Non era questa l’Europa di De Gasperi e non è questa l’Europa che noi dobbiamo costruire

Intervento del Presidente Romano Prodi al

Convegno: “L’eredità di De Gasperi: l’Italia nell’Unione Europea a sessant’anni dalla sua scomparsa

Accademia dei Lincei, Roma 2 aprile 2014

Signor Presidente della Repubblica,

Autorità,

Gentile Signora Maria Romana,

Nel 1954 muore Alcide De Gasperi e, con la sua morte, tramonta definitivamente il grande progetto per il quale il leader trentino aveva speso tante energie: il progetto della Comunità Europea di Difesa.

Tutti i grandi disegni che si fondano insieme sulla realtà e sulla visione del futuro si realizzano sulla spinta dell’intuizione iniziale o si esauriscono di fronte alle difficoltà della loro realizzazione.

Sono passati tanti anni ma la politica estera e la politica di difesa comune sembrano oggi ancora ugualmente impossibili.

Tali politiche appaiono l’obiettivo più difficile della missione europea: siamo ormai rassegnati al fatto che altri ci sostituiscano nell’azione di equilibrio della politica mondiale. Eppure questo dovrebbe essere il compito proprio della missione europea.

Questo grande compito è ancora oggi così lontano da fare apparire naturale che il tentativo di soluzione del problema ucraino venga affrontato da un tavolo attorno al quale siedono solamente gli Stati Uniti e la Russia.

Questa non era la missione che De Gasperi voleva fosse assegnata all’Europa.

L’eredità di De Gasperi: l’Italia nell’Unione Europea a sessant’anni anni dalla sua scomparsa – Apr 2014 from Romano Prodi on Vimeo.

L’eredità di De Gasperi: l’Italia nell’Unione Europea a sessant’anni anni dalla sua scomparsa – Apr 2014
Roma, 2 aprile 2014 – 10:27
alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

I destini di De Gasperi e della Comunità Europea di Difesa (CED) si legano così strettamente che la sua scomparsa venne interpretata da molti leader europei come un fosco presagio per questo progetto. Esso sarebbe fallito dopo pochi giorni, amputando il processo di integrazione europea della sua dimensione più propriamente politica.

Il leader socialista belga, Paul-Henri Spaak, nelle sue memorie ricorda infatti come la Conferenza di Bruxelles (agosto 1954), conferenza che avrebbe visto la Francia opporsi al trattato della Comunità Europa di Difesa (poi bocciato definitivamente dal Parlamento francese il 30 agosto 1954) era cominciata sotto i peggiori auspici. Per una tragedia del destino, qualche minuto prima della sua apertura era stata infatti annunziata la morte di De Gasperi” .

Poniamoci a questo punto l’interrogativo preliminare di questo nostro incontro e cioè quali sono state le radici biografiche e intellettuali dell’europeismo degasperiano

Il solidarismo cattolico: De Gasperi assorbe un’idea di Europa cristiana così come era stata definita dalla cultura cattolica nel tardo Ottocento [sotto il pontificato di Leone XIII, che, nella Rerum Novarum del 1891, aveva mitigato l’intransigentismo aprendo il cattolicesimo alla dimensione sociale, nel tentativo di confrontarsi con il nascente movimento operaio. Questa enciclica segna il punto di partenza di una serie di movimenti politici che, in diversi paesi europei, hanno offerto nuove prospettive al cattolicesimo democratico e sociale.

Per De Gasperi in particolare questo significava trasferire il solidarismo cattolico su un piano internazionale. In questo è stato certo aiutato da una singolare convergenza di idee e di formazione religiosa con Adenauer e Schuman, entrambi cattolici ed entrambi con esperienza formativa vicina a quelle di De Gasperi. Una singolare coincidenza che si nota leggendo i loro scritti, i loro discorsi e le loro memorie. Il loro comune uso della lingua tedesca rendeva possibile una singolare comunicazione diretta che solo in rari casi si sarebbe verificata in seguito. La loro comune radice nel cattolicesimo sociale rendeva possibile abbattere le diffidenze e operare con la coesione necessaria per iniziare un cammino così innovativo come quello dell’Unione Europea.

