Un altro governo tecnico sarebbe catastrofico. Maggioranza di legislatura e decisioni rapide per risanare il Paese

“Tra democratici e alleati affidabili patto di legislatura per le riforme”
Prodi: governo e regioni insieme per attrarre investimenti al Sud.

Intervista di Alessandro Barbano a Romano Prodi su Il Mattino del 11 febbraio 2013

  1. Un patto di legislatura con il Pd al centro dopo le elezioni, per fare subito riforme radicali e superare il freno della burocrazia pubblica.
  2. Un accordo tra governo e Regioni meridionali per vincere l’illegalità, ridurre il costo di investimenti e lavoro e far tornare il capitale estero nel Mezzogiorno.
  3. Una svolta nella politica europea che superi egoismi e accordi al ribasso, come quello sul bilancio e punti a una prospettiva federale e solidale.

Sono tre, secondo Romano Prodi, al rientro dalla sua ultima missione in Africa come capo della commissione Onu, i punti chiave dell’agenda politica del Paese che tra due settimane va alle urne.

«I dati socio-economici del Mezzogiorno fanno spavento – dice l’ex premier -. Dimostrano che il divario tra Nord e Sud è cresciuto molto e che, senza un’azione di governo imponente, rischia di diventare irrecuperabile. La percentuale di occupati nelle regioni meridionali è del 29%, vuol dire che lavorano meno di tre persone su dieci. La media italiana è del 38%. La Germania è al 50, praticamente il doppio del Sud. Sono distanze molto pesanti».

Troppe donne fuori dal lavoro ?

“Donne ma non solo, anche giovani e anche maschi adulti. Il divario riguarda l’intero mercato del lavoro. Se non si aprono le porte a nuovi sviluppi, l’emarginazione del Sud rischia di diventare una vera e propria diversità.”.

Eppure il tema Mezzogiorno è il grande assente dalla campagna elettorale, come se tra le forze politiche che si candidano a governare il Paese manchi proprio una visione dell’emergenza meridionale.

“Sì, è l’effetto di un feed-back che si è interrotto tra il centro e la periferia. Una sorta di infarto nella relazione tra la rappresentanza politica nazionale e il Sud. Il popolo meridionale è rassegnato, non crede più a chi fa proposte di sviluppo. E la politica a sua volta dice: perché devo centrare la mia campagna sul mezzogiorno quando so che i miei ascoltatori sono convinti che quello che dico non sia vero?”

E’ un rapporto di sfiducia? Vuol dire che la politica ha tradito troppe volte ?

“Non voglio dare una connotazione morale a questo giudizio, ma piuttosto sociologica. La situazione del Sud è andata negli ultimi decenni peggiorando con una progressione indifferente agli impegni e alle promesse e questo fatto ha strutturato in prima istanza un sentimento di tradimento, ma poi semplicemente di presa di distanza. E’ come se si fossero staccati i contatti tra il centro della politca e il Sud del Paese”.

Sei anni fa, il 13 gennaio del 2007, in un Consiglio dei ministri straordinario svoltosi a Caserta a margine di un vertice europeo, il suo governo varò un’agenda per la crescita destinando 100 miliardi di euro per il Mezzogiorno, con l’obiettivo esplicito di colmare il gap di sviluppo e di qualità della vita del Sud rispetto alle altre aree del Paese. Fu l’ultimo documento di governo che assumeva il divario come l’elemento fondante di una politica economica nazionale …

Ma, invece di colmare il divario, è caduto il governo. Peccato, noi eravamo davvero convinti che per raggiungere un qualche risultato dovevamo mettere il Sud al centro. Purtroppo è accaduto l’esatto contrario e il Mezzogiorno è andato in caduta libera. L’effetto è stato anzitutto una desertificazione industriale: la percentuale di addetti di questo settore nelle regioni meridionali è del 9.4% mentre il Centronord sta al 18,8%, il doppio. Se prendiamo in considerazione solo il Settentrione riscontriamo percentuali tedesche. Il Sud invece è in linea con l’Africa. Sono cifre che fanno rabbrividire. Di fronte alle quali o si fa uno sforzo massiccio oppure si spendono soldi inutili.

Che vuol dire in concreto?

