Abolire Tar e Consiglio di Stato per non legare le gambe all’Italia

Più risorse abolendo TAR e Consiglio di Stato

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero, Il Mattino e il Gazzettino del 11 agosto 2013

“Ogni giorno si propongono nuovi rimedi per tentare di rilanciare l’economia italiana. Si parla di sollievi fiscali, ma ci si trova bloccati dalle ristrettezze di bilancio e dagli obblighi di Bruxelles. Si insiste sul costo del lavoro ma poi si deve constatare che esso, oneri sociali compresi, è in genere inferiore a quello della Germania e degli altri competitori dell’Europa occidentale (Spagna esclusa).

Si mette in luce la mobilità del lavoro ma gli imprenditori confessano che, salvo l’incancrenimento dei rapporti in alcune grandi imprese, il problema della mobilità non è certo più grave di quello della Francia e che, per i giovani, la mobilità è sostanzialmente totale perché il posto fisso non arriva mai. Il problema deriva piuttosto dall’inammissibile lentezza dei regolamenti di attuazione in materia. Certo tutti questi pilastri della vita economica hanno bisogno di modernizzazioni e cambiamenti, così come il costo dell’energia che, tra orpelli e costi aggiuntivi, ci rende diversi da tutti i Paesi del mondo.

Questi cambiamenti sono necessari ma costano. Quando però si fanno concreti ragionamenti con i potenziali investitori (siano essi italiani o stranieri, fatta esclusione per quelli che comprano i nostri marchi più prestigiosi), essi elencano prima di tutto l’incertezza che pende su ogni decisione economica per effetto del modello organizzativo della nostra giustizia amministrativa.

Mi diceva con amara ironia uno di questi che, se si abolissero i Tar e il Consiglio di Stato, il nostro Pil assumerebbe subito un cospicuo segno positivo.

Un aumento del Pil non solo senza spese ma con copiosi risparmi.

E mi elencava l’enorme e senza confronti spazio di potere che queste istituzioni hanno assunto rispetto ai limiti rigorosi che esse hanno negli altri paesi.

Non sono un giurista per dire se questo sia possibile, ma certo non posso non notare che il ricorso a questi tribunali è diventato un fatto normale ogni volta in cui si procede a un appalto o che sia pronunciato l’esito di un concorso pubblico o una qualsivoglia decisioni che abbia un significato economico. Il tutto senza sostanziali limiti al ricorso. Il quale blocca regolarmente e per anni gli investimenti infrastrutturali, ferma per periodi quasi indefiniti i concorsi universitari e viene usato per scopi che il buon senso ritiene del tutto estranei a un’efficace difesa dei diritti. Con la giustizia amministrativa si è persino bloccato l’insegnamento in lingua inglese al politecnico di Milano e si ferma regolarmente l’assegnazione degli acquisti pubblici decisi da un organo dello Stato come la Consip, che è stato creato proprio per fornire una sicura garanzia nel delicato campo degli acquisti della Pubblica amministrazione.

Il ricorso al Tar è diventato un comodo e poco costoso strumento di blocco contro ogni decisione che non fa comodo, penetrando ormai in ogni aspetto della vita del paese. La conseguenza è che, in presenza di un’eterna incertezza, i capitali e le energie umane fuggono dall’Italia verso luoghi nei quali quest’incertezza non esiste. Non essendo giurista non riesco a suggerire rimedi che non cadano poi nella rete degli azzeccagarbugli ma, nella difficile realizzabilità del l’abolizione del Tar, chiedo di essere aiutato a fare in modo che i ricorsi siano ammessi nei rari casi in cui conviene che siano ammessi (cinque o dieci per cento dei casi rispetto a oggi?), che siano accompagnati dalle opportune garanzie finanziarie, che i ricorsi dichiarati infondati provochino le logiche conseguenze negative a chi li ha sollevati e che siano decisi nei tempi coerenti con l’obiettivo di non legare le gambe all’Italia.

Possibile che non ci sia qualche giurista disposto ad aiutarmi nel risolvere questo problema?”

 

Il contributo dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino, su Il Messaggero dello stesso giorno.

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