Non scaricare sugli altri il peso delle tragedie umane, ogni Paese si assuma la sua parte di responsabilità

Dalla copertina di "Cercare un futuro lontano da casa" di Giancarlo Rigon e Giovanni Mengoli

Diritto al futuro per i minori in fuga

Contributo di Romano Prodi su Il Sole 24 Ore del 14 settembre 2013

Pubblichiamo un contributo del professore Romano Prodi al volume  “Cercare un futuro lontano da casa“, in uscita il 7 ottobre, scritto da Giancarlo Rigon e Giovanni Mengoli per la casa editrice Edb (Edizioni Dehoniane Bologna).

Nelle pagine di “Cercare un futuro lontano da casa“, breve ma straordinario libro, leggiamo le impronte delle tragedie del mondo contemporaneo impresse nel corpo e nell’anima degli adolescenti fuggiti dai Paesi dove l’umanità è più a rischio. Sono ragazzi arrivati più per caso che per disegno.

Basta vedere da dove vengono per capire i loro problemi e le loro aspettative. Sono fuggiti da dove la guerra è più feroce, come la Somalia e l’Afghanistan, o dove le conseguenze della povertà sono più acute per effetto delle rapide trasformazioni della società, come è il caso dell’Albania, del Marocco, della Tunisia o del Pakistan.

Attraverso la storia di questi ragazzi i problemi del mondo entrano direttamente in casa nostra. Vi entrano con delicatezza, quasi in punta di piedi perché gli autori non giocano sulle sensazione ma ci presentano i casi della vita così come sono, con le loro tragedie e le loro speranze, senza mai cedere al sensazionalismo o al desiderio di stupire.

Le storie di questi ragazzi sono presentate con un realismo sconcertante, come se l’assistere all’uccisione dei propri familiari o il viaggiare per mesi nelle mani degli sfruttatori o per giorni sotto l’assale di un camion fossero un fatto naturale, un evento della vita di tutti i giorni. Un mondo vero, che noi tendiamo naturalmente a dimenticare, entra in casa nostra con questi ragazzi che, a volte con successo e a volte con un fallimento, tentano di lasciarsi alle spalle una vita priva di speranza. Un mondo che tuttavia esiste e ricopre forse la maggior parte della terra ma che, anche per una comprensibile difesa personale, ci sforziamo di pensare che non esista. Livelli di crudeltà inauditi o semplici rifiuti familiari hanno spinto questi ragazzi a fuggire e li hanno portati verso l’ignoto senza quel minimo di robustezza necessaria per affrontare difficoltà quasi insormontabili.

E tocca agli educatori e ai responsabili delle strutture di accoglienza affrontare queste difficoltà con quella magica mistura di affetto e di disciplina che sola è in grado di far crescere diritte quelle fragili piante che i venti della vita hanno inesorabilmente compromesso. Un compito reso quasi impossibile dalla diversità del contesto da cui questi ragazzi arrivano. I casi di successo e di insuccesso vengono illustrati con una semplicità e un’oggettività straordinarie, cercando ogni volta di entrare nell’anima profonda di ciascuno dei protagonisti di queste grandi storie umane.

I limiti delle leggi e delle strutture deputate a guidare questi difficili processi educativi vengono messi dagli autori in giusto rilievo, ma senza mai attribuire a essi la ragione esclusiva di una sconfitta o di un fallimento. Gli educatori sanno che il loro compito è di fare il possibile e l’impossibile per aggiustare le cose anche se un’improvvida legislazione impedisce loro di agire proprio nel momento in cui quanto è stato seminato deve ancora portare frutto o la scarsità delle risorse disponibili non permette di completare il processo educativo necessario per il completo inserimento nella società.

Leggendo questi pezzi di vita non si può non pensare che i legislatori (e forse l’intera società italiana) trovino comodo affidare a questi educatori l’intero peso di un compito così importante ma anche così difficile, senza curarsi delle conseguenze che questo disinteresse avrà sulla vita di questi ragazzi e sul futuro del nostro paese. Chiudere gli occhi è in fondo più facile quando si pensa di scaricare su altri il peso delle tragedie umane, nell’illusione che sia possibile risolvere i problemi rigettando le persone oltre confine, verso un passato che, per loro, non esiste più. Oggi questo non è più possibile e ogni paese deve assumersi la sua parte di responsabilità nel grande processo della globalizzazione. Mi auguro che l’Italia si impegni nel futuro a svolgere questo compito meglio di quanto non l’abbia svolto in passato.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
settembre 14, 2013
Articoli, Italia