Cameron? Ben gli sta. Ora l’Europa avvii una politica economica espansiva

Prodi: “Decisivo il vertice di Berlino l’Ue può rinascere o fallire”

Intervista di Fabio Martini a Romano Prodi su La Stampa del 25 giugno 2016

Al primo piano di via Gerusalemme 7, nella casa bolognese di Romano Prodi, telefoni e telefonini squillano senza sosta, politici, accademici e media di mezzo mondo cercano il Professore, l’ultimo presidente di Commissione di un’Europa “felice”, o quantomeno proiettata sul futuro. Prodi lasciò Bruxelles alla fine del 2005, in una stagione nella quale l’Europa mostrava le rughe ma era in crisi di crescita, mentre oggi c’è una crisi di identità: cosa è accaduto in questi 10 anni? «Da allora ad oggi all’Europa della speranza è succeduta l’Europa della paura. Ed è intervenuto un processo di ri-nazionalizzazione. Con l’uscita di Kohl, si sono l’avvicendati leader per i quali il prevalere degli interessi nazionali non si è accompagnato con una forte visione europeista».

Ma oramai le alchimie dei leader non lasciano più il segno: come spiega queste folate di opinione pubblica sempre più incontrollabili?

«I cittadini non odiano l’Europa, odiano questa Europa, la gestione di questi anni: una politica che non capiscono, che li danneggia. Una politica che ha distrutto il ceto medio».

Ora la palla torna ai leader: il futuro dell’Europa si decide più nel vertice a quattro di Berlino o nei giorni successivi al Consiglio europeo di tutti i capi di governo?

«Non ci sono dubbi: nell’incontro di Berlino».

Lei ci crede?

«Lo spero. Confido che la nuova Europa possa nascere lunedì a Berlino».

Gli altri Paesi seguiranno?

«Di solito, nei grandi passaggi politici, funziona così: l’accordo lo fanno i Paesi “guida”. L’ultima volta accadde con l’euro. Furono decisivi, anche nella fase finale, i contatti diretti tra Germania e Francia, tra Germania e Italia. Se c’è una forte regia, il Consiglio segue. Al massimo può bloccare, ma le decisioni le prendono i Paesi più forti»

In queste ore i mercati ballano e lo spread sale: sarà escalation?

«No. Tutto questo mi preoccupa fino a un certo punto, credo che le turbolenze finanziarie dureranno poco, perché non c’è una forte sostanza che possa alimentarle. Anche se lo spread in queste ore è salito non poco».

Ma l’anello debole delle banche? Gli italiani potrebbero mettersi molta paura, non pensa?

«Gli italiani – e non solo loro – è naturale che siano angosciati, ma rischiano di mettersi paura più per il tambureggiare dell’allarmismo che per motivazioni reali. Ma occorre dire a tutti quel che è vero: che esiste un piano “B”, governo e Banca d’Italia faranno bene a ripeterlo. Naturalmente occorre vigilare onde evitare che il sistema bancario entri in crisi, a quel punto rischiando di andare in pezzi».

Ma se la crisi finanziaria sui mercati dovesse perdurare, non pensa che la spinta a rompere il patto di Stabilità diventerebbe una tentazione per Paesi come l’Italia? E a quel punto non si rischierebbe la rottura con la Germania?

«In questi giorni nessuno può rischiare di rompere il patto di Stabilità. Bisogna cambiare politica, ma attenzione, io non toccherei i Trattati. Non è quella la strada. Perché occorre evitare di tornare a politiche di bilancio senza controllo. Al tempo stesso però urge una svolta. Avviando una politica economica di espansione, che cambi la direzione e la quantità della spesa».

Serve una svolta anche nella governance dell’Europa?

«E’ vero che la Commissione fa spesso cose del tutto inutili, ma sono le sole cose che le lasciano fare. È ovvio che non potendosi occupare del futuro dell’Europa, perché è passato in mano agli Stati, finisca per occuparsi anche del rosmarino».

Finora la Germania ha resistito alle richieste di cambiare dottrina economica e oltretutto la Merkel ha l’appuntamento elettorale del 2017: un circolo vizioso?

«Fino a due sere pensavo che quella scadenza potesse essere condizionante e dunque che nessuna decisione potesse essere presa prima di quella data. Ma a questo punto è diventato troppo rischioso aspettare. Anche per la Germania».

Cameron?

«Alla base di tutto c’è stata una sua scelta sbagliata. Il referendum ha indebolito la posizione della Gran Bretagna a Bruxelles, ha confuso gli elettori, è stato impostato da Cameron solo per interessi personali. E in questo senso, si potrebbe dire: ben gli sta».

Nel 2005 Tony Blair mise il veto alla sua conferma a Bruxelles: c’erano già preannunci di un marcato euroscetticismo inglese?

«Tra me e Blair c’erano state divergenze sulla guerra in Iraq, ma nel suo atteggiamento c’erano anche tracce euroscettiche nel senso che una Commissione forte e indipendente non piaceva a nessuno!».

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
giugno 25, 2016
Interviste