Diminuire lo squilibrio tra risparmi e investimenti per evitare una stagnazione secolare

Rischi di stagnazione
Va ricucito lo strappo tra risparmi e investimenti

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 28 febbraio 2016

Sono passati più di otto anni da quando è cominciata questa interminabile crisi economica e i segnali di ripresa sono sempre deboli e deludenti. Quasi tutti gli esperti contavano invece sul fatto che, da una crisi così profonda, si potesse facilmente uscire con una robusta e rapida ripresa.

In effetti, almeno in una prima fase, la cospicua e immediata iniezione di denaro nel sistema economico americano e cinese da parte dei governi, aveva permesso ai due paesi guida di agire come ammortizzatori della caduta, impedendo all’economia mondiale di farsi troppo male.

Certo mi ha sempre dato da pensare il fatto che, in conseguenza della rapidità delle decisioni del suo governo gli Stati Uniti, che erano stati i principali responsabili della crisi economica, ne potessero uscire meglio dell’Europa che ne era stata la vittima.

In seguito, tuttavia, un poco perché frenati dall’aumento dell’indebitamento, un poco perché in disaccordo fra di loro, i governi hanno progressivamente rinunciato ad una politica economica attiva, lasciando alle banche centrali il compito di dare spinta all’economia.

Le banche centrali non si sono fatte pregare e hanno inondato i mercati con crescenti quantità di denaro che hanno abbassato i tassi di interesse prima verso lo zero e poi addirittura, in alcuni paesi, al di sotto dello zero.

Non vi è dubbio che, almeno in Europa, adottando tassi bassi e introducendo il così detto Quantitative Easing, ( che ha inondato i mercati di liquidità) la politica della Banca Centrale ha avuto un ruolo insostituibile nell’evitare la catastrofe.

Negli anni più recenti l’efficacia del basso costo del denaro è tuttavia progressivamente diminuita. In primo luogo perché, essendo stato usato da tutti non solo come arma per la ripresa ma anche come strumento per svalutare la propria moneta ed ottenere quindi vantaggi concorrenziali, ha finito col rivelarsi un’arma spuntata, e ha cominciato a provocare una serie di svalutazioni competitive che costituiscono un drammatico pericolo per l’economia mondiale. Esse sono infatti la porta d’ingresso per il disordine del commercio internazionale.

Resta inoltre evidente che, con economie stagnanti per effetto della caduta del potere d’acquisto delle classi medie o basse, anche i tassi di interesse pari a zero o negativi non riescono a dare una spinta alla crescita né dei consumi né degli investimenti. Il Wall Street Journal notava qualche giorno fa, con palese ironia, che l’unico effetto dell’entrata nell’orbita negativa dei tassi di interesse giapponesi non è stato quello di attivare l’economia ma di aumentare la domanda di casseforti nelle quali tenere i risparmi in contanti!

Tutto questo mette in evidenza che il mondo è dominato da un eccesso di risparmio rispetto alla capacità di consumo delle famiglie e, di conseguenza, alla convenienza delle imprese ad investire.

Questo drammatico squilibrio deriva dalla sempre più iniqua distribuzione dei redditi, che ha progressivamente portato maggiori risorse verso le classi più elevate, togliendole alle classi con reddito inferiore. Trasferendo perciò denaro verso chi ha una più elevata propensione al risparmio e togliendolo a chi invece tende a consumare o investire una quota più elevata del proprio reddito.

Sarà certo opportuno analizzare in altra occasione ed in modo più approfondito quali siano le ragioni di questo squilibrio, ragioni che possono tuttavia riassumersi prima di tutto nelle politiche fiscali, che dagli anni ottanta in poi hanno sistematicamente favorito le classi più agiate, nelle nuove tecnologie che hanno fatto strage dell’occupazione delle classi medie e nel ruolo crescente assunto dalla finanza negli ultimi decenni. Ed è proprio questo squilibrio che genera i fenomeni di disoccupazione e sottoccupazione che tendono a comprimere il potere d’acquisto delle classi meno agiate.

Se queste sono le cause, i rimedi non possono venire dalle banche centrali ma dovranno essere il compito principale della politica economica di tutti i governi.

Non intendo in questa sede approfondire gli aspetti etici o politici di queste osservazioni, anche se li ritengo di importanza dominante per il futuro della nostra società: le disparità oggi esistenti, se prolungate nel tempo, finiranno infatti con lo spezzare i pur esili fili di solidarietà che ancora ci tengono insieme.

Mi limito per ora semplicemente ad osservare che, all’attuale situazione di eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda, non può essere posto rimedio con interventi di carattere puramente monetario.

È giunta l’ora che i governi intervengano con misure di carattere strutturale tra di loro concordate in modo da diminuire il grande squilibrio fra risparmi e investimenti che ora rischia di portare tutti noi verso la stagnazione secolare.

Una politica fiscale espansiva, proiettata oltre gli strumenti monetari, costituisce finalmente il nucleo centrale del comunicato dei G20 riuniti ieri a Shanghai. Speriamo che, almeno questa volta, ai prudenti comunicati seguano decisioni concrete.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
febbraio 28, 2016
Articoli, Italia