“Che bisogna offrire a chi investe al Sud visibili vantaggi nei costi di avviamento e di produzione rispetto ad altre zone del Paese. Altrimenti gli investitori stranieri ce li sogniamo. Non dimentichiamo che il primo elemento dissuasivo all’arrivo di capitali esteri nel mezzogiorno è l’illegalità. Per capire che effetto fa, bisogna mettersi  nella testa di un ingegnere o di un esperto economico di una grande multinazionale, il quale è portato a pensare così: se io sbaglio investendo in Francia, in Germania, ma anche in Seria, prendo atto del fallimento ma nessuno può dirmi niente. Se sbaglio al Sud mi diranno: ma come non lo sapevi quello che avviene lì? Quando si diventa una zona a rischio, e il Sud lo è diventato, risalire la china è un’impresa titanica. Bisogna convincere gli stranieri che siamo onesti e poi bisogna spiegare loro che investire qui è molto conveniente”.

Quando parliamo dei costi il lavoro viene in primo piano. Cinquant’anni fa c’erano le gabbie salariali, oggi la strada è l’aggancio dei salari alla produttività con una contrattazione decentrata?

“Le formule possono essere diverse. Una cosa è certa. A costi uguali nessuno investe al Sud. Aggiungiamo che la lontananza dei mercati è già di per sé un fattore di diseconomie di scala. Ma la storia dei grandi progetti, come quelli di Gioia Tauro e di Taranto, dimostra che i vantaggi relativi di costo non bastano se poi l’ambiente brucia nella percezione degli investitori ogni convenienza”.

Ma non crede che ci sia anche una narrazione un po’ retorica e noir a penalizzare questo territorio ? La ‘ndrangheta non abita più solo al Sud…

“Si, le rappresentazioni correnti sono stereotipi che superano la stessa realtà. E di questo i media portano una quota di responsabilità. Ma la percezione negativa si è sedimentata per l’accumularsi nel tempo di episodi e comportamenti effettivamente pregiudizievoli. Per rovesciare l’immagine oggi occorrono atteggiamenti doppiamente virtuosi. E di questo deve farsi carico sì il Paese intero ma anche e soprattutto le strutture locali del Mezzogiorno”.

Svimez e altre 21 associazioni ed enti di ricerca che operano al Sud hanno presentato nei giorni scorsi un manifesto nel quale si respinge l’idea che per risolvere i problemi del Mezzogiorno basti spendere bene i fondi europei e si chiede un piano di investimenti mirato a far ripartire l’economia meridionale…

L’ho letto e mi pare splendido. Direi che lo condivido in pieno. Perché, oltre a rivendicare questa visione di insieme, il documento punta a un patto condiviso sullo sviluppo tra centro e periferia. Non basta più l’impegno generico di un governo, occorre un documento firmato dalle Regioni meridionali. L’accordo deve essere interiorizzato dal Sud. Il governo deve fornire il quadro legislativo e le convenienze economiche e il Mezzogiorno deve attuare i progetti, che non possono essere imposti”.

Però, intanto una gran parte dei laureati del Sud emigra.

“E’ questo che mi angoscia. D’altra parte, con quelle percentuali di occupazione chi può scappa. Bisogna tornare a creare da subito occasioni per rimanere”.

L’esperienza dell’unificazione tedesca può insegnare qualcosa ?

“Pensavo esattamente all’esempio della Germania. Risorse ingenti spostate verso l’Est, governante efficiente, severità nelle spese e autonomie locali con politici nuovi, nel loro caso molti giunti dall’Ovest perché dopo un isolamento trentennale non c’era all’est alcuna classe dirigente, se non quella compromessa con il vecchio regime. Il patto è costato molto di più delle previsioni, ma ha avuto successo: oggi tra l’Ovest e l’Est tedesco ci sono differenze minime rispetto a quello che noi abbiamo tra nord e Sud”.

Un accordo al ribasso sul bilancio europeo come quello firmato nei giorni scorsi può aiutare il Sud?

“Certamente no. Questa è un’Europa in cui ognuno vuole tirare a casa i propri soldi e che si impegna sempre meno a creare sviluppo nelle aree più arretrate. Il tema della solidarietà ha un ruolo nettamente inferiore a quello che aveva dieci anni fa”.

Vuol dire che l’Italia non ha motivi per brindare?

“Beh, se Cameron è così  contento qualcosa vorrà dire, no? Certo, possiamo essere contenti anche noi perché poteva andar peggio, ma solo in questo senso”.