Il federalismo pragmatico (plasmato dall’esperienza nel Trentino asburgico): Nato e vissuto in una regione di confine all’interno di una minoranza nazionale nell’ambito dell’Impero Asburgico, De Gasperi impara a respingere i nazionalismi contrapposti e ad esaltare le autonomie locali come strumento di difesa dallo stato centralistico. Sotto questo punto di vista la sua battaglia all’interno delle istituzioni dell’Impero asburgico appare finalizzata all’obiettivo di conquistare spazi di autonomia senza tuttavia che questo si traducesse in un coerente disegno federalista. Nei suoi scritti infatti non vengono citati i principali teorici del federalismo. Come ha osservato Piero Craveri c’era piuttosto l’idea che “nazionalità” e “Stato” restassero due concetti distinti e non sempre sovrapponibili. Per De Gasperi, inoltre, il concetto di “nazione” era superiore a quello di Stato.

Forse perché lo statista trentino era uomo di forti principi, si tende generalmente a sottovalutare l’aspetto pragmatico e concreto della politica europea di De Gasperi.

Leggiamo insieme questa citazione di De Gasperi nel giorno (15 febbraio 1952) in cui rende manifesta la propria adesione al Movimento Federalista Europeo, parlando delle origini del suo pensiero europeo:

“La questione che si faceva in quel tempo era quella del funzionalismo e non funzionalismo; erano questioni sopra le quali sorvolavo perché guardavo soprattutto alla meta; e quando è venuto il momento e la possibilità di affermare attraverso la formula federalista questa meta, l’ho fatto perché sapevo benissimo di essere d’accordo con la tradizione e gli interessi nazionali”.

La lezione della guerra e la necessità di un’Europa politica

Lezione della guerra: La lezione delle due guerre mondiali (che De Gasperi considerava una lunga “guerra civile europea”) e dei regimi totalitari che erano proliferati sul Vecchio continente tra gli anni Venti e Trenta, lo convince della definitiva “crisi del sistema europeo degli Stati”. Non ho bisogno qui di ricordare, a cent’anni dall’inizio delle tragedie europee, quale siano state le conseguenze umane, materiali e morali delle due guerre mondiali e delle dittature che hanno segnato il periodo tra le due guerre stesse. A questo voglio aggiungere, anche se De Gasperi si guardava bene di ergersi a martire, le violenze fisiche e le mortificazioni personali da lui subite nel corso del ventennio fascista. In particolare l’arresto del 1927, la detenzione fino al luglio 1928 e l’“esilio” nella Biblioteca Vaticana per il decennio successivo.

All’interno del nuovo sistema internazionale De Gasperi si rende conto immediatamente della perdita di centralità (economica, politica e militare) degli stati. Per giocare ancora un ruolo di primo piano le nazioni europee dovevano perciò unirsi e comprendere come i singoli interessi nazionali si dovessero ritrovare nel comune progetto europeo, mai disgiunto dalla cornice atlantica. Un progetto che, anche nei suoi aspetti militari, doveva essere interamente proiettato nell’evitare il ripetersi dei tragici conflitti sperimentati in passato.

Europa politica e interesse nazionale:  l’impegno di De Gasperi nella fondazione di un’Europa politica è più convinto e coerente a quello degli altri “Grandi” capi di governo dell’epoca (su questo terreno infatti De Gasperi fu più isolato di quanto solitamente si creda). Per gli altri leader europei l’approdo verso un’Europa politica era più strumentale e, comunque, secondario rispetto ad altre esigenze. Per la Francia la priorità era evitare la riunificazione e il riarmo tedesco, per la Germania era invece la ricostruzione e il recupero della piena sovranità. Per De Gasperi l’Europa era la priorità in assoluto. Essa ovviamente si sposava anche all’interesse nazionale (la sopranazionalità delle istituzioni europee era infatti un freno allo strapotere politico delle altre potenze europee), ma il suo obiettivo e la sua visione guardavano più al lontano futuro che al presente. Come si legge nelle memorie di Jean Monnet a proposito di De Gasperi.

“Egli aveva capito che l’Italia non avrebbe avuto in Europa un ruolo equivalente a quello degli Stati più industrializzati se non accelerando il processo politico che era rimasto in sospeso nei primi trattati europei”.

