Mercato globale, resistenza imprevista. Ora serve una maggiore cooperazione
Mercato globale, resistenza imprevista. Ora serve una maggiore cooperazione
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 27 dicembre 2025
Proprio all’inizio dell’anno che sta per finire, Donald Trump aveva annunciato un cambiamento tale da rivoluzionare il mondo della politica e dell’economia.
Dopo dodici mesi si può concludere che la rivoluzione politica è purtroppo interamente avvenuta, mentre la rivoluzione economica ha fortunatamente manifestato solo in parte i suoi effetti negativi.
Dal punto di vista politico, il Presidente degli Stati Uniti aveva infatti fin dall’inizio reso evidente la sua profonda repulsione nei confronti dell’Europa.
A questa si è aggiunto un generale disprezzo nei confronti di tutti i sistemi democratici e la sua preferenza ad accordarsi in modo preferenziale con i regimi autoritari. Solo con loro Trump intende decidere i destini del mondo, senza gli impicci e i problemi che le democrazie necessariamente comportano.
Il predominio della forza è stato sempre un elemento fondamentale per determinare gli equilibri mondiali, ma eravamo almeno abituati a vederlo temperato dal progresso dei diritti individuali e collettivi che sempre si accompagnano alle dinamiche dei sistemi democratici.
Era inoltre patrimonio comune che il paese leader della democrazia mondiale fossero gli Stati Uniti, non solo per i delicati e sperimentati equilibri delle sue istituzioni, ma anche per il ruolo svolto nel liberare l’Europa dai regimi autoritari.
Ha quindi destato una vera sorpresa constatare che questi robusti rapporti fra le due sponde dell’Atlantico siano stati, nel periodo di un solo anno, spezzati oltre ogni previsione. Non una divisione dettata da semplici motivi di interesse, ma da una distanza così profonda da spingere il Presidente americano a pronunciare parole di profondo disprezzo nei confronti sia delle istituzioni che dei popoli europei.
Il tutto accompagnato da una parallela conversione della politica interna verso l’accentramento dei poteri dell’esecutivo a scapito di tutti i pesi e contrappesi che erano sempre stati il fondamento della democrazia americana.
Alla chiusura di questo 2025 il mondo presenta quindi un quadro in cui, molto più nettamente rispetto all’inizio dell’anno, Cina e Stati Uniti si dividono fra di loro il pianeta, estendendovi progressivamente il loro potere e la loro influenza.
Il che implica l’emarginazione di ogni inciampo intermedio, a cominciare dall’Europa che, a causa delle sue divisioni, non riesce a trovare un ruolo attivo nel nuovo assetto della politica mondiale.
Se il predominio della forza è stata una caratteristica permanente della storia dell’umanità, non si era però mai assistito ad una caduta del ruolo della diplomazia come è avvenuto nell’anno che sta volgendo al termine.
La rivoluzione politica di Trump ha quindi, nello spazio di pochi mesi, già messo in atto i suoi negativi effetti.
Meno dirompenti sono invece, almeno fino ad ora, le conseguenze dell’annunciata rivoluzione economica. Una rivoluzione che aveva come obiettivo la fine della globalizzazione e, come immediato strumento di azione, una barriera di dazi che avrebbe posto rimedio al crescente passivo della bilancia commerciale e, nello stesso tempo, alleggerito il peso del debito pubblico americano.
Commentatori di tutto il mondo, compreso chi scrive, avevano quindi previsto che il commercio internazionale sarebbe crollato, causando una forte caduta del Prodotto Lordo Mondiale e un intollerabile tasso di inflazione negli Stati Uniti.
L’economia, che avrebbe dovuto essere al centro del grande terremoto, ha invece mostrato una sua imprevista capacità di resistenza.
La crescita globale si sta infatti mantenendo vicino ai valori dello scorso anno (intorno al 3%), gli Stati Uniti rimangono su un discreto 2% e l’Unione Europea, come solito, ad un livello sensibilmente inferiore.
L’economia mondiale sta quindi facendo fronte alle più alte tariffe americane senza le conseguenze disastrose che si prevedevano, mentre il commercio mondiale, dopo gli scossoni iniziali, mantiene una crescita non lontana dal 5%. Naturalmente non si tratta di dati omogenei per tutti, con un Europa complessivamente più affaticata nel mantenere la sua quota nei mercati internazionali, soprattutto a causa delle crescenti difficoltà dell’export tedesco.
Quanto all’inflazione, essa rimane sotto controllo anche in conseguenza del comportamento dei prezzi dell’energia che, dopo i sussulti degli scorsi anni, rimangono contenuti per effetto di una generale prevalenza dell’offerta rispetto alla domanda.
Non è tuttavia probabile che questo minore turbamento dell’economia rimanga tale anche nel futuro. Gli effetti negativi dei dazi sull’inflazione americana non si sono ancora fatti interamente sentire e non è certo sicuro che le quotazioni delle azioni rimangano ai livelli straordinariamente elevati ai quali, soprattutto per quanto riguarda i titoli dell’High-tech, sono giunti negli ultimi anni.
A questo si aggiunge il continuo aumento del surplus della bilancia commerciale cinese che, nonostante i dazi, ha superato l’incredibile cifra di mille miliardi di dollari con un avanzo, soprattutto nei confronti dell’Europa, che non potrà certamente durare a lungo senza provocare cambiamenti e, probabilmente, veri e propri conflitti.
Le conseguenze politiche di Trump si sono quindi, almeno fino ad ora, fatte sentire più nella politica che nell’economia, dove i cambiamenti sono stati molto inferiori rispetto alle previsioni. Anche riguardo all’Italia non si sono verificate novità rilevanti nell’economia.
Il bilancio pubblico mantiene un sano e utile equilibrio, ma la crescita rimane inferiore ai pur modestissimi livelli europei e inferiore anche rispetto ai livelli degli anni immediatamente precedenti al Covid. L’occupazione è in aumento, ma i salari continuano a perdere capacità d’acquisto contrariamente a quanto avviene negli altri paesi europei, mentre la produttività totale del sistema cala.
Benvenuti quindi gli equilibri di bilancio ma, per mantenersi in equilibrio anche in futuro, è del tutto indispensabile riprendere la crescita. Il che implica cambiamenti e riforme radicali nelle strutture produttive e nei comportamenti della Pubblica Amministrazione, dato che non ci possiamo attendere sostanziosi aumenti nei consumi, non è prevedibile un ulteriore calo dell’evasione fiscale e il peso di ogni pensionato nei confronti di ogni lavoratore continua ad aumentare.
Auguriamoci quindi che il prossimo anno ci porti in tutto il mondo una minore aggressività nella gestione della politica e una maggiore cooperazione nel campo economico.
L’analisi di quanto è avvenuto nel recente passato ci obbliga tuttavia a concludere che entrambi gli obiettivi non sono facili da raggiungere.

















