Dopo Trump dobbiamo allearci con la Cina?

Scenari globali: dopo Trump dobbiamo allearci con la Cina?

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 06 dicembre 2025

Quando Donald Trump ha trasformato in atti concreti le politiche economiche annunciate in campagna elettorale, i così detti esperti (tra i quali comprendo me stesso) si erano uniti in un coro di giustificata e feroce critica. Sembrava infatti scontato che la politica dei dazi avrebbe frenato la crescita americana e avviato un pesante processo inflazionistico. Allo stesso modo appariva inevitabile che, aggiungendo ai dazi una continua lotta contro l’Onu e le sue agenzie, Trump avrebbe suscitato una forte opposizione internazionale.

Finora però l’economia americana ha mostrato solo una lieve diminuzione della crescita e un aumento dell’inflazione non allarmante. Non si tratta certo di un giudizio definitivo, essendo passato troppo poco tempo perché questi fenomeni possano esprimersi pienamente.

Desta invece sorpresa la debolezza e la frammentazione della reazione di tutti i paesi pesantemente danneggiati dagli ostacoli al commercio e dalla progressiva demolizione delle organizzazioni internazionali messe in atto da Trump.

Le conseguenze si sono già viste: al vertice dei G20 di Johannesburg abbiamo ascoltato tante affermazioni di principio senza nessun accordo e, nel grande summit del Cop30 sul clima, i paesi partecipanti hanno dato più voce all’utilizzo delle vecchie fonti di energia che non alla corsa verso le nuove.

L’autoritarismo di Trump sta progressivamente portando alla completa disgregazione dei legami internazionali, che pure già da lungo tempo si erano indeboliti.

Può sembrare assurdo ma, dopo che per tanti anni si era parlato di una decadenza del potere americano, sono di nuovo gli Stati Uniti a giocare il ruolo di protagonista nella politica mondiale, pur camminando in direzione opposta rispetto a quella precedente. Non più leader dell’aggregazione, come è stato il grande merito storico durante tutto il secolo scorso, ma protagonista di una frammentazione tale da permettere all’America, pur indebolita, di riproporre, anche in questo passaggio di disgregazione, la sua centralità. Non più fondata su una grande alleanza con i paesi democratici, ma cercando soluzioni nel rapporto diretto ed esclusivo con paesi che nulla hanno a che fare con la democrazia.

Una svolta così radicale può avere successo solo se è aiutata dalla debolezza dei paesi democratici e se non trova alcun ostacolo nella politica interna. Trump queste due carte le ha in mano e le gioca con destrezza: accentra il potere, elimina ogni dissenso interno e interloquisce quasi esclusivamente con i governi autoritari. Non a caso ha affrontato la tragedia di Gaza, e sta tentando la soluzione della guerra di Ucraina dialogando con Cina, Russia e, anche se parzialmente, con Arabia Saudita e Turchia. Un dialogo a cui si accompagna il costante disprezzo verso l’Europa.

Finora unicamente la Cina sta preparando una strategia alternativa, non solo usando le terre rare come arma di guerra ma, soprattutto, sostituendo il mercato americano con un’accresciuta presenza in tutto il resto del mondo.

In questo quadro diventa cruciale il suo rapporto con l’Europa che, nell’immediato, costituisce l’unico grande mercato in grado di alleviare, almeno in parte, il danno provocato dalla chiusura americana.

Pechino però non tiene in sufficiente considerazione il fatto che l’impressionante aumento della sua della sua capacità concorrenziale provoca una sempre più condivisa reazione nei governi e nei produttori europei. In quasi tutti i paesi prende maggior piede l’opinione che, dato il numero crescente delle imprese in difficoltà per effetto della concorrenza del Celeste Impero, sia necessario erigere barriere sempre più elevate nei confronti della Cina.

Siamo dunque a un passaggio cruciale. Una rottura fra Unione Europea e Cina provocherebbe il collasso finale di quello che resta della globalizzazione, con la conseguenze simili alla crisi del 1929.

E’ quindi interesse cinese ed interesse europeo cercare un compromesso per evitare conseguenze irrimediabili. Siamo però di fronte a un passaggio difficile perché, da parte cinese, abbiamo sovracapacità produttiva, forza concorrenziale senza precedenti e una moneta molto sottovalutata. Da parte europea siamo, come al solito, paralizzati da interessi divergenti, tali da rendere per ora impossibile una qualsiasi proposta concreta.

Si è avuta una chiara dimostrazione di questa difficoltà nel summit fra Europa e Cina dello scorso luglio. Non essendo nessuna delle due parti in grado di fare un passo in avanti, non si è parlato di niente.

All’inizio di queste riflessioni ricordavo che le decisioni di Trump erano state travolte da un coro di giustificata e feroce critica ma, guardando come stanno procedendo gli eventi, siamo costretti ad ammettere che nulla è stato fatto per porre riparo al disastro annunciato. Continuando in questo modo, Trump potrà ancora cercare di fare e disfare quello che vuole.

Né l’Unione Europea né i dirigenti cinesi sembrano in grado di preparare la strada per arrivare al necessario compromesso. Se così stanno le cose non ci resterà che prendere atto che siamo nelle mani, sempre più inaffidabili, del presidente americano.

 

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Dati dell'intervento

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dicembre 6, 2025
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