In poche parole Monnet ci dice che De Gasperi non difendeva gli interessi presenti dell’Italia ma riteneva che il processo di modernizzazione e di trasformazione del nostro paese sarebbe stato possibile solo in un ambito europeo. Ed è singolare come sia in effetti realizzato. Senza il progetto europeo l’Italia non sarebbe il paese moderno che oggi è.

La battaglia della Ced come embrione di unione politica: Sostenitore della prima ora del piano Pleven (progetto di esercito europeo per venire incontro alle esigenze di riarmo tedesco generate dalla guerra di Corea) l’obiettivo di De Gasperi fu ben presto quello di farne il nucleo di un più ampio e approfondito progetto di unità politica. In particolare egli pensava alla creazione di un’assemblea elettiva con poteri deliberativi dalla quale avrebbe dovuto dipendere un organismo esecutivo, entrambi sorretti da un bilancio comune finanziato dai contributi degli stati aderenti.

Il progetto degasperiano oltrepassa l’impostazione iniziale del trattato della Ced: non si trattava più esclusivamente di un progetto di integrazione militare su sollecitazione esterna, ma di approfittare delle contingenze politiche-internazionali (di qui il suo frequente richiamo al “fare presto”) per farne il motore di un progetto di integrazione politica sopranazionale.

Scrive Jean Monnet nelle sue memorie:

“Questa la tesi che De Gasperi sosteneva senza tregua – L’esercito non è fine a se stesso, è lo strumento di una politica estera. È al servizio di un patriottismo. Il patriottismo europeo si sviluppa nel quadro di un’Europa federale”.

E’ questa tenace lungimiranza che gli vale, nel 1952, l’attribuzione del premio Carlo Magno.

Questo riconoscimento gli viene assegnato paradossalmente in un contesto in cui le difficoltà che circondano il progetto europeo si vanno intensificando. La volontà politica è infatti spesso determinata della contingenza storica.

Da un lato la fine della guerra di Corea e la contemporanea scomparsa di Stalin hanno contribuito ad avviare una prima distensione delle relazioni internazionali che ha reso meno urgente il tema dell’integrazione militare.

Dall’altro sul progetto della Ced si sono coagulati opposti estremismi che l’hanno condannato al fallimento.

In Italia non si giungerà nemmeno al voto di ratifica perché il Parlamento francese boccerà il trattato attraverso l’inedita convergenza di comunisti e gollisti che si ritroveranno paradossalmente uniti a festeggiare la bocciatura del trattato intonando la Marsigliese nell’emiciclo parlamentare.

La vita politica di De Gasperi si è quindi conclusa con una sconfitta sul terreno europeo sul quale aveva investito tanti sforzi. Il fallimento della Ced significò infatti l’abbandono (almeno per un lungo tempo) del processo di unificazione politica europea.

De Gasperi restò fedele sino all’ultimo a quel progetto a cui aveva intimamente aderito (Schuman lo definì un “apostolo” dell’integrazione politica europea). Lo sottolinea anche Adenauer ricordando l’incontro privato avvenuto nel marzo del 1954. De Gasperi, al momento del congedo sull’uscio della villetta di Castel Gandolfo gli disse: “Noi due dobbiamo vivere ancora due anni. Quando l’Europa sarà unita potremo andare definitivamente a riposo”. Le cose purtroppo andarono diversamente.

Il tema dell’Europa è utilizzato anche in termini di programma politico nazionale in vista del decisivo voto del giugno 1953, legando il destino dell’Italia a quello dell’Europa.

“L’Europa unita non è una favola, una fantasia o una teoria: essa è l’aspirazione di coloro che conoscono i rimedi necessari per risolvere l’attuale situazione economica. E nell’esprimere con la scheda il proprio atteggiamento politico occorre ricordarsi non soltanto della libertà e della indipendenza dell’Italia, ma anche dell’Europa unita”.

(Discorso elettorale di De Gasperi, maggio 1953)

De Gasperi non nascondeva a se stesso e ai suoi compatrioti la grande difficoltà di costruire l’Europa e paragonava gli ostacoli che si opponevano al cammino europeo a quelli che si erano per secoli opposti all’unità italiana.

