Usa e Cina litigano ma gli scambi crescono

Prodi: «Yellen ha ragione, Usa e Cina litigano ma gli scambi crescono»
Romano Prodi, ex premier e presidente della Commissione europea, commenta con prudente realismo le aperture di Janet Yellen verso Pechino.

Intervista di Riccardo Barlaam a Romano Prodi su Il Sole 24 Ore del 23 aprile 2023

“Negli Stati Uniti l’unico punto su cui, a detta dei politologi, tutti sono d’accordo è la posizione anti cinese. Su questo tema democratici e repubblicani hanno una posizione adamantina e sono convinti che la Cina sia un pericolo per gli interessi economici e militari americani”. Romano Prodi, ex premier e presidente della Commissione europea commenta con prudente realismo le aperture di Janet Yellen verso Pechino.

Il segretario al Tesoro ha parlato della necessità di avere relazioni costruttive con la Cina…

Nelle sue parole c’è la prudenza verbale di chi ha a che fare ogni giorno con i problemi concreti del Paese. Janet Yellen è stata la prima donna governatrice della Federal Reserve con Barack Obama dal 2014 al 2018. E ora con Biden siede nella poltrona di ministro dell’Economia. Si trova ogni giorno a che fare con i problemi delle aziende, di chi produce o fa scambi commerciali.

Il suo ruolo la obbliga a posizioni di apertura?

Come governatrice della Fed era abituata a misurare i termini. Diciamo che è quasi obbligata anche oggi a usare espressioni più caute e prudenti rispetto agli altri politici americani.

In Europa da una prospettiva diversa hanno creato clamore anche le parole di Emmanuel Macron dopo la sua visita in Cina, che ha parlato di equidistanza tra Stati Uniti e Cina, di rischio vassallaggio dell’Europa verso l’America e di autonomia strategica europea…

Certamente bisogna vedere se gli americani danno alle parole di Yellen lo stesso valore che gli europei danno alle parole del presidente francese Macron. E’ chiaro che al di là delle esasperazioni verbali rispetto alle quali ha fatto marcia indietro anche Macron, l’Europa ha un atteggiamento in generale meno ostile nei confronti della Cina rispetto agli Stati Uniti perché gli interessi sono assai diversi. Non per nulla in una fase così calda nei rapporti tra Cina e Stati Uniti non abbiamo visto nessun viaggio di esponenti americani a Pechino e né tantomeno mi sembra siano in programma nell’immediato futuro.

Le comunicazioni sulla linea Washington-Pechino al momento sono interrotte.

Il capo della diplomazia Usa Antony Blinken doveva andare in Cina, poi è avvenuto l’episodio dello spionaggio, dei palloni spia che volavano sopra Stati Uniti e Canada e quel tentativo di dialogo è naufragato.

Non è così per gli europei.

E’ andato il cancelliere tedesco Olaf Scholz per primo con un seguito di imprenditori. Poi è arrivato a Pechino Macron con gli imprenditori francesi e con a lato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

Che cosa vuole dire?

Significa che i rapporti economici tra Stati Uniti ed Europa con la Cina sono talmente stretti che è difficile ipotizzare una separazione completa tra questi due mondi.

Yellen nel suo sforzo a tendere la mano verso Pechino ha anche detto che la crescita economica cinese non è una minaccia per la leadership globale degli Stati Uniti, mettendo alle spalle anni di politica americana fortemente anti cinese. Basti ricordare gli anni di Trump e dell’America First che hanno chiuso l’era della globalizzazione.

Quello che rende credibili le parole della segretaria al Tesoro, è che nonostante la elevata tensione nei rapporti politici tra Usa e Cina gli scambi commerciali tra i due Paesi continuano a prosperare. Certo, è aumentata l’attenzione sui prodotti tecnologici più avanzati, soprattutto se hanno un effettivo o potenziale uso militare.  Tuttavia nel novembre dello scorso anno in un momento di tensioni altissime tra Stati Uniti e Cina per la guerra dei chip, il porto di Los Angeles non era in grado di scaricare in tempo tutti i container con la merce che arrivava dalla Cina. Ora è chiaro che il ministro del Tesoro non può ignorare questa realtà.

La guerra in Ucraina con le varie posizioni emerse ha complicato ancora di più il quadro. Mosca ora guarda a Pechino che, a sua volta, sta coltivando i rapporti con i Paesi che un tempo chiamavamo non allineati. In questo mondo polarizzato e diviso in nuovi blocchi emerge anche il ruolo crescente della moneta cinese, a discapito del dollaro e anche dell’euro

Sull’Euro va detto che le politiche economiche dei Paesi europei sono apparse così divergenti fra di loro, da mettere in crisi la credibilità che deve accompagnare una moneta che aspiri ad una leadership globale. Non che i successi dell’euro siano mancati: oggi oltre il 20% delle riserve mondiali è denominato in Euro.

Il dollaro resta la moneta globale ma perde spazi

È così. Tuttavia dobbiamo sottolineare che, pur con una diminuzione di oltre dieci punti dal suo massimo, quasi il 60% delle riserve rimane in mani americane e la valuta americana domina ancora in modo schiacciante il commercio internazionale.

