All’Onu il piano di Prodi per lo sviluppo del Sahel

Una road map per lo sviluppo del Sahel. All’Onu il piano di Prodi

Articolo di Riccardo Barlaam su Il Sole 24 Ore del 22 giugno 2013

Sviluppo è la parola che più di altre può dare significato alla pace. Dall’idea di promuovere un piano internazionale di sviluppo in una delle aree più povere e martoriate del mondo, il Sahel, parte l’iniziativa del segretario dell’Onu Ban Ki-Moon di nominare Romano Prodi, inviato speciale delle Nazioni Unite per il Sahel, lo scorso 11 ottobre. L’impegno dell’ex premier ed ex presidente della Commissione europea, èarrivato a un punto focale: il 26 giugno la sua proposta verrà presentata da Ban al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con il professore presente.

Il Sahel è una vasta area geografica che attraversa l’Africa da un capo all’altro, toccando una decina di paesi lungo la sua sterminata fascia desertica. Parte dal Senegal e si spinge fino alla Somalia, attraversando Mauritania, Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad, Sud Sudan, Eritrea, Etiopia. Se le previsioni di Fmi e Banca Mondiale parlano di una crescita economica impetuosa dell’Africa subshariana, da Tigri asiatiche, nelle prossime due generazioni, il Sahel è l’unica area cuscinetto che resta fuori da tutte le stime. Un buco nero. Il buco nero del mondo. Per tanti motivi. Legati all’instabilità politica, alla corruzione, al clima desertico, all’arretratezza delle economie, ai traffici internazionali di esseri umani e di droga che passano per il Sahel, in direzione Europa, e hanno tutto da guadagnare dal perpetuarsi di regimi deboli e autocratici.

Il primo obiettivo delle politiche dell’Onu è quello di superare la crisi del Mali, tuttora in corso, e più in generale, stabilizzare l’area: l’attentato alla sede Onu di Mogadiscio da parte degli islamisti, pochi giorni fa, dimostra ancora una volta quanto sia debole la pace. Da qui la proposta di lanciare un Programma internazionale di sviluppo, con un fondo ad hoc, che ha mosso i vertici delle Nazioni Unite e che ha impegnato Prodi in questi mesi tra Africa, Europa, Stati Uniti, Cina.

La cosa nuova di questo piano è che non stato calato dall’alto delle organizzazioni internazionali, ma ha avuto un percorso inverso.

Il lavoro del professore è partito dal basso, dai Paesi interessati: sono stati coinvolti i centri di ricerca africani, le università e gli esperti locali per cercare di identificare le priorita’ e le necessità di questi Paesi. Sono stati anche coinvolti i potenziali paesi donatori per cercare il loro sostegno e condividere il progetto. “Sono molto soddisfatto del lavoro fato finora – commenta Prodi – soprattutto perché i docenti africani e gli esperti hanno individuato i progetti. Sono loro che hanno definito le priorità e le cose da fare, di cui hanno bisogno per lo sviluppo”. Sei professori africani sono stati i capigruppo del progetto che ha portato alla redazione del Piano di sviluppo per il Sahel ora nelle mani di Ban. Dietro di loro, hanno lavorato altri 26 professori, tra docenti ed esperti delle università dei diversi paesi del Sahel. Un primo seminario per mettere insieme le proposte si e’ svolto a Dakar, nel marzo scorso, presieduto da Prodi e da Jeffrey Sachs della Columbia University.

L’ultimo seminario, quello conclusivo si è svolto il 14 giugno a Bologna, all’Alma Graduate School, promosso dalla Fondazione per la Collaborazione tra i popoli di Prodi. Presenti i docenti africani, rappresentanti delle Nazioni Unite, dell’Unione europea, dell’Accademia di Scienze Sociali di Pechino e esperti della Università di Bologna.

Ora a New York i vertici del Palazzo di Vetro dovranno decidere se e come andare avanti per cercare di dare un futuro a questa road map per lo sviluppo del Sahel. Le ultime vicende di cronaca legate ai sanguinosi attentati di Mogadiscio, avranno di certo un peso nelle decisioni dell’Onu. Se questo progetto prenderà forma superando le perplessità e gli egoismi delle nazioni occidentali sarà davvero una cosa buona per il Sahel, e lo sarà per tutta l’Africa indirettamente.

Per un motivo molto semplice: il Sahel è oggetto di attenzione della comunità internazionale solo nelle emergenze: carestie e guerre che in queste aree si ripetono purtroppo ciclicamente. Ma mai finora si era parlato di sviluppo a medio e lungo termine. Il Piano di Prodi individua diversi settori e per ognuno di essi una serie di azioni e progetti da realizzare. I settori interessati sono: infrastrutture (strade,ferrovie, tlc), sviluppo agricolo e irrigazione, energia, formazione professionale e sanità. La lista delle cose da fare e’ lunga e dettagliata. “Gli esperti – conclude Prodi – hanno lavorato seriamente e, mi sembra, bene. Insieme hanno elaborato una serie di idee e anche la proposta di un quadro finanziario, con cui attuare gli interventi che è un altro aspetto innovativo rispetto alla modalità tradizionale degli aiuti alla cooperazione.

Il Piano che ho presentato al segretario dell’Onu prevede difatti la creazione di un Fondo per lo sviluppo del Sahel che potra’ essere finanziato in due modi: in modo tradizionale, con le risorse che i singoli paesi potranno attribuire al Fondo gestito dall’Onu, oppure direttamente, attraverso la realizzazione concreta da parte dei paesi donatori di opere contenute nel Piano di sviluppo. La Germania, ad esempio, potrà decidere di costruire da sola gli ospedali in un determinato Paese del Sahel, oppure potrà decidere di finanziare l’opera attraverso l’Onu”. La gestione diretta significa un controllo maggiore sui costi. Un minor rischio di sperpero di denaro pubblico e di corruzione. Significa inoltre che il singolo paese donatore vedrà concretamente i frutti del proprio impegno e questo, alla lunga, potra’ generare una concorrenza virtuosa tra i Paesi donatori”.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
giugno 22, 2013
Articoli, Italia