La Cina riapre all’Italia, una grande opportunità se sapremo cambiare la nostra politica industriale

«Da Pechino semaforo verde dopo gli errori di Berlusconi»
Prodi: meglio i Btp a un Paese stabile che alle banche d`affari

Intervista di Nando Santonastaso a Romano Prodi su Il Mattino del 28 marzo 2012

La soddisfazione si intuisce anche al telefono, da Verona. Romano Prodi, che in Cina è di casa (c`è chi lo considera oggi come una sorta di «Kissinger europeo» nell`enorme Paese asiatico, frequenti i viaggi e gli incontri con le più alte cariche dello Stato) non poteva restare indifferente di fronte all`annuncio di Hu Jintao sulla volontà di investire in Italia.

Nessuna voglia di commentare le vicende italiane, le fibrillazioni della maggioranza, l`apertura sulla riforma elettorale. L`ex premier accetta di parlare solo della Cina.

Presidente, c`è anche il suo zampino in questa importante disponibilità dei cinesi?

«Ma no, non c`è il mio zampino. La dichiarazione è stata fatta in Corea del Sud, io sono a Verona. Ma sicuramente per me è motivo di grande soddisfazione anche se, attenzione, tutto ciò adesso va tradotto in progetti e piani concreti».

Vuol dire che dobbiamo meritare quest`attenzione?

«Di sicuro bisogna prendere atto che è tornata la buona volontà verso il nostro Paese perché le dichiarazioni che aveva fatto l`ex premier Berlusconi avevano provocato un progressivo distacco della Cina dall`Italia. Da oggi possiamo ben dire che non c`è più il semaforo rosso. Ma questo è solo il primo passo, sia pure di grande importanza».

Cosa bisogna fare, in concreto?

«Perché questa disponibilità di Pechino diventi reale occorre creare le condizioni giuste. Penso a investimenti finanziari credibili, alla ricerca di combinazioni serie e produttive tra i nostri sistemi, alla disponibilità di imprenditori che abbiano coraggio di andare in Cina e che, di conseguenza, incoraggino i cinesi a venire da noi».

Finora le cose sono andate molto diversamente. L`Italia ha una presenza assai marginale nel Paese della Grande Muraglia mentre altri Paesi europei sono decisamente più avanti.

«E così. Per questo dico che non bisogna essere passivi in questa dinamica. Il governo cinese ha dimostrato, come ci attendevamo del resto, che è importante per quel Paese avere anche l`Italia nei futuri progetti di sviluppo. Naturalmente come, in quali settori e con quale dimensione è tutto da definire».

La Cina chiede all`Occidente soprattutto nuove tecnologie?

«Sì, ma non solo. Per noi ci sono importanti prospettive di export anche in settori come i prodotti di lusso, le nostre produzioni agroalimentari, la qualità dei vini, eccellenze che tutto il mondo ci invidia e che potrebbero benissimo trovare sbocchi anche in Cina. Ma non dimentichi che la Cina è un Paese di oltre un miliardo e 400 milioni di abitanti, con realtà distinte e diverse l`una dall`altra. Bisognerà quindi cogliere anche questa opportunità, diversificando l`offerta».

Resta il fatto che siamo ancora molto lontani da un livello di export credibile.

«In effetti, è vero che ad esempio il settore della nostra meccanica strumentale è il più promettente in questa fase ma la nostra presenza è sul piano quantitativo ridottissima. Siamo praticamente periferici rispetto ai grandi Paesi esportatori. Inutile farci troppe illusioni: quello che esportiamo in Spagna supera il valore complessivo delle nostre esportazioni in Cina, Corea e Giappone. Risalire è indispensabile».

Fino al punto da diventare partner privilegiato dei cinesi?

«Mah, per ora la Cina ha tolto il semaforo rosso e quindi la strada è libera. Per essere partner privilegiati dovremo meritarlo. È però importante che l`Italia torni nel sistema internazionale: vede, le tessere della politica internazionale si tengono le une con le altre, un Paese aiuta l`altro e così via. Essendo la Cina così importante, è inevitabile che una dichiarazione come quella di Hu Jintao finisca per accrescere il nostro prestigio».

La Cina punta ai nostri titoli di Stato? Un rischio o un`opportunità?

«Non mi pare che si possa definire negativa la possibilità di acquisto dei nostri titoli. Non è meglio avere detentori di titoli pubblici molto più stabili di banche di affari che acquistano e vendono il giorno dopo, e poi ancora il giorno successivo? Ma va detto anche che i cinesi possono acquistare Btp solo se sanno che l`Italia è stabile e la scadenza dei titoli verrà rispettata».

E l`Italia è diventata stabile?

«Credo che questo messaggio di stabilità stia arrivando. Naturalmente Roma non si costruisce in un giorno e nemmeno la nuova dignità di Roma».

Ma la Cina non fa ancora paura a chi pure avrebbe i mezzi per investirvi?

«Il problema non è questo. Molto gioca la dimensione delle nostre imprese. Piccolo è bello ma fino a un certo punto. Le medie dimensioni delle aziende sono certamente più idonee ad affrontare le sfide dei nuovi mercati internazionali. Non c`è solo la Cina, sa? C`è la Russia, c`è l`America Latina, ci sono spazi di investimento da cogliere. Ma occorre cambiare la nostra politica industriale. Se l`Italia continua a perdere quote di mercato sarà impossibile raccogliere la disponibilità dei cinesi».

La scheda

Una comunità numerosa: oltre 200mila in Italia

Al primo gennaio 2011, secondo i dati Istat, erano 209.934 i cinesi residenti in Italia. La comunità cinese è la quarta per numero di residenti, dietro a quella romena, albanese e marocchina. Difficile, però, avere numeri precisi sui cittadini cinesi che vivono in Italia, essendo numerosi quelli che risiedono illegalmente nel nostro Paese. La comunità più consistente risiede a Prato, in Toscana.

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