Luigi Pedrazzi, ”l’ulivocultore bolognese”, ha meritato l’Archiginnasio d’Oro

Cerimonia di consegna del Premio l’Archiginnasio d’Oro a Luigi Pedrazzi

Prolusione del Professor Romano Prodi

Bologna, 25 giugno 2014

E’ sufficiente osservare le tante e diverse persone che sono venute oggi a festeggiare Luigi Pedrazzi per capire chi è Luigi Pedrazzi. Per capire quante cose belle ha realizzato nella sua vita. Cose così belle e diverse tra loro che non è facile farne una scelta esente dalla critica di ometterne qualcuna, tra le tante che hanno segnato la sua lunga e splendida vita. Non solo la sua attività, ma la sua vita. Perchè Gigi è stato per noi non solo un esempio intellettuale, ma la sua vita ha rappresentato e rappresenta un’eccezionale sintesi di tante generosità. Generosità materiali e generosità di disponibilità. Una disponibilità per tutti e non solo per coloro con i quali era interessante o utile avere rapporti.

Gigi ha per sessant’anni regalato alla città di Bologna il dono prezioso di questa sua intelligenza, di questa sua generosità e la nostra città ne ha ripetutamente beneficiato. Per questo motivo, signor Sindaco, ritengo che il conferimento dell’Archiginnasio d’Oro sia un naturale riconoscimento per Luigi Pedrazzi.

L’Archiginnasio d’Oro è, infatti, destinato al numero ristretto di coloro che hanno dato un contributo particolare e duraturo al rinnovamento e alla crescita della nostra città. E Bologna non sarebbe la stessa città se non avesse potuto giovarsi della presenza e dell’azione di una persona così straordinaria.

Per interpretare i tanti passaggi di questa sua vita non possiamo che iniziare dal Mulino, proprio perchè tutto ebbe inizio dal Mulino.
Il Mulino è un’istituzione senza la quale Bologna non sarebbe la stessa, molte delle vicende che sono iniziate in questa città non avrebbero mai visto la luce. Senza di esso tante delle persone che qui si sono incontrate e che hanno insieme operato avrebbero altrove indirizzato la loro vita e altrove avrebbero impiegato la loro attività. Come lo stesso Pedrazzi ricorda, il Mulino è un caso unico in Italia. Esso affonda le sue radici nella solida amicizia di un gruppo di studenti usciti dal liceo Galvani –tra i quali possiamo ricordare Matteucci, Raimondi, Contessi, Cavazza e Santucci- di diversa provenienza intellettuale ma tutti aperti al dialogo e alla discussione. Anche quelli che si sono aggiunti col tempo hanno conservato questa indispensabile virtù, di avere forti e profonde opinioni personali, di esporle a volte con ruvida asprezza ma di essere sempre disponibili al confronto e al contributo degli altri.

Eravamo cattolici ma non democristiani -scrive Pedrazzi in una recente intervista- laici ma non laicisti, aspramente critici dell’Unione Sovietica ma non anticomunisti. Uno strano soggetto, che per giunta attingeva ai finanziamenti americani. I comunisti malignavano, ma noi con quei soldi traducevamo testi importanti della sociologia e della politologia anglosassone, ancora debolissime nella nostra cultura, anche se il catalogo includeva scelte europee, da Hirshman ad Aron e a Morin”.

Tutti questi amici non avrebbero tuttavia potuto dare vita a un’istituzione così importante e duratura se non vi fosse stato l’impegno intellettuale e il sacrificio personale di Gigi. Se il Mulino è stata un’impresa collettiva, egli è stato l’elemento decisivo nella sua fondazione, così come Giovanni Evangelisti lo è stato nella sua stabilizzazione e maturazione. Ritengo che forse nessuna istituzione, come il Mulino, abbia contribuito allo sviluppo della cultura italiana, soprattutto all’apertura della nostra cultura al mondo dopo la lunga chiusura del periodo fascista e della seconda guerra mondiale.

