L’Italia ha fatto il suo dovere; ora tocca agli altri

Vivere in un mondo senza crescita

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 17 dicembre 2011

Un mondo senza guida non può che vivere in una pericolosa contraddizione e le contraddizioni di oggi sono così profonde da metterci quasi in trappola. Fino a pochi mesi fa molti governi speravano di potere uscire dalla crisi da soli, quasi per virtù propria. Gli Stati Uniti hanno coltivato a lungo quest’illusione e la Germania la porta ancora avanti e pensa di potere essere la locomotiva di se stessa, aumentando le esportazioni in mercati che diventano invece sempre più poveri. Eppure perfino la Cina, che sembrava del tutto immune dalla crisi, comincia a soffrire in conseguenza della generale caduta della domanda.

Dal mese di giugno le cose sono infatti cambiate. La crescita e le previsioni di crescita sono ovunque crollate. In molti Paesi del mondo, tra cui l’Italia, essa avrà, nel prossimo anno, un pesante segno meno. Quello che si dovrebbe fare in queste circostanze è abbatsanza chiaro: i Paesi con un forte surplus commerciale dovrebbero, per il loro stesso interesse, amentare la propria domanda interna. Con questo aiuterebbero anche le economie, come quella italiana, obbligate ai tagli ed ai sacrifici necessari per mettere in ordine i conti e ripararsi in questo modo dagli attacchi della speculazione. Nessuna azione di questo tipo viene messa in atto e l’Europa sembra procedere tranquillamente verso una crisi più pesante da quella da cui pensava di essere ormai fuori.

Continuando così siamo destinati a ripetere gli errori che ci hanno portato alla crisi degli anni Trenta, quando si è fatto fronte alla grande depressione creandone una ancora più grande. In mancanza di un accordo  generale, i Paesi con un bilancio in deficit, tra i quali non solo l’Italia ma anche la Gran Bretagna, la Spagna e la Francia, sono costretti ad una politica di compressione dei consumi e degli investimenti, rendendo ancora più difficile la ripresa della tanto auspicata crescita. Si predica che rigore e sviluppo debbono andare assieme ma si è poi costretti ad applicare una politica per cui questi due termini diventano impossibili da comporre fra di loro.

L’ultimo vertice di Bruxelles sembrava costituire un passo in avanti nella  direzione di una Unione più forte e solidale e io stesso, la scorsa domenica, avevo commentato con un certo favore i suoi risultati.

Questi positivi passi in avanti sono stati tuttavia rapidamente ridimensionati, se non addirittura cancellati, dagli stessi protagonisti. Il presidente francese in un’intervista a Le Monde e la cancelliera tedesca, nel suo discorso di fronte al Bundestag, si sono solo preoccupati di rassicurare i propri cittadini che nessun sostanziale cambiamento di politica era avvenuto. In conseguenza di queste dichiarazioni i mercati finanziari hanno continuato nel loro atteggiamento negatiivo: gli spread sui titoli italiani rimangono così elevati da obbligarci ad un rigore sempre più stringente e sempre meno compatibile con una strategia di crescita.

Nelle scorse settimane, l’Italia ha fatto il suo dovere: i nostri bilanci sono in ordine per il prevedibile futuro, ma il quadro europeo sembra impedirci di raccogliere i frutti di questa riacquistata serietà. La debolezza politica dell’Eurozona impedisce infatti di allontanare la morsa della speculazione anche dopo un unanime e corale apprezzamento degli sforzi compiuti.

Questo non significa che riforme e sacrifici siano inutili, perchè sarebbe stato davvero drammatico restare senza gli aggiustamenti di lungo termine impostati dal governo Monti. Tuttavia non si avrà mai la quiete fino a che le divisioni europee spingeranno la finanza senza volto a colpire il Paese più debole, alcune di lucrare sulla sua debolezza. Francia e Germania non hanno ancora capito che, se questo processo va a avanti, saranno loro stesse a rimanere col cerino in mano. E non hanno capito che, più la situazione si deteriora, più energiche e dolorose saranno per loro le misure da prendere.

All’indomani dello scoppio della crisi greca, sarebbe bastato un intervento di modesta misura. Oggi, quando nel mulinello sono entrate anche l’Italia e la Spagna, bisogna pensare ad una difesa di livello paragonabile all’offensiva in corso. Bisogna fare capire che l’Euro sarà difeso come lo è il dollaro. Non si potrà perciò sfuggire all’aumento di poteri della BCE e all’introduzione degli Eurobonds. La guerra deve essere combattuta con armi in grado di vincerla e non si può andare a Bruxelles affermando di voler accumulare le munizioni per vincere e tornare a Parigi e Berlino per dichiarare che si era scherzato.

L’Italia ha fatto il suo dovere e questo è stato da tutti riconosciuto. Ora abbiamo il  diritto di esigere che i nostri partner europei ne prendano doverosamente le conseguenze. Essi ci avevano chiesto, con una espressione che ho sempre trovato non poco insultante di “fare i compiti a casa”. I compiti li abbiamo fatti, ed erano compiti molto difficili. Il presidente del Consiglio può ora andare a mostrare con orgoglio il suo quaderno alla severa maestra di Berlino e, presentandosi in classe, non deve solo pretendere un bel voto ma chiedere anche che gli sia dato un adeguato posto dei banchi della classe superiore.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
dicembre 18, 2011
Italia