Se non si combatte il fatalismo, i vizi italiani restano

Vizi italiani: riflessioni di fine estate sul Paese

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 09 settembre 2018

Le vacanze sono terminate da un pezzo e le scuole a breve riapriranno i battenti. Dell’estate che ci lascia tornano in mente le conversazioni avute nelle lunghe serate e forse, prima che ne scompaia il ricordo con l’arrivo delle nebbie autunnali, può essere utile ricordarle. E se non servirà certo a formulare analisi scientifiche o a elaborare ricette politiche, quelle chiacchierate hanno il pregio di essersi svolte in ambienti e con persone diversi dal consueto così da sollecitare una riflessione su problemi ai quali, forse, non si era prestata sufficiente attenzione o, proprio perché dibattuti da decenni, oggi appaiono un po’ trascurati.

Nelle settimane di ferie mi sono reso conto, in modo ancora più concreto, di quanto l’evasione fiscale sia ormai diventata pervasiva, sistematica e investa in modo quasi naturale la vita quotidiana. Nelle gradevoli, anche se forse oziose conversazioni, si palesava con naturalezza che il pagamento dell’affitto delle case di villeggiatura venisse richiesto in contanti e che le apparecchiature elettroniche dei ristoranti mostrassero una tale frequenza di guasti da rendere pressoché obbligatorio l’uso di denaro liquido.

E comportamenti simili venivano segnalati per la maggioranza delle prestazioni professionali avvenute nei giorni di ferie. Dato che vi è forse maggiore riluttanza a parlare apertamente delle condotte tenute nei confronti dei lavoratori dipendenti, nessuno osava evidenziare come le precedenti irregolarità comportassero necessariamente un elevato livello di violazione delle norme assicurative e previdenziali che regolano il mercato del lavoro. Non parliamo poi dell’amico straniero per ben due volte scaricato (bagaglio compreso) giù dal taxi perché, privo di contanti, voleva pagare la corsa con carta di credito, come avviene in tutti i paesi del mondo. E che dire poi dei racconti del bancario sulle numerose richieste da parte dei clienti di cassette di sicurezza sempre più capienti per contenere il contante (frutto di evasione o paura che i conti bancari siano a rischio?)!

Forse l’estate è propensa a favorire il rilassamento dei costumi ma è più legittimo pensare che l’evasione fiscale sia così profondamente legata alle abitudini degli italiani che il suo racconto fa parte, in modo non trascurabile, del processo di socializzazione. Se le cose stanno così non si può certo pensare di risanare i bilanci pubblici e nemmeno di impostare una qualsiasi politica di giustizia distributiva, e nemmeno si potrà mantenere un adeguato livello dei servizi sociali.

Eppure, in contrasto con le pur fatue conversazioni estive, il problema dell’evasione fiscale è scomparso dalla nostra agenda politica. O meglio esso rimane confinato al generale consenso riservato alle azioni punitive nei confronti delle imprese multinazionali che evadono il fisco trasferendo i propri profitti nei paradisi fiscali. Obiettivo certamente lodevole e, in questo caso, da tutti condiviso ma non certo sufficiente per costruire una società solidale e bilanci pubblici in ordine.

Complice il maggiore e più spontaneo contatto con le giovani generazioni, seppure a lezioni ancora sospese, è stato il tema della scuola a imporsi al secondo posto per frequenza di occasioni di dibattito. L’attenzione degli adulti, contornati da ragazzi non certo entusiasti di fare i compiti estivi, si è focalizzata sulla distribuzione dei giorni di lezione e di vacanze durante l’anno.

Non che in Italia i giorni di attività scolastica siano inferiori a quelli della maggioranza degli altri paesi perché, ad esempio, i nostri ragazzi stanno a scuola circa trenta giorni all’anno in più dei loro coetanei francesi. La discussione verteva solo sulla distribuzione delle vacanze: in alcuni paesi, tra i quali l’Italia, si concentrano nei mesi estivi e hanno una durata così lunga e ininterrotta da provocare (secondo alcune ricerche delle quali non sono in grado di verificare la veridicità) una vera e propria regressione delle conoscenze.

Non so se si possa credere alle analisi che ci dicono che un terzo del sapere acquisito durante l’anno scolastico viene perduto se il periodo di vacanze dura ininterrotto per più di otto settimane, ma certo l’interrogativo emergeva con una sua evidente forza da parte dei genitori e degli educatori partecipanti alle conversazioni.

Con l’aggiunta di un’osservazione, anch’essa avvalorata da altrettante ricerche: la regressione è più decisa negli studenti che vivono una condizione di povertà materiale e culturale o appartenenti a gruppi sociali disagiati. A questi vengono infatti a mancare l’aiuto spontaneo di un ambiente più acculturato e la possibilità di accedere a campi estivi e soggiorni all’estero che, anche se non sempre in modo sistematico, possono favorire le condizioni per l’apprendimento.

Nonostante un generale accordo su questa conclusione, insanabili erano poi le divergenze sui rimedi possibili, date le difficoltà organizzative ed i disagi che la variazione dei calendari scolastici imporrebbe agli insegnanti e alle famiglie degli studenti.

Naturalmente le conversazioni estive non sono il miglior punto di partenza per la risoluzione dei problemi della nostra società e, durante l’estate, si è parlato di tante altre cose certamente più rilassanti e divertenti. Tuttavia, come nei due casi esposti in precedenza, sono state utili per una riflessione che forse ci riguarda come società: ho sempre notato il prevalere del buon senso e di una corretta capacità di analisi, accompagnati però da una totale sfiducia che si possa porre rimedio alle nostre ingiustizie e ai nostri errori, pur chiaramente identificati.

Anche durante l’estate lo scetticismo, e una certa dose di fatalismo, restano quindi gli ostacoli che maggiormente rendono difficile il nostro miglioramento collettivo. E questo atteggiamento meriterebbe forse una più approfondita analisi nell’autunno che incalza.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
settembre 9, 2018
Articoli, Italia