Le sfide di oggi hanno bisogno di leader che le affrontino con lo stesso equilibrio e con la stessa forza di De Gasperi

Lectio Magistralis del Presidente Romano Prodi in occasione del conferimento del Premio Internazionale “Alcide De Gasperi: costruttori d’Europa”

Giornata dell’Autonomia – Trento, 5 settembre 2014

Sono grato e commosso di ricevere qui a Trento il Premio De Gasperi.

Questo sentimento di gratitudine e commozione nasce prima di tutto dal fatto che questo riconoscimento porta il nome di De Gasperi, il più grande statista dell’Italia del dopoguerra.

Esso è quindi rafforzato dalla lettura dei nomi di coloro che mi hanno preceduto nel ricevere questo ambito riconoscimento.

Helmuth Kohl, Carlo Azeglio Ciampi, Simone Veil, Vaclav Havel, Felipe Gonzales hanno infatti costruito con il loro pensiero e con la loro azione una nuova politica e una nuova coscienza europea.

Nuova politica e nuova coscienza di cui sentiamo profonda nostalgia perché mai come oggi abbiamo bisogno di una forte leadership politica e morale, senza la quale sarà impossibile superare la crisi nella quale la nostra Europa e la nostra Italia sono tuttora imprigionate.

Una crisi che non può essere vinta con i soli strumenti economici: è necessario infatti che essi siano accompagnati da una forte visione politica e da una ferrea tempra morale.

Occorre inoltre che queste virtù civili siano talmente robuste da durare a lungo nel tempo e non si pieghino di fronte a nessuna delle avversità della storia.

L’esempio di De Gasperi è sotto quest’aspetto unico. Egli ha attraversato alcune tra le più radicali trasformazioni dei tempi moderni conservando una quasi impossibile coerenza.

Suddito prima di un Impero che non lo ha capito, suddito quindi di un Regno che lo ha imprigionato, e poi finalmente cittadino di una Repubblica che egli ha costruito ed amato, ma che, durante la sua vita, non sempre ha riconosciuto i meriti delle sue azioni.

De Gasperi fu, all’inizio della sua vita politica, un trentino italiano e poi un italiano trentino. Il passaggio non è di poco conto perché egli ha trasformato un’identità di lingua, di fede e di appartenenza in scelte politiche consapevoli, al servizio di un disegno italiano ed europeo. De Gasperi ha sempre considerato i confini in una prospettiva che guardava ben oltre la sua Provincia e ben oltre le regole dell’impero in cui egli nacque e lo Stato di cui fu leader. Questa è la radice autentica della sua e della vostra autonomia: essere liberi da ogni nazionalismo ma anche da ogni provincialismo, così da darvi la missione di considerare i confini non più come frontiera ma come occasione di una crescente cooperazione. Questo significa interpretare la realtà in maniera evolutiva, proprio come evolutiva dovrà essere anche la vostra autonomia.

Un’autonomia che, in questo momento così delicato, è anche chiamata a rafforzare la cooperazione politica, culturale ed economica fra il mondo latino ed il mondo germanico.

Un compito che, con il contributo delle Vostre istituzioni e dei Vostri cittadini, avete già affrontato nel recente e meno recente passato ma che oggi diventa più urgente, riflettendo sulle crescenti tensioni che hanno caratterizzato la politica dell’Unione Europea degli ultimi anni.

La cooperazione paritaria fra il mondo latino e il mondo germanico, cioè tra i due pilastri fondanti dell’Unione si sta infatti progressivamente indebolendo, con il rischio di sostituire rapporti gerarchici alla lunga tradizione di solidarietà che, pur tra mille difficoltà e mille problemi, aveva caratterizzato l’intera vita dell’Unione.

Voglio a questo proposito ricordare il generoso appoggio che, salvo qualche infortunio verbale, il nostro Paese ha dato non solo all’unificazione germanica ma anche al difficile cammino iniziale della nuova Germania unita.