“Per unire l’Europa è forse più necessario smobilitare che costruire: disfare un mondo di pregiudizi, di pusillanimità e di alterigie, disfare un mondo di rancori. Che cosa ci volle per fare una l’Italia, dove ogni città nei lunghi secoli di servaggio aveva appreso a detestare la città vicina? Altrettanto bisognerà fare per l’Europa. Si parli, si scriva, si insista, non ci si dia tregue: che l’Europa resti all’ordine del giorno. Ma soprattutto i governi devono mostrarsi più risoluti quando si tratta di sbloccare i loro paesi.

(Intervento di De Gasperi alla Tavola rotonda d’Europa – Roma, 13 ottobre 1953)

Il disegno ideale non poteva essere per De Gasperi distaccato dalla conoscenza delle difficoltà che si frappongono al disegno stesso. Nella storia (scriveva De Gasperi) si procede secondo due ali: una è quella della razionalità, ovvero della rappresentanza di interessi, l’altra è quella dell’idealismo.

De Gasperi si era quindi progressivamente convinto [“europeisti non si nasce, si diventa” è una formula frequentemente prestata a Jean Monnet] della necessità di tenere insieme dimensione economica e politica dell’Europa. La crisi delle democrazie europee negli anni Venti e Trenta secondo lo statista trentino era nata tanto dalla debolezza politica (resa visibile dal proliferare dei nazionalismi) quanto dal deteriorarsi del contesto economico. Analizzando le cause della “guerra civile europea” osservava che “non è vero che la democrazia dipende solo dalla situazione economica” così come “non è vero che il comunismo sia anzitutto un sistema economico” (Roma, 11 luglio 1950). Egli ripeteva continuamente che il processo di costruzione dell’Europa doveva essere insieme politico ed economico. Se l’unione doganale appariva come il punto d’avvio più logico e pratico questo non era tuttavia sufficiente perché “il primo più importante problema” era quello politico. Osservava infatti che “se la realizzazione della solidarietà economica europea dovesse dipendere dalle forme di compromesso elaborate dalle diverse amministrazioni interessate, questo ci condurrebbe molto probabilmente a debolezze e contraddizioni” (Strasburgo, 15 settembre 1952).

La perdita di legittimità che oggi scontano le istituzioni europee pare proprio il frutto del processo di lungo periodo iniziato con il progressivo e silenzioso prodursi di un divorzio tra le due dimensioni che hanno caratterizzato il progetto europeo nello spirito dei padri fondatori: quella politico-ideale e quella economica.

Il progetto comunitario è nato e si è storicamente affermato attraverso una forte dimensione morale, presentandosi come lo strumento che – assicurando pace e prosperità attorno al riavvicinamento franco-tedesco – avrebbe permesso di purificare il Vecchio continente dai mali della storia.

Con la fine del comunismo sono stati gli stessi orizzonti della costruzione comunitaria ad essere messi in secondo piano dalla falsa illusione che si potesse realizzare l’Europa senza i pilastri fondamentali che ne stavano alla base: quello politico e quello militare. Il progetto europeo ha così perduto la sua valenza «storico-politica» e si è trovato ancorato all’ultimo parametro ancora valido, quello economico, fondato sull’obiettivo del raggiungimento di un benessere diffuso.

L’aumento della competizione internazionale, l’incertezza e la disoccupazione crescente, le difficoltà di far quadrare i bilanci hanno messo tuttavia in luce che il semplice disegno economico non riesce a progredire senza una coesione politica che lo sostenga. All’interno di un quadro economico sempre più complesso e difficile, l’Unione Europea non è ora più considerata come la grande innovazione capace di tenere lontane le preoccupazioni del mondo, ma come una semplice componente di un ordine mondiale ormai inserito nel vorticoso ciclo della “globalizzazione”. L’unicità e l’esemplarità del progetto europeo non sono più percepite come tali. Esse sono state progressivamente cancellate dalla paura del nuovo e dalla debolezza della leadership delle stesse istituzioni europee. Tutto questo ha generato un progressivo ripiegamento in chiave nazionale di parte dell’opinione pubblica europea preoccupata di vedere travolte le ultime vestigia di generosi sistemi sociali sotto l’assalto degli idraulici polacchi, degli imbianchini rumeni o dei commercianti cinesi.

Non era questa l’Europa di De Gasperi e non è questa l’Europa che noi dobbiamo costruire.

Romano Prodi

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
aprile 3, 2014
Interventi