Il catalogo del Mulino resta ancora oggi un esempio delle letture che sono tuttora indispensabili per la comprensione del mondo contemporaneo. Si tratta di un cammino innovativo non solo nei contenuti ma nella molteplicità e nella novità degli strumenti usati: da una rivista (il cui primo numero esce nel 1951) a un’associazione di intellettuali (che si forma tre anni dopo), al centro di ricerca Istituto Cattaneo fino alla creazione di una casa editrice la cui origine si deve in grande parte alla generosità di Gigi.

L’esperienza intellettuale del Mulino, con il profondo concetto di laicità che in essa era maturato, ha accompagnato tutta la sua esperienza politica. Fin dal primo momento. Perché come ci spiega Gigi stesso in un’altra sua recente intervista, Dossetti lo scelse nel 1956 come compagno di viaggio di una campagna elettorale, tanto affascinante quanto perdente, proprio dopo un’aperta discussione di molte ore avvenuta nella sede del Mulino. Una campagna elettorale svolta su temi inconsueti, con un’attenzione che andava dalla guerra fredda alla vita quotidiana dei cittadini, fino a giungere alla proposta di istituire i quartieri come necessario punto di riferimento per affrontare i concreti problemi della città. Una campagna elettorale proiettata verso una sfida di pace e di collaborazione, sia a livello “planetario” che a livello locale. Come scrive ironicamente lo stesso Luigi Pedrazzi, una campagna che “determinò un’evoluzione maggiore all’interno dei comunisti bolognesi verso il riformismo e verso l’eurocomunismo che non una maturazione della Democrazia Cristiana”. Gigi ricorda con nostalgia quell’avventura non certo per il risultato ottenuto ma perché, grazie alla comune identità di intenti per il bene della città, sono avvenute, anche con il concorso degli uomini che parteciparono a quella campagna “cose importantissime: la Fiera, la Finanziaria, i piani collinari, il piano del centro storico”. Tutto questo perché molte delle grandi scelte di allora furono scelte condivise tra le diverse parti e perché vi erano sufficienti risorse finanziarie a disposizione. Erano infatti arrivati gli anni del boom, con sostanziosi introiti delle imposte locali e con trasferimenti oggi ritenuti generosi da parte del governo centrale. Gigi rivive con aperta nostalgia quegli anni, con quel clima “un po’ mitico e un po’ magico della città”, a cui pongono simbolicamente termine le tensioni del 1977, vero spartiacque della politica bolognese. Sono queste tensioni che rendono difficile la vita di un’altra iniziativa straordinariamente coraggiosa e difficile: l’edizione de “Il foglio di Bologna” un quotidiano, fondato insieme a Ermanno Gorrieri, che si proponeva di riaprire ed estendere ai giovani il dibattito sui problemi della città e sulle nuove istanze politiche e sociali. Un’iniziativa che fu travolta dalla inarrestabile ondata di un radicalismo che rendeva impossibile la costruzione di un qualsiasi progetto attuabile e concreto. Anche “Il foglio di Bologna” è stato il segno della generosità di Gigi che, in questo tentativo, ha impiegato un’ulteriore parte delle risorse accumulate in lunghi decenni dal lavoro del forno di famiglia.

Le difficoltà di questa complessa fase della sua vita politica non gli impedirono di partecipare in modo attivo, prima alla vita quotidiana dei quartieri e poi, con il ruolo di vicesindaco, all’amministrazione di Walter Vitali, dal 1990 al 1995. Una collaborazione leale ed attiva, ma in una situazione politica irrigidita nella quale ogni nuova proposta risultava difficile. Una situazione stimolante ma non semplice per un uomo come Pedrazzi, cristiano e democratico ma non democristiano di partito, anche se mai antidemocristiano. Un uomo contrario al comunismo ma, come pochi, attento e rispettoso dei comunisti fino a collaborare con loro per il bene della città. Un’esperienza difficile ma politicamente creativa, quasi una preparazione al progetto dell’Ulivo che Gigi ha per molti anni condiviso con il movimento dei cattolici democratici e che lo ha portato ad essere tra i primi sostenitori dell’Ulivo fino a definirsi, giustamente, nel titolo di un libro da lui stesso scritto come “l’ulivocultore bolognese”.