Abbiamo infatti spontaneamente convenuto che questo fosse un naturale dovere per tutti noi ed abbiamo accettato come un obbligo di solidarietà l’aumento dei tassi di interesse e il rallentamento dello sviluppo che il processo di unificazione tedesca ed il cambio paritario del marco dell’Est e dell’Ovest necessariamente comportavano.

Una scelta di cui mai ci siamo pentiti proprio perché essa era conseguenza della solidarietà che stava alla base dei principi fondatori dell’Unione. Abbiamo accettato con generosità una scelta che ci ha penalizzato a lungo perché così richiedeva l’urgenza della storia e perché era esplicitamente inteso che alla generosità verso l’Est avrebbe dovuto seguire un’analoga generosità verso il Sud.

Noi italiani non vogliamo oggi in alcun modo sottrarci alle regole che abbiamo insieme stabilito: chiediamo solo che nei confronti dei paesi del Mediterraneo si proceda con la stessa politica di cooperazione e solidarietà che è stata applicata nei confronti dell’unificazione tedesca e dell’allargamento verso i paesi dell’Est.

Ne parlo qui a Trento perché voi, cittadini trentini, insieme agli amici di Bolzano, seguendo il cammino tracciato da De Gasperi, avete costruito una struttura di vicinanza nella diversità, che pur tra tante difficoltà e tanti problemi, rimane esemplare in Europa e nel mondo.

De Gasperi, come Adenauer, Schuman, De Gaulle, Churchill, si è formato negli anni della prima guerra mondiale, o, meglio, in quella nuova “guerra dei Trent’anni” che comprende entrambe le grandi Guerre del secolo scorso e il dramma dei totalitarismi. A differenza dei suoi amici e colleghi De Gasperi ha perso una patria per ricostruirne – non soltanto per trovarne – un’altra. Ha infatti ricostruito dalle macerie l’Italia, la sua nuova patria.

Dalla Grande Guerra, durissima e drammaticamente divisiva per i trentini, ha imparato la diffidenza verso una politica non fondata sull’autodeterminazione e sulla autonomia dei popoli. E la diffidenza verso una politica che ha fatto del nazionalismo l’unico criterio di definizione della nazione. Per De Gasperi la politica è la costruzione dello stato democratico fondato su una visione del bene comune. La democrazia non è soltanto una forma di governo, ma la condizione necessaria per esercitare in positivo le libertà individuali, civili e sociali. La democrazia è un metodo di vita, un’aspirazione e, insieme, il riconoscimento della dignità delle persone.

De Gasperi ha sempre avuto il senso della complessità della storia e la passione per i diritti delle nuove nazioni (e in questo è uomo dell’ottocento) ma, da credente, da autentico cattolico sentiva la stessa passione per la dimensione universale dell’umanità. Per questi motivi è stato il leader più europeo dell’Italia del novecento. E un autentico italiano. Le due cose assieme. Perché l’Italia ha una vocazione europea e universale. O riconferma in ogni situazione questa sua condizione-vocazione oppure non è. Dall’incrocio tra la consapevolezza del conflitto e la passione per l’universalità discende la sua straordinaria capacità diplomatica. De Gasperi, nel secondo dopoguerra ha fondato una nuova politica estera dell’Italia, un paese che aveva cambiato linea e alleanze troppe volte, con esiti anche tragici. La sua bussola ancora una volta è stata la sua visione di lungo periodo, nel mettere in primo piano la pace, sempre mirando verso orizzonti più ampi, meno provinciali. E’ impressionante vedere il successo di De Gasperi tra il 1946, anno della “gelida” conferenza di Parigi e il 1951 quando fece il suo secondo viaggio trionfale negli USA. In pochi anni ha mutato l’immagine dell’Italia, facendola diventare un grande paese occidentale e in qualche misura riscattandola dalle colpe del fascismo. A Parigi portò il peso degli errori di un regime che egli aveva combattuto e che l’aveva imprigionato, ma rapidamente seppe cambiare radicalmente il quadro di riferimento ponendo le potenze alleate dinnanzi ad una scelta politica inedita: la prospettiva di una Europa dei popoli e di una crescente cooperazione fra di loro. Una cooperazione politica a tutto campo che, tuttavia, per potere subito mostrare effetti concreti, partiva dagli interessi economici e produttivi, non in nome della paura, ma contro la paura e a favore dello sviluppo e del lavoro. Così facendo riuscì a porsi come il migliore alleato della Germania, aiutandola a camminare verso il futuro e non verso il passato. Con l’aiuto di Schuman, che comunque ragionava soprattutto nei limiti della questione franco-tedesca, riuscì a fare della triangolazione tra Francia, Germania e Italia il nucleo di un motore politico inedito, efficace anche nel rispetto delle diverse posizioni geopolitiche. Solo perché forte di avere reinventato la politica estera repubblicana ha potuto gestire direttamente anche la questione dei confini dell’Italia e firmare nel 1949 l’accordo con Gruber e l’Austria.

