Superare Cutro: Il progetto sui migranti che serve alle imprese ​

Superare Cutro / Il progetto sui migranti che serve alle imprese ​

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 29 aprile 2023

Da quando il fenomeno migratorio si è intrecciato con i problemi di una lunga e profonda crisi demografica, l’immigrazione ha assunto caratteri nuovi e inaspettati.

Non ancora nel dibattito del mondo politico, dove la realtà delle cose viene fatalmente strumentalizzata dagli interessi elettorali e l’aumento delle paure diventa una risorsa preziosa.

Una nuova consapevolezza sta invece maturando nel paese, che può prendere finalmente atto delle complesse conseguenze di questo intreccio.

La mancanza di mano d’opera sta infatti paralizzando una parte crescente del nostro tessuto sociale ed economico: non si tratta di casi particolari o di settori specializzati, ma di una mancanza sempre più diffusa di forza lavoro.

Un problema che riguarda tanto gli ingegneri quanto i dipendenti degli hotel, dei bar e dei ristoranti, tanto gli agricoltori quanto i camionisti e gli addetti alla sanità o all’assistenza.

Un malessere che non colpisce soltanto gli operatori economici, ma una parte crescente di cittadini che vedono visibilmente peggiorare la propria vita, o la vita dei propri cari, per la mancanza di cura o di assistenza.

Come spesso capita per i mutamenti che incidono su antichi equilibri, il problema è stato ritenuto un evento transitorio, in qualche modo collegato alla necessità di riassetto del nostro sistema economico e sociale dopo la lunga parentesi del Covid.

In seguito l’attenzione si è concentrata sul crollo demografico e il rimedio è stato individuato soprattutto in una nuova politica familiare, dedicata ad aiutare la nascita di un maggiore numero di bambini.

Sia chiaro che questa è in ogni caso una politica assolutamente necessaria e urgente, anche per il semplice fatto che la nostra politica per la famiglia è insufficiente e arretrata rispetto alla maggioranza degli altri paesi europei.

Tuttavia le previsioni dell’Istat e le analisi dei demografi ci hanno progressivamente fornito dati, condivisi e oggettivi, sul fatto che le possibili conseguenze positive di queste pur urgenti e necessarie misure in aiuto delle famiglie non sono tali da invertire le tendenze in atto.

Esse potranno infatti cominciare ad esercitare qualche conseguenza sul mondo del lavoro fra venti-venticinque anni almeno.

A quel punto, però, i danni avranno raggiunto un rilievo irreparabile sul sistema economico e sul bilancio pubblico.

A metà del secolo non solo mancheranno cinque milioni di italiani, ma mancheranno soprattutto le persone che, in età da lavoro, potranno sostenere il peso di una crescente categoria di anziani e ultra anziani.

In un numero sempre più ampio di nostri concittadini si fa strada l’evidenza che un’immigrazione regolata e programmata sia l’unico strumento disponibile per riequilibrare una situazione che prepara per il nostro paese un futuro senza speranza.

E’ quindi l’ora di costruire un progetto per l’emigrazione capace di affiancare e di rendere efficaci le politiche a favore della natalità: un’immigrazione necessariamente complementare alla politica per la famiglia.

Si tratta di un processo complesso che deve partire da una valutazione oggettiva e condivisa della realtà. Una realtà che obblighi le autorità regionali e locali (in coordinamento con la politica nazionale) a dare vita a strutture dedicate a prendersi cura delle caratteristiche qualitative e numeriche di un’immigrazione capace di rispondere ai futuri bisogni delle comunità locali.

Il che significa riflettere non solo sulle esigenze economiche e organizzative del territorio, ma anche sulle sue tradizioni e sui suoi equilibri.

Un compito che deve coinvolgere tutta la società: dagli imprenditori ai sindacati, dagli amministratori locali alle associazioni di volontariato, dalla scuola alla Pubblica Amministrazione, in evidente e necessaria sinergia con gli esistenti Centri per l’Impiego.

Non si deve soltanto organizzare il mercato del lavoro e la necessaria preparazione professionale, ma preparare il complesso processo di orientamento e formazione necessario per l’effettivo inserimento degli emigranti e delle loro famiglie nella società italiana.

Un obiettivo che deve valere anche per coloro che si trovano già sul suolo italiano, ma che sono oggi incredibilmente abbandonati a se stessi, pur se in possesso di qualità e requisiti che potrebbero essere utilizzati a loro e a nostro favore.

Dobbiamo quindi prevedere un processo formativo lungo e coinvolgente, fondato anche sulla necessaria conoscenza dell’Italia, della sua lingua e dei suoi caratteri civili e costituzionali.

A cui si debbono naturalmente accompagnare, come è avvenuto negli altri paesi europei, nuove regole che riconoscano agli immigrati il diritto di cittadinanza non come fatto burocratico, ma come riconoscimento del processo di integrazione compiuto.

Un diritto che, data la sua importanza, deve essere sancito con un riconoscimento pubblico e, possibilmente, solenne.

Naturalmente non tutti gli immigrati intendono mettere radici stabili in Italia: molti, anzi moltissimi, vogliono restarvi per provvedere, per un limitato numero di anni, ai bisogni delle famiglie rimaste in patria.

Anche per costoro occorrono nuove leggi e nuove regole per evitare, ad esempio, che i contributi previdenziali versati vadano sprecati, spingendo questi immigrati temporanei verso il lavoro nero.

Più si riflette su questi temi, più emerge la complessità dei cambiamenti che dovremo affrontare.

Continuando però a presentare l’immigrazione come un problema transitorio, come si è ripetuto con il decreto Cutro, si nasconde semplicemente la realtà. Una realtà che, con quanto sta avvenendo, nessuno oggi può ignorare.

 

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