La Cina resta una opportunità per le nostre imprese, ma mi preoccupano le oscillazioni della sua economia

Prodi: una frenata che preoccupa

Intervista di Alessandra Cappelletti su CinaForum del 1 ottobre 2015

Il Presidente Romano Prodi, in occasione della presentazione del libro del professor Maurizio Scarpari “Ritorno a Confucio. La Cina di oggi fra tradizione e mercato” (Il Mulino) svoltasi il 29 settembre scorso nella prestigiosa sede dell’Archiginnasio di Bologna, ha parlato della sua esperienza di insegnamento in Cina e del futuro dell’economia internazionale. Prodi ha richiamato l’importanza per l’Europa di ritrovare in fretta compattezza e unitarietà anche in politica economica. Se così non fosse, potrebbe accadere all’Europa, frammentata in tanti interessi diversi e contrapposti, ciò che accadde all’Italia post rinascimentale: dopo un grande periodo di sviluppo, non resse alla prima grande globalizzazione rappresentata allora dalla scoperta dell’America. Oggi le caravelle di Cristoforo Colombo potrebbero essere paragonate alle grandi reti, come Google, Alibaba, eBay… di queste nessuna è nata in Europa e il rischio è che, come accadde all’Italia, anche l’Europa sparisca dalla carta geografica del mondo per un lunghissimo periodo.

In questa intervista il Presidente ci fornisce una chiave di lettura per comprendere lo stato attuale dell’economia cinese, nonché l’interesse di Pechino per l’Italia.

Presidente Prodi, trova giustificata l’inquietudine dei mercati per il rallentamento dell’economia cinese?

Non mi impressiona un crollo del 50% di una una Borsa che era salita del 150%. Sono invece un po’ preoccupato se analizzo i dati. Il governo cinese sostiene che la crescita si attesta al 7% e che tutto è nella norma. Io mi auguro che sia veramente così, tuttavia sono i dati che ci dicono che la crescita dei consumi di energia è poco più di zero, che l’export e l’import sono in una profondissima crisi e nonostante la trasformazione in corso verso il terziario rappresenti certamente un sostegno allo sviluppo economico, ritengo che l’obiettivo del 7% di crescita sia estremamente difficile da raggiungere. Ma attendo con molta curiosità i dati futuri, per capire se preoccuparmi molto o poco.

Ci può dire qualcosa sul perché di questo rallentamento, e sulle ripercussioni per l’economia internazionale nei prossimi anni?

Non avendo ancora il quadro preciso di quali siano i dati di sviluppo, mi riesce difficile discutere delle ripercussioni. Le posso solo dire che negli ultimi anni la Cina è stata di stimolo per tutta l’economia mondiale e che la crescita del paese è stata indispensabile per il suo sviluppo. Senza contare che la domanda cinese ha fatto esplodere il mercato di materie prime, lo stesso mercato energetico. Questo momento di esitazione è stato naturalmente accompagnato da un cedimento dei prezzi e da un ristagno di molte attività in tanti continenti, proprio per l’importanza che la Cina ha assunto. In poche parole, dieci anni fa due punti in più o due punti in meno di crescita cinese non avevano molta importanza nel mondo. Oggi ne hanno una enorme.

Quali sono i rischi, e quali le opportunità, di questo rallentamento per l’Europa?

L’Europa è il più grande trader per la Cina: gli investimenti cinesi in Europa sono aumentati moltissimo e gli investimenti europei in Cina sono da molti anni elevati. Quindi, se la produzione industriale cinese dovesse in qualche modo subire una sosta, è chiaro che questo provocherebbe conseguenze molto negative per l’economia mondiale. Non mi riferisco al fatto che dalla Cina stiano andando via le imprese a basso valore aggiunto e a forte intensità di manodopera, che è un processo ovvio e una trasformazione opportuna che rappresenta la fortuna del paese, ma mi riferisco alla produzione delle industrie a media e medio-alta tecnologia che sono il futuro della Cina. Se questa dovesse subire forti oscillazioni verso il basso, verrebbe a mancare uno dei tre pilastri dell’economia mondiale: Stati Uniti, Cina e Unione Europea. L’Unione Europea è un gigante, se consideriamo insieme tutti i paesi che la compongono, che vale circa quanto gli Stati Uniti e la Cina. Essendo uno dei tre pilastri del mondo, ogni piccola o grande oscillazione dell’economia cinese diventa importantissima per tutto il pianeta.

Parliamo ora dei rapporti Italia-Cina: il possibile ingresso della Cina in Poste Italiane e quello già avvenuto in altre grandi società del nostro paese segnala davvero un interesse e una fiducia cinese nell’Italia? Cosa dovrebbe fare l’Italia per attrarre investimenti cinesi soprattutto nelle PMI, che hanno difficoltà a a finanziarsi per la crisi?

Innanzitutto gli investimenti cinesi nelle grandi imprese italiane sono singolari. Sappiamo che per le nostre regole un investimento di oltre il 2% va denunciato, mentre se è sotto il 2% non c’è obbligo di denunciare nulla. Gli investimenti cinesi sono tutti un pochino sopra il 2%. Vuol dire che c’è un messaggio esplicito di attenzione nei confronti dell’Italia da parte delle autorità cinesi. Non so se si ripeterà anche per Poste Italiane, ma non ne sarei sorpreso perché c’è per l’Eni, per Unicredit, e per tante altre realtà. Per ora lo considero un messaggio di grande attenzione che può avere sviluppi futuri, anche perché è accompagnato da una serie non indifferente di investimenti in tante piccole e medie imprese. Inoltre io mi attendo nel futuro un’attenzione rispetto alla nostra meccanica agricola, perché la Cina ha una varietà di coltivazioni molto vasta, simile all’Italia, e ha bisogno di macchinari tipicamente italiani. Nello stesso tempo le nostre imprese sono in profonda crisi perché il mercato della meccanica agricola ha grandi difficoltà. Quindi mi aspetto che continui il segnale sulle grandi imprese e vedremo come potrà svilupparsi in futuro, ma mi aspetto anche un investimento accelerato nelle PMI come in alcuni settori specifici della meccanica agricola. Come attirare gli investimenti? Non c’è bisogno di attirarli, i cinesi sanno e conoscono benissimo quali sono le imprese appetibili e quelle meno interessanti. Possono commettere degli errori, gli stessi che facciamo noi quando mandiamo manager europei che non conoscono la Cina ed è capitato, secondo la mia esperienza, che siano arrivati in Italia manager cinesi che non conoscevano bene il nostro paese e alcuni investimenti cinesi nelle PMI non sono stati del tutto positivi. Ma dagli errori si impara e ci si corregge.

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