De Gasperi ha colto prima di molti altri il valore della necessaria stabilità di governo tentando, anche contro l’opinione di forti correnti del suo partito, di rafforzarla in modo da essere in grado di affrontare scelte sempre più difficili e complesse. Scelte di fronte alle quali la sola forza dei grandi partiti di massa non era sufficiente. Troppo grandi erano infatti i pesi e i rischi della guerra fredda: per questo motivo egli fu sempre fedele ad una politica non di monopolio del potere ma di coalizione.

All’Italia schiacciata dalla guerra fredda occorrevano governi resi stabili e forti da un’ampia convergenza di partiti. A questo obiettivo si orientava la proposta di una nuova legge elettorale maggioritaria, che non scattò per poche decine di migliaia di voti nelle elezioni del 1953 e che fu tanto criticata da essere definita “legge truffa”. Essa, soprattutto con gli occhi di oggi, era invece altamente rispettosa dei principi di democrazia sui quali si era fondata la Repubblica e certamente molto più efficace e democratica di molte più recenti proposte.

De Gasperi fu inoltre lo statista di alleanze sempre mirate a precisi obiettivi: per la democrazia, anche con i comunisti e le sinistre (nell’esperienza del governo tripartito per chiudere la guerra civile italiana, e nell’intesa costituente per scrivere l’ispirazione e le regole comuni della nazione); per la pace e la sicurezza con gli americani e gli europei; per il governo con le forze laiche, contro i clericalismi; per lo sviluppo con le parti sociali. Ma anche in favore dell’intervento dello Stato per promuovere una politica roosveltiana volta ad armonizzare stabilità e sviluppo. Con il faticoso salvataggio della lira ma anche con l’obiettivo di una forte alleanza tra ceti medi e classe operaia. De Gasperi cercava infatti di individuare le alleanze e gli strumenti più idonei per raggiungere gli obiettivi prioritari del Paese, anche se il perseguimento di questi obiettivi poteva creare l’opposizione di influenti gruppi di potere.

Questa scelta così complessa e raffinata di gestione del potere gli procurò forti opposizioni fino a fargli pagare prezzi politici di enorme peso.

Per De Gasperi infine il successo elettorale per il solo successo non era un valore. Ogni elezione in cui si impegnò era finalizzata ad un programma preciso riguardo all’evoluzione e al cambiamento del paese. Il consenso andava orientato dai progetti, non inseguito. L’Italia poteva essere ricostruita non con la coercizione di una guida illuminata di un uomo solo al comando, ma solo attraverso il progressivo allargamento delle basi democratiche dello Stato. Egli non aveva la pretesa assurda di voler cambiare la natura dell’uomo e degli italiani, ma aveva la convinzione che attraverso l’educazione e il lavoro si poteva dare dignità morale a quella natura e a noi italiani.

