L’Italia ritrovi il suo ruolo in Libia, ma solo per portare pace e unità

L’Italia deve ritrovare il suo ruolo in Libia

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 7 agosto 2016

La guerra di Libia è già durata quanto la seconda guerra mondiale. Dichiarata e messa in atto dai francesi che, da buoni alleati, non ci avevano nemmeno avvertiti, questa guerra ha portato a noi danni incalcolabili. Ci ha infatti colpiti nel paese africano con cui avevamo le più strette relazioni politiche ed economiche ed ha fatto ormai della Libia la strada unica per un’immigrazione incontrollabile verso L’Italia.

Ho molto riflettuto sulle ragioni, oltre al ben noto proposito di abbattere un dittatore, che hanno spinto i “cugini d’oltralpe” a prendere una decisione così grave, trascinando con se prima la Gran Bretagna e poi gli Stati Uniti e l’Italia.

All’inizio ho pensato subito al petrolio ed ho maliziosamente definito questa guerra come la “guerre Total”. Successivamente ho avuto modo ed occasione di riflettere sugli ultimi anni della politica di Gheddafi che, abbandonata la sua precedente strategia di esportare conflitti nei paesi circostanti, si era in qualche modo proposto di diventare il “re dell’Africa”.  L’immagine del continente nero era dipinta a grandi tratti sulla sua divisa e la Libia, con un duecentesimo della popolazione, finanziava quasi un quarto del bilancio dell’intera Unione Africana, investiva massicciamente in tutti i paesi francofoni a sud del Sahara e, secondo voci non ufficialmente confermate, si preparava a sostituire la moneta legata alla Francia con una nuova valuta.

Le tragedie della guerra si sono però dimostrate più gravi e complicate del previsto, per i conflitti fra le tre grandi aree territoriali della Libia e per le divisioni tra le fazioni e le tribù che erano state tenute insieme solo dal pugno di ferro della polizia e dell’esercito di Gheddafi. Proprio in conseguenza della sottovalutazione degli aspetti negativi generati dal conflitto libico, il Presidente Obama ha sorpreso tutti dichiarando, in una recente intervista, che la partecipazione alla guerra di Libia era stato l’errore più grande della sua presidenza.

Dopo poche settimane da questa intervista Obama, sorprendendoci ancora, ha deciso di intervenire in Libia bombardando le posizioni che l’ISIS mantiene ancora nella città di Sirte.

Se stiamo alle dichiarazioni americane non si tratta di un comportamento contraddittorio perché l’intervento è limitato nel tempo ed è diretto esclusivamente contro le truppe del califfato che, nonostante non siano in numero elevato, stanno ancora mettendo a dura prova le forze che sostengono il fragile governo di Serraj, da noi riconosciuto come legittimo.

Si dovrebbe quindi trattare di un’operazione “chirurgica” contro un nostro nemico comune e non di un cambiamento strategico americano nei confronti della Libia. Dobbiamo anche aggiungere che il governo statunitense ha almeno rispettato le regole della buona educazione, avvertendoci in precedenza, anche se mi chiedo dove sia finito il così solennemente annunciato progetto LIAN (Lybian International Assistance Mission) che affidava all’Italia il ruolo di guida nella gestione internazionale della vicenda libica.

Pur nella prospettiva che il bombardamento di Sirte rimanga un’azione limitata e specifica si deve tuttavia tenere conto delle sue possibili conseguenze sulla necessità di una futura costruzione della pace in Libia. Non solo la Russia ma il generale Kalifa Haftar che, con l’aperto appoggio di Francia ed Egitto, tiene saldamente in mano il potere della Cirenaica, si sono infatti opposti all’azione contro l’ISIS.

Anche se non vedo ragioni insormontabili per non aiutare la limitata azione americana fornendo il supporto di Sigonella e delle nostre altre basi militari, ritengo tuttavia che esso debba essere condizionato al perseguimento dei nostri obiettivi di lungo periodo, tra i quali il primo rimane la pace e l’unità della Libia.

Al di là delle possibili motivazioni di politica interna americana, la decisione di intervenire contro l’ISIS può essere utile solo se, liberato dalla presenza del terrorismo islamico, il dialogo interlibico, può riprendere con vigore e senza condizionamenti esterni.

L’unica operazione utile che si può portare avanti in Libia rimane infatti quella di spingere fino in fondo il dialogo fra le diverse fazioni e tribù, unico modo per salvaguardare l’unità del paese.

La leadership americana può essere quindi efficace solo se è in grado di rendere compatibili gli obiettivi e gli interessi di tutti gli alleati. In Libia questo vuol dire trattenere Francia ed Egitto dal sostenere la divisione della Cirenaica. Così come in Ucraina non si possono imporre le le sanzioni contro la Russia e poi permettere la firma fra Germania e Russia del grandioso gasdotto del mare del Nord. Così come non è coerente firmare la fine delle sanzioni nei confronti dell’Iran e impedire poi alle banche europee di operare liberamente nel paese.

Le grandi alleanze vivono solo con regole condivise e rispettate da tutti. Anche nei confronti dei paesi meno muscolosi.

Print Friendly, PDF & Email
Be Sociable, Share!

Dati dell'intervento

Data
Categoria
agosto 7, 2016
Articoli, Italia