È cambiato il mondo. E lo yuan conquista nuovi spazi

La Cina continua nel suo obiettivo di creare un posto crescente al Renminbi. In primo luogo, dopo la guerra di Ucraina, ha ottenuto non solo che gli scambi fra Russia e Cina avvengano progressivamente in moneta cinese, ma che la stessa valuta sia utilizzata per i pagamenti russi con Asia, Africa e America Latina.

Da questo punto di vista la guerra in Ucraina è stata un successo per le ambizioni geopolitiche e monetarie cinesi.

Teniamo presente che prima della guerra di Ucraina, lo Yuan copriva solo l’1% del commercio fra i due Paesi. E ora raggiunge il 16%, con l’obiettivo di arrivare alla quasi totalità entro la fine dell’anno in corso.

Non c’era forse altra strada per Mosca.

Certo si può in questo caso riconoscere che, dati i rapporti di forza esistenti fra Russia e Cina, quest’evoluzione non aveva alternative.

Russia e non solo. Anche i Brics e i Paesi non allineati guardano con favore a Pechino con posizioni ambigue verso l’Occidente. Basti pensare al recente viaggio del presidente brasiliano Lula in Cina.

Ha un enorme significato in questo senso l’accordo fra Lula e Xi Jinping di regolare in Renminbi i crescenti rapporti fra Cina e Brasile. Un accordo che fa parte dell’esplicita strategia cinese di aumentare il ruolo della sua moneta nel commercio con tutti i Paesi non allineati. Un compito non facile perché il mercato dei capitali cinesi è ancora molto chiuso e molto rischioso.

La Cina nonostante le guerre commerciali americane e il cosiddetto decoupling resta la “fabbrica del mondo”

In questi anni i rapporti politici ed economici internazionali della Cina sono aumentati in modo impressionante. E’ sufficiente riflettere sul fatto che, in questo momento, ben 120 Paesi nel mondo sui 193 che aderiscono all’Onu, hanno la Cina come primo partner commerciale. I nuovi rapporti economici includono in modo crescente la clausola di utilizzare la valuta cinese. Siamo naturalmente ancora di fronte a un cambiamento più programmatico che reale perché, anche se in forte crescita, le riserve in Renminbi non superano ancora il 3% del totale mondiale, ma il lavoro quotidiano cinese, costruito su una presenza estesa in tutti i continenti, sta producendo frutti e, soprattutto, sta seminando per il futuro.

Il piano di pace cinese in dieci punti per l’Ucraina non prende le distanze dall’invasione russa. Una pace alla cinese…

Sulla guerra in Ucraina Pechino non dice niente. Non a caso. “La nostra amicizia è forte come la roccia” ha detto Xi a Putin “ma i confini non si toccano”. La Cina non ha votato contro l’invasione russa all’Onu e ha mantenuto nel tempo una sua ambiguità che, dal suo punto di vista, è la posizione più conveniente.

La posizione americana resta una posizione dura e molto diversa. E l’Europa è presa in mezzo…

L’Europa, prima della guerra ucraina e dopo sette anni di trattative, aveva messo a punto con la Cina il Comprehensive Agreement on Investment. Con tempestività e astuzia la Merkel lo aveva portato avanti.  L’accordo era importante, anche se era solo un accordo quadro, perché definiva i punti più delicati nei futuri rapporti economici tra Cina e Europa. L’accordo andò in fumo non solo per un indurimento della posizione americana, ma anche per le tensioni dirette tra Cina e Europa in conseguenza di sanzioni reciproche che hanno soprattutto ferito i parlamentari europei. Questo dimostra come i tentativi di dialogo tra Occidente e Cina vanno avanti e indietro. La mano tesa sta funzionando nel mondo del business. Ma non si traduce in un’azione politica.

Biden sta preparando un ordine esecutivo per frenare gli investimenti americani in Cina in vista del G-7 in Giappone del 19 maggio.

Le sanzioni Usa in arrivo consolidano la mia tesi. Le parole di Yellen sono dette da una persona che ha una sensibilità economica molto forte, vicina al mondo delle imprese che non vuole che i due sistemi si separino totalmente. Però il contenzioso con la Cina tende più ad allargarsi che a restringersi. Anche se poi va ricordato che gli investimenti americani in Cina, Tesla e gli altri, continuano ad andare avanti. Il discorso di Yellen è un monito, mi sembra, per cercare di tenere aperti i canali, per evitare un precipitare della situazione più che un vero e proprio cambiamento di rotta, che al momento non mi sembra sia all’orizzonte.

Come vede le prospettive del mondo con la guerra ucraina?

La guerra ucraina ha reso più forte l’Alleanza Atlantica e l’Europa ancora più dipendente dall’America. E ha consegnato la Russia totalmente nelle mani della Cina. Dal 24 febbraio 2022 il mio pensiero non è cambiato: solo un accordo tra Stati Uniti e Cina può portare alla fine della guerra. È un’affermazione che ho ripetuto mille volte, ma oggi non sembrano esservi le condizioni.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
aprile 23, 2023
Interviste