Molte altre cose si potrebbero dire di De Gasperi, ma credo che sia interessante oggi anche chiedersi in che cosa il suo progetto europeo abbia ancora un senso. Il che equivale a chiedersi che cosa è mancato finora per realizzarlo e in che modo l’Italia e l’Europa si sono perse per strada.

Certo il mondo degasperiano non c’è più ma nemmeno quello americano: nuovi scenari sono dinanzi a noi e la direzione del vento politico ed economico è diversa: il vento soffia ora anche da Est e da Sud e non solo da Nord o da Ovest.

Per questo motivo anche se con scarso esito, continuo ad insistere sul fatto che l’Europa deve usare verso il Mediterraneo la stessa lungimiranza che ha esercitato verso il Nord o verso l’Est del nostro continente.

Oggi siamo più vicini di quanto crediamo alle sfide che De Gasperi dovette affrontare, anche se esse a molti non appaiono ancora così drammatiche. Siamo invece di fronte alla necessità non solo di una nuova forma di convivenza fra i popoli ma anche di una nuova ricostruzione: di un nuovo modello macroeconomico, di una nuova politica industriale.

Tutto questo si traduce nella necessità di rifondare dalle basi il sistema democratico. L’impresa è altrettanto pesante, se non addirittura più pesante, delle sfide che aveva di fronte De Gasperi. Ma insieme a De Gasperi, conserviamo l’idea che nulla è impossibile a noi e all’Europa se abbiamo la consapevolezza di quali sono i nostri problemi attuali. I problemi di una società che non sarà mai in grado di vincere le sfide della globalizzazione e delle nuove tecnologie se non in una dimensione continentale.

Non una dimensione burocratica e di riaffermazione di prerogative nazionali ma nello spirito della cooperazione paritaria che costituiva il valore irrinunciabile dei padri dell’Europa.

Come ai tempi di De Gasperi allo stesso modo oggi esiste ed è dominante il problema della giustizia sociale. Per un’intera generazione ci siamo illusi che esso si sarebbe progressivamente attenuato con lo sviluppo economico e ci accorgiamo invece che sta diventando sempre più grave e che le nostre democrazie non sembrano oggi in grado di poterlo affrontare. Il malinteso senso dell’assoluta sovranità degli individui rende infatti sempre più difficile ogni misura dedicata a raggiungere una più equa distribuzione delle ricchezze, mentre le nuove tecnologie tendono ad indebolire le classi medie, accumulando enormi ricchezze in poche mani ed espandendo all’infinito il numero dei nuovi proletari e dei nuovi poveri.

Le sfide di oggi, anche se in un contesto del tutto diverso, sono molto simili alle sfide di ieri e hanno quindi bisogno di leader che le affrontino con lo stesso equilibrio e con la stessa forza.

Ci sono oggi gli eredi di De Gasperi? La questione è stata dibattuta molte volte. La risposta non va tuttavia cercata solo in un singolo individuo ma nella forza delle idee. Alle quali si deve aggiungere la particolare capacità che un politico per essere qualificato come statista deve possedere: dire la verità alla propria gente; avere una visione coerente e competente della realtà; avere il senso supremo della responsabilità al di là della propria convenienza di parte politica e dalla propria prospettiva personale; non vivere per se stesso, ma per una prospettiva comune. Anche a costo di vedersi rifiutato. L’eredità di De Gasperi va infatti ben al di là dell’uso politico della storia e sta nella ostinata ricerca di soluzioni, a volte forzatamente provvisorie, ma sempre dedicate ad allontanare i miti populisti che sempre corrompono le fondamenta della nostra società.

Per questo motivo la figura di De Gasperi si ingigantisce nel tempo. Proprio come scriveva Pietro Scoppola quando, approfondendo gli studi sullo statista trentino, sosteneva che la figura di De Gasperi si era fatta ancora più grande nella distanza, come le montagne del suo Trentino, che solo da lontano mostrano tutta la loro forza e la loro bellezza.

 

 Il messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

 

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