Il futuro degli scambi Italia – Cina passa da Wenzhou

Una miniera di nome Wenzhou

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 20 marzo 2011

A molti italiani il nome di Wenzhou non dice niente. Eppure dovrebbe dire tanto, perché da Wenzhou proviene la quasi totalità degli emigranti cinesi nel nostro paese. Una visita a Wenzhou è perciò importante per capire molte cose dell’Italia di oggi e, soprattutto, del suo futuro.

Anche per i cinesi Wenzhou è una città speciale, diversa dalle altre. Dove si produce di tutto, si commercia di tutto, si presta di tutto e si specula su tutto. Una città a perdita d’occhio, non una città verticale con i grattacieli che salgono al cielo come Shanghai, ma una città orizzontale che si estende senza fine, con i suoi otto milioni di abitanti, con le abitazioni che si  confondono con i capannoni e i magazzini nei quali si compra e si vende l’universo intero. E con un’Università che anch’essa cresce allo stesso implacabile ritmo con cui si sono estese le case e le industrie.

Da questa città sono partiti fiumi di emigranti che si sono sparsi in tutto il mondo ma che mantengono fra di loro e con la città di origine stretti legami di affari e di rapporti familiari. Rapporti d’affari e familiari che si intrecciano fino a rendere difficile distinguere gli uni dagli altri. Di questi emigranti la colonia più numerosa si è diretta verso l’Italia: le autorità locali stimano infatti a oltre centoquarantamila il numero dei cittadini di Wenzhou che vivono nel nostro paese.


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Non mi sono perciò meravigliato essere avvicinato, durante il volo da Shanghai, da un ragazzo emigrato a Bergamo che, stupito, mi ha chiesto in perfetto italiano che cosa andavo a fare a Wenzhou. E’ stato facile spiegare che mi sembrava utile spendere un paio di giorni per capire da dove vengono e quali caratteristiche e interessi hanno questi nuovi abitanti dell’Italia. E soprattutto per capire quali interessi comuni essi possano condividere in futuro con i nostri cittadini, in modo da rendere la convivenza più pacifica e fruttuosa per gli uni e per gli altri.

Con tutto lo sconto che si deve fare per questi incontri, sono tornato con la convinzione che, una volta affrontato il problema con la necessaria intelligenza, lungimiranza e buona fede, gli interessi comuni possano prevalere sulle ostilità. Le autorità cinesi si sono infatti rese conto che la situazione di tensione è dannosa per tutti e i rappresentanti degli imprenditori hanno ripetutamente ribadito il loro interesse a fare di Wenzhou un centro di importazione dei prodotti italiani per un mercato cinese che continua a crescere a due cifre e che vede la nostra presenza  nettamente al di sotto delle sue  potenzialità. Concrete proposte sono  emerse per investimenti incrociati e altre possibili cooperazioni di lungo periodo. Naturalmente nessuno intendeva fare la carità o opere buone ma, come capita ai commercianti preveggenti, essi vedono prospettive di affari lucrosi non solo nel produrre in Italia sfruttando il “made in Italy,” ma anche nell’utilizzare le proprie conoscenze e le proprie connessioni per fare soldi offrendo uno sbocco alle nostre esportazioni.

Ho avuto tuttavia la chiara impressione che bisogna fare in fretta perché ormai tutti si stanno buttando sul mercato cinese. È inoltre necessaria la presenza delle nostre banche e una maggiore disponibilità di mezzi da parte delle rappresentanze diplomatiche. Gli sforzi che esse stanno facendo con tanta buona volontà non possono infatti reggere di fronte all’enorme dovizia di mezzi che viene gettata sul mercato da altri paesi, a cominciare dalla Germania. In ogni modo, a qualcuno che volesse ripetere la mia esperienza di un viaggio a Wenzhou, consiglio di cenare in uno splendido ristorante con una sala da pranzo grande più di un campo di calcio, settantadue salette per i clienti che vogliono riservatezza e cinquecento fra cuochi e camerieri. Credo che quest’esperienza  possa dare, più delle tavole rotonde o dei convegni a cui ho partecipato, l’idea degli affari che si possono fare con Wenzhou,  purchè si cerchi di capire con chi si ha a che fare.


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Visto che parliamo dell’Italia in Cina, debbo condividere un’esperienza bella e malinconica. Al centro di Pechino, a pochi passi da piazza Tienanmen, nel quartiere delle legazioni, ho visitato la vecchia ambasciata italiana, inaugurata nel 1901 e poi abbandonata quando l’Italia, come tutti gli altri paesi occidentali, non ha riconosciuto la Cina di Mao. Uno splendido complesso di edifici armonici che si affacciano su una enorme corte, davvero degno di un grande paese. Le sale conservano tuttora i caminetti e i pavimenti italiani e la vecchia cappella, pur trasformata in una sala-conferenze, mantiene intatta la sua dignità. Mi sono immediatamente domandato perché in Italia si sia quasi del tutto persa la memoria di questo passato. Non ho risposta e ne sono rattristato perchè credo che questi ricordi siano uno strumento prezioso per affrontare meglio il presente e il futuro.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
marzo 20, 2011
Italia