Non voglio in questa sede dilungarmi troppo sugli aspetti personali ma non posso non esprimergli la mia personale riconoscenza per i consigli, per gli ammonimenti, per la sua vicinanza e per la sua amicizia. Sulla frontiera dove la vita lo ha collocato, Gigi ha infatti sempre scelto di essere una guida amica e un traghettatore diurno, piuttosto che una sentinella minacciosa o un contrabbandiere notturno. Sono questi i valori che proprio a Bologna hanno creato quel clima di ricerca e di incontro che abbiamo chiamato Ulivo e che tanta influenza ha avuto nelle recenti vicende nazionali.

Abbiamo ripetutamente richiamato l’importanza della dimensione religiosa nella vita di Pedrazzi. In questo campo lo abbiamo visto prestarsi generosamente anche nelle attività formative delle parrocchie (più spesso delle parrocchie che non delle curie). Il suo punto di riferimento è sempre stato il Concilio Vaticano Secondo, come grande momento di rinnovamento nel quale, attraverso Lercaro e Dossetti, la Chiesa bolognese aveva svolto un ruolo di particolare rilevanza. In questi ultimi quattro anni Gigi ha coerentemente dedicato grande parte della sua attività nel fare rivivere, in modo approfondito ed analitico, la lunga esperienza conciliare. Così legato al Concilio da metterne persino in rete ogni sua giornata. Gigi ha interpretato i valori riproposti alla nostra generazione dal Concilio. Il Vaticano II è stato per lui, e per molti di noi, un fuoco che ha alimentato la nostra giovinezza e che riscalda ancora la nostra avanzata maturità. Perché esso si è ispirato a quella straordinaria apertura al mondo che in quegli anni sembrava essere in grado di sostituire l’atteggiamento di contrapposizione che avevamo ereditato dall’800. A questo proposito credo che oggi Gigi  possa, finalmente, guardare con fiduciosa speranza alle novità che arrivano quotidianamente da Oltretevere.

Non possiamo infine dimenticare che Luigi Pedrazzi è stato un grande uomo di scuola. Non un accademico, ma un uomo impegnato a tutto campo nell’insegnamento in ambiti scolastici strutturati o sperimentali e nei difficili processi di riforma della Scuola ai quali ha dedicato una lunga serie di articoli e di partecipazioni a Convegni e Comitati. Per anni ha diretto e animato la redazione della rivista “Scuola & Professione” con attenzione costante ai complssi intrecci tra scuola e sistema produttivo.

Ed è ancora grazie a lui e a Giovanni Evangelisti che il Mulino è, a pieno titolo, una grande editrice universitaria. Un’editrice universitaria, ma mai uno strumento degli accademici al servizio delle loro carriere.

Uomo di cultura, uomo politico, uomo profondamente religioso ma soprattutto un uomo buono anche se, fortunatamente, non un buon uomo, come si usa dire. Un uomo generoso che ha messo la sua ricchezza al servizio dell’arricchimento di tutti. Indifferente, talvolta oltre la prudenza, ad ogni calcolo e ad ogni rischio personale. Una generosità figlia della sua libertà e del suo distacco, dove libertà e distacco hanno rappresentato per Gigi, come per pochi altri, una conquista continua ed una scelta rinnovata. Per tutti questi motivi, Signor Sindaco, ritengo che l’Archiginnasio d’Oro sia il degno riconoscimento di una vita straordinaria che ben interpreta gli ideali di questa città, profondamente permeata dello spirito di libertà che con tanta forza è richiamato nel suo gonfalone.

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Dati dell'intervento

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Categoria
giugno 26, 2014
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