Eppure qualcuno è ancora convinto che il cantiere degli Stati Uniti d’Europa sia in piedi e stia andando avanti. Lei non è tra questi?

“Da agosto in poi, da quando si è capito che l’euro vivrà in un futuro prevedibile si dice che l’Europa è uscita dai guai. E’ vero che le previsioni sull’esplosione della casa europea non ci sono più. Ma che Europa si sta costruendo? Non una casa federale comandata da istituzioni come la Commissione, che rappresenta l’interesse sovranazionale, ma un organismo intergovernativo in cui il futuro viene plasmato dai patti tra i governi”.

Studiosi come Zygmunt Bauman e Claus Offe denunciano il divorzio tra il potere, sempre più in mano non solo ai governi ma a strutture finanziarie tecnocratiche, e la rappresentanza, paventando il rischio di crescenti populismi.

“Il populismo non è più un rischio ma una realtà. Non credo che finirà per assumere la maggioranza, ma certamente condizionerà ancor più il comportamento dei governi in senso egoistico, cioè nel senso di pensare che solo l’interesse nazionale permette la costruzione di un futuro migliore  per il proprio Paese. E invece le cose stanno nel modo opposto: o l’Europa agisce in modo solidale o resta fuori dal giro del mondo”.

Lei che in questi ultimi anni ha viaggiato e ha studiato i cambiamenti globali, crede che l’Europa vada in senso contrario rispetto agli altri?

“Il pianeta è diviso in quattro parti dal punto di vista economico.

  • Abbiamo la Cina e alcuni paesi asiatici che corrono oltre l’8 per cento di crescita annua,
  • l’Africa che pur essendo in condizioni miserevoli viaggia al 4 per cento,
  • gli Stati Uniti al 2 per cento
  • e l’Europa lo zero.

Dimenticavo l’Italia, che sta a meno 1. Se questo è il mondo, noi siamo gli ultimi della classe nell’ultima delle classi. E’ chiaro che in questo contesto il futuro del mezzogiorno è ancora più problematico”.

Ma che cosa abbiamo ora davanti come paese ? Una nuova stagione di conflitti e di declino o la responsabilità nazionale cresce sotto traccia?

“la responsabilità e la solidarietà non sono incompatibili con il conflitto.

  • Il primo problema dell’Italia oggi è quello di avere un governo che abbia la prospettiva di una legislatura intera.
  • Il secondo è quello di poter prendere decisioni in tempi rapidi. E qui le cose sono più complesse, perché l’impasse non viene solo dalla conflittualità politica ma dipende ancora di più dall’enorme forza di freno della burocrazia pubblica”.

Ha ragione Monti?

“Sì, l’ha detto anche lui ma è un’evidenza del Paese. Di fronte alla quale occorre un governo che sia sostenuto da una maggioranza omogenea e che nei primi due o tre anni possa prendere tutte le decisioni sgradevoli che sono necessarie e che colpiscono interessi costituiti. Un governo che abbia abbastanza tempo da non essere impaurito da elezioni imminenti, per cui decisioni assunte si dimostrino nel tempo vantaggiose. Le riforme scontentano sempre ma i loro frutti talvolta arrivano prima delle urne successive”.

E se una maggioranza omogenea non fosse nelle urne?

“E’ chiaro che se una maggioranza non c’è, tutto quello che ho detto non vale nulla. Però, non fasciamoci la testa prima di ferirci”.

Eppure c’è chi paventa il rischio di un nuovo governo tecnico che prepari il paese a un altro voto con una diversa legge elettorale.

“Sarebbe una prospettiva catastrofica. Ma io confido che invece possa esserci una seria e omogenea maggioranza”.

La vede tra Monti, Bersani e Vendola?

“Vediamo, le prospettive elettorali possono essere verificate solo dopo che la gente ha votato. Credo che una maggioranza formata solo dal partito democratico o attorno a esso, con alleati con cui si possa firmare un patto di legislatura, è un eventi possibile e da perseguire”.

Per confermare questo equilibrio di governo mancherà un capo dello Stato come Giorgio Napolitano. E già qualcuno pensa a lei come autorevole successore.

L’ho già detto e lo ripeto: il mio impegno alla guida della Commissione Onu per l’Africa è una cosa che sento molto importante, e molto faticosa e in questo momento non penso ad altro”.

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