America first? E l’Europa che fa?

America first e l’Europa che fa?

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 13 dicembre 2025

Sono passati dieci giorni dalla pubblicazione del rapporto del National Security Strategy (NSS), documento che esprime in modo dettagliato ed esplicito i cardini della politica estera del nuovo presidente americano.

Tante sono le novità, ma il tema dominante è, ovviamente, “America First” cioè il primato della leadership americana, rafforzata in tutti i suoi strumenti politici, economici e militari.

La priorità è naturalmente riservata alla politica, con un’esplicita rivoluzione dottrinaria riguardo alla quale l’antico ordine americano ed europeo, fondato sul liberalismo e la democrazia, lascia il posto alla legge del più forte.

La supremazia militare, economica e tecnologica, gli interessi materiali e la sovranità nazionale debbono prevalere sui valori democratici.

Non certo un principio nuovo, ma è interessante che emerga in ogni paragrafo del rapporto, con un’evidente differenza non solo rispetto ai principi enunciati nella politica americana tradizionale, ma altrettanto lontano da quanto era contenuto nell’analogo documento redatto da Trump all’inizio del suo primo mandato.

Questo sottolinea la vera e propria rivoluzione compiuta dai think-tank vicini a Trump durante i quattro anni del mandato di Biden. Una rivoluzione che, tuttavia, almeno su uno degli obiettivi fondamentali del NSS, riproduce la vecchia dottrina formulata dal Presidente Monroe più di duecento anni fa.

Una dottrina che, sintetizzata con il motto “l’America agli Americani”, estendeva il dominio statunitense su tutto l’emisfero occidentale, a partire dall’America Latina. E’ importante sottolineare questo aspetto perché si tratta di una dottrina che sta già producendo una prima azione concreta, con l’aumento delle azioni ostili e delle ritorsioni nei confronti del governo venezuelano.

In un certo senso l’azione contro il Venezuela mette in dubbio il secondo obiettivo del documento e cioè che la politica americana si deve tenere lontana da tutte le guerre regionali che, come quella in Iraq e in Afghanistan, avevano tanto danneggiato i predecessori di Trump e tanto indebolito gli Stati Uniti.

Al dominio sull’emisfero occidentale l’America First aggiunge un altro primario obiettivo: il contenimento della Cina sia sotto l’aspetto economico che sotto l’aspetto militare. Questa decisione rimane un punto fermo che, peraltro, riassicura tutti coloro che temevano che Trump potesse in qualche modo abbandonare Taiwan.

Più morbido è invece l’atteggiamento nei confronti della Russia che, in tutto il NSS, non è mai citata come nemico. Scelta rispetto alla quale non è certo estraneo il costante obiettivo di Trump di conferire alla Russia una maggiore forza del suo ruolo nei negoziati per porre fine alla guerra di Ucraina. Questo suo cambiamento nei confronti della Russia non mette però in discussione l’esistenza della Nato, anche se ne cambia radicalmente la natura. Non vale più l’ipotesi che gli Stati Uniti intervengano automaticamente in caso di aggressione nei confronti di un membro dell’alleanza. Ogni impegno americano deve essere subordinato agli interessi specifici degli Stati Uniti, con un’ulteriore caduta della solidarietà fra i membri dell’Alleanza prevista dal famoso articolo cinque del trattato.

Una Nato più indefinita a cui si deve quindi accompagnare un forte aumento della spesa militare europea che faccia dell’Europa una specie di cuscinetto fra la stessa Russia e gli Stati Uniti. Allo stesso modo viene dato grande rilievo al ruolo del Giappone come base avanzata della presenza militare americana nel Pacifico, perno della deterrenza anticinese e partner economico e tecnologico che gode l’assoluta fiducia della presidenza americana.

Da questa strategia a livello mondiale manca sostanzialmente l’Africa, in quanto non ritenuta rilevante per la competizione fra le grandi potenze. Forse perché ritenuta perduta in partenza per effetto della capillare presenza economica cinese e dell’intervento militare russo.

Ritornando ai rapporti con l’Europa, da un lato è presente una spinta quasi ossessiva per aumentare le sue spese militari ma, dall’altro, sta crescendo un’avversione altrettanto intensa nei confronti dei principi sui quali è fondata l’Unione Europea, accusata addirittura di essere nata solo in funzione anti-americana. Le regole che guidano l’Unione sono ritenute un pericolo maggiore rispetto alla stessa guerra di Ucraina e, a cominciare dalla politica di difesa, tutto deve ritornare sotto il controllo dei singoli stati nazionali.

Si tratta di un’avversione profonda nei confronti dell’Unione Europea, originata dal timore che l’Europa finisca con l’essere un competitore troppo invadente. Questo sentimento sta producendo in Europa le stesse tensioni che oggi attraversano la società americana.

Non si è ancora esplicitamente arrivati a ripetere la conclusione di Musk che l’Unione europea deve essere abolita e che la sovranità deve ritornare alle singole nazioni, ma è certo che la destra americana sta assumendo la funzione di guida per una destra europea che vuole tornare alle politiche nazionali partendo dal mantenimento dell’unanimità che paralizza l’Unione e riporta ogni decisione alla Nazione.

L’attuale paralisi e le conseguenti crisi che tanto hanno rallentato la politica europea rendono ovviamente più forti i movimenti e i partiti che vogliono ricostruire le politiche nazionali. Non ci si deve quindi sorprendere che le pressioni americane in questa direzione abbiano ricevuto un’adesione crescente da parte della destra europea. Credo però che sia il momento di dimostrare che America First, cioè la Prima, non debba necessariamente comportare che l’Europa si rassegni ad essere l’Ultima.

 

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Dati dell'intervento

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Categoria
dicembre 14, 2025
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