma l’Europa resta irrilevante

Prodi: “Non temo i dazi cinesi mi preoccupa di più la divisione dell’ Europa”

Intervista di Filippo Santelli a Romano Prodi su La Repubblica del 11 aprile 2018

“La Cina oggi ha bisogno di aprire il suo mercato, l’ Europa la metta alla prova”. Tra le palme e la laguna di Boao, il forum economico ribattezzato la Davos d’ Asia, in tanti chiedono a Romano Prodi una foto ricordo.

L’ ex presidente della Commissione è stato nominato nel board del simposio, unico membro europeo. “Prendiamo gli annunci di Xi e creiamo dei tavoli mirati, andiamo a vedere le sue carte”, dice. “L’ ascesa cinese fa sempre più paura in Occidente, per questo è nell’ interesse di tutti, anche di Pechino, trovare delle regole comuni. I dazi di Trump invece fanno solo male”.

Apertura dei mercati finanziari ai capitali esteri, meno tariffe sulle auto, protezione dei brevetti: le promesse di Xi sono tutte già sentite.

“Questa volta però è stato più specifico, anche sui tempi. Possiamo continuare a dire che sono solo false promesse, oppure la Commissione europea può cogliere la palla al balzo e lavorare perché vengano attuate in tempi brevi”.

Ma il dialogo multilaterale cosa ha ottenuto finora con Pechino? Le accuse che muove Trump su furti industriali e concorrenza sleale sono condivise da molte imprese, anche italiane.

“Poco, ma il dialogo qualcosa ha ottenuto, le storture nell’ applicazione del diritto sono state mitigate in Cina, anche se la concorrenza resta asimmetrica. Le preoccupazioni delle imprese sono urgenti, il problema è capire come fare rivendicazioni: un braccio di ferro alza la tensione e rischia solo di alimentare il senso di rivalsa cinese, sempre più forte”.

Finora dazi e controdazi tra Stati Uniti e Cina sono solo minacce verbali. Alla fine tratteranno?

“Sul piano economico sarei ottimista: la catena del valore delle imprese è globale, chi introduce dazi non sa se vince o perde. I telefoni Apple sono progettati in California, con i chip sudcoreani e assemblati in Cina. Sotto questo aspetto si abbaia soltanto. Ma quando si abbaia molto come oggi qualche morsicata scappa. La sfida si è alzata sul piano politico, è diventata un confronto tra Cina e Stati Uniti. Qui a Boao la paura di una escalation è condivisa da molti”.

Perché dice che la Cina ora ha più bisogno delle riforme?

“I costi di produzione si stanno alzando e le imprese cinesi devono globalizzarsi per restare sul mercato. Inoltre Xi si è assicurato una presa solida anche sul mondo economico: questo è il fatto davvero nuovo”.

Quindi la stretta di potere di Xi, presidente a vita, potrebbe aiutare l’ apertura? Secondo molti è un passo indietro.

“L’ accentramento rende più facile avere regole generali per tutto il Paese, gli serve per dominare sulle sezioni provinciali del partito, una costellazione di potere che era fortissima. Pechino è il contrario della Palermo del Gattopardo: tutto deve rimanere fermo se vogliamo che la società al di sotto cambi”.

Lei invoca l’ Europa, che però sembra non avere voce.

“È una constatazione purtroppo: essendo divisa l’ Unione non può avere una politica. La Cina ne è consapevole: il gruppo dei 16+1 (il partenariato creato con i Paesi dell’ Europa dell’ Est, ndr) e gli investimenti in Grecia, in Ungheria o in Serbia giocano su questa divisione e la alimentano”.

La crescita dei movimenti populisti la favorisce?

“Più l’ Europa è divisa e più mi preoccupa. L’ ascesa dei populismi è evidente, mi sembra che l’ unica strada per rilanciare il progetto comunitario sia un’ Europa a due velocità“.

E l’ Italia uscita dalle urne a quale velocità apparterrebbe?

“Lei sa da che parte sto io… siamo fuori dal grande gioco per scarsità di Europa, non per abbondanza. Vede, i cinesi hanno il senso del potere: quando ho iniziato a insegnare lì mi chiedevano seminari sull’ Europa. Ora trattano solo con la Germania”.

Merkel sembra avere preoccupazioni non lontane da quelle di Trump. L’ idea è che Pechino voglia sottrarre la leadership tecnologica all’ Occidente, anche comprando le sue aziende.

“In Germania l’ opinione pubblica è cambiata all’ improvviso dopo l’ acquisizione del produttore di robot Kuka. Non c’ è dubbio che quella cinese sia una sfida per il primato tecnologico. D’ altra parte gli americani non si sono sostituiti agli europei? Il confronto tra Atene e Sparta è naturale, speriamo che resti solo economico. Per questo è fondamentale regolare il cambiamento, anche Pechino deve fare un esame di coscienza. La paura della Cina in Occidente cresce, così rischia di isolarsi”.

L’ obiettivo di Trump sembra piuttosto ostacolare quel cambiamento. È poi così sbagliato?

“Ma quale sviluppo vogliamo ostacolare: quello cinese, quello europeo o quello americano? Il progresso non è un gioco a somma zero, ma a somma positiva. Fermarlo sarebbe un danno per tutti, America compresa”.

Gli investimenti e la strategia di Apple o General Motors sono indipendenti dal volere del governo americano, si può dire lo stesso per le aziende cinesi?

“Spesso abbiamo detto che gli investimenti americani nel mondo rispecchiano gli interessi del Paese.Ed è chiaro che in Cina il coordinamento è maggiore, una grande impresa non può disobbedire al governo. Gli Stati Uniti però hanno tutti gli strumenti per evitare che gli investimenti cinesi danneggino i propri interessi strategici. Anche l’ Italia ha leve del genere, ma per noi una politica industriale nazionale ha forti limiti, dovrebbe essere europea”.

L’ Italia sa trattare con la Cina?

“Mi viene in mente una barzelletta: “Presidente Mao, l’ esercito svizzero ha invaso la Cina”. “E in che albergo stanno?”. In questi anni abbiamo fatto progressi, ma senza una dimensione europea siamo piccoli. La classe dirigente di Pechino però ha molta simpatia per il nostro Paese, in questi giorni tanti mi chiedono dove va”.

Già, dove va?

“Vedremo”.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
aprile 11, 2018
Articoli, Italia