A che servono le Primarie se i partiti decidono il governo dopo le elezioni?

Il colloquio. Il professore: andrò a votare per scegliere chi correrà alle urne ma non farò campagna elettorale epr nessuno
Prodi: “Mai con il proporzionale, primarie svuotate”
Prodi: a che serve indicare il candidato premier se poi si decide con le trattative dopo le elezioni?

Intervista di Francesco Alberti a Romano Prodi sul Corriere della Sera del 3 settembre 2012

Reggio Emilia – «Certo che voterò alle primarie, ci mancherebbe, ma sarà un voto riservato e non farò campagna elettorale per nessuno perché non desidero entrare nella contesa: in politica o si sta dentro o si sta fuori, non in mezzo all`uscio». Dalla casa di Santa Maria di Novellara, Bassa Reggiana, rimbalzano le voci di nipoti scatenati e genitori affannati al loro inseguimento: tra qualche giorno Romano Prodi, 73 anni, si staccherà dalla sua famiglia formato «extralarge» per la consueta «stagione cinese», una decina di giorni a Pechino alla Business school tra lezioni, interviste e conferenze. Rientrerà in tempo per le primarie del Pd. Sempre che si tengano. Lui ne è convinto: anzi, ne è il primo tifoso, oltre che l`inventore assieme ad Arturo Parisi. Ma è anche consapevole che non tutto è così scontato. «Molto dipende – afferma – dalla piega che prenderà la trattativa sulla riforma elettorale. Se alla fine, per convenienze e interessi incrociati dei partiti, si arriverà a un modello elettorale di tipo proporzionale, allora lo strumento delle primarie verrà inevitabilmente svuotato: a che servirebbe infatti chiamare il popolo di centrosinistra a scegliere il candidato premier del partito se poi la formula di governo, come avviene con il proporzionale, viene delegata alla trattativa tra le forze politiche e solo dopo le elezioni?».

L`ex premier vede come il fumo negli occhi un eventuale approdo proporzionale: non solo perché sarebbe la più totale sconfessione della filosofia ulivista, di cui le primarie sono una delle poche eredità sopravvissute (e copiate), ma perché, come ha scritto ieri nella sua rubrica su Il Messaggero, «i progetti ad impianto proporzionale finora presi in considerazione sono confusi e complicati, con correzioni tali per cui sarebbe scelta dagli elettori poco più della metà dei parlamentari, assicurando l`elezione dei leader e dei quadri di partito con una quota di seggi a lista bloccata».

Eppure, sotto il tetto del proporzionale, quella parte del centrosinistra che, a dispetto dei proclami, ha sempre considerato le primarie un fastidioso intralcio potrebbe saldarsi con quelle frange del centrodestra che, sempre a dispetto dei proclami, cullano in realtà la speranza di tenere in vita il Porcellum («Che consente ai partiti – scrive il Professore – di controllare il cento per cento dei parlamentari»). Un rischio tutt`altro che remoto, di cui Prodi ha a lungo parlato nell`incontro dell`altro giorno a Bologna con il segretario Bersani, al quale ha ribadito la contrarietà alla soluzione sulla quale sembrava vicino l`accordo. «Mai come in questo momento – afferma -, ritengo che il Pd debba muoversi verso una riforma elettorale coerente con la decisione assunta di svolgere le primarie. Sono giorni decisivi, guai a sbagliare: a giugno scrivevo della corsa al suicidio dei partiti, sempre più lontani dai cittadini, e purtroppo non mi sembra che da allora le cose siano migliorate, anzi…».

Il modello elettorale vagheggiato dal due volte ex premier, scartato a malincuore quello a doppio turno alla francese («Sarebbe stata la salvezza del Paese, avrebbe garantito stabilità, sovranità agli elettori e alternanza di governo, ma è un obiettivo impossibile»), è il vecchio Mattarellum, «il male minore», un misto tra maggioritario al 75% e il resto proporzionale, mandato in soffitta nel 2005 dal Porcellum di Calderoli e soci dopo tre sole consultazioni (`94, `96, 20o1): «Basterebbe un solo articolo sospira Prodi -, se solo i partiti prendessero coscienza di quale cruciale importanza rivestono per il Paese le prossime elezioni».

Su Monti, le sue future proiezioni e quella «Agenda» che già divide il Pd, l`ex premier glissa («Nulla da dire, è materia dei partiti»), ma a chi, tornando alle primarie, ritiene un errore che siano due esponenti del Pd a sfidarsi, come nel caso di Bersani e Renzi, l`uomo dell`Ulivo non la manda a dire: «Non è un problema di numero degli sfidanti. Chiunque può alzare un dito e dire “sono più bravo degli altri”, l`importante è che la gara sia vera, con regole uguali per tutti e un solo giudice: l`elettore».

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
settembre 3, 2012
Interviste