Con Papa Francesco il cambiamento di rotta nella Chiesa è appena iniziato

Intervista a Prodi: «La politica ascolti il monito del Papa»

Intervista di Federica Fantozzi  Romano Prodi su L’Unità del 10 luglio 2013

Un Papa pastore, consapevole che «per guidare un gregge bisogna condividerne il cammino, le sofferenze, il cibo e l’acqua». Un Pontefice che non fa «prediche astratte» bensì da Lampedusa, facendosi carico di sofferenze essenzialmente «non cristiane» ha lanciato un «richiamo forte» e «un monito netto» ai governanti affinché inseriscano il tema dell’immigrazione nelle loro agende e si impegnino ad affrontarlo con serietà.

Così Romano Prodi, da cattolico, legge le parole di Papa Francesco dall’isola che in questi anni è diventata sinonimo di tragedie di disperati, di carrette del mare naufragate o approdate in mezzo alle intemperie, di minorenni trattenuti nei centri di accoglienza. E avvisa: «Nella Chiesa il cambiamento di rotta è appena iniziato. Non immaginavo nel Papa una coerenza così forte e una velocità così imprevista».

Professore, il Papa a Lampedusa ha pronunciato un mea culpa nei confronti dei migranti del mare denunciando la «globalizzazione dell’indifferenza». Lei, da cattolico, come ha accolto questo messaggio?

«La chiave sta proprio nella «globalizzazione dell’indifferenza» come accusa, spunto, parabola per descrivere le tragedie di un’umanità divisa e indifferente. Il Papa ha pronunciato un richiamo generale all’egoismo che spesso accompagna la globalizzazione, in questo grande mondo che tace e fa finta di non vedere»

I lampedusani hanno ringraziato per la giornata «storica». Una sfida a non dimenticare questa piccola frontiera tra Europa e Africa?

«Andare a Lampedusa è stato un richiamo simbolico al problema della solidarietà umana che va ben oltre l’isola. Nessuno sa con certezza quanti siano gli scomparsi nel Mediterraneo. Tutto il rito del viaggio è stato un messaggio sobrio: un seguito minimo, senza i potenti del mondo, non accompagnato da una rappresentanza politica. Tutto ha contribuito a richiamare l’essenzialità della cosa».

Dal Pdl si sono levate polemiche. Cicchitto ha precisato che un conto è predicare, un altro governare. Coda di paglia o senso comune?

«Nessuno nega che il governare implichi tutti i problemi derivanti da azioni che scomodano molti interessi politici.  Nemmeno il Papa ne disconosce le difficoltà: è un uomo pratico, un pastore, non un filosofo astratto. Senza però un richiamo forte viene a mancare anche l’opera di prevenzione e di rimedio che devono fare i governanti».

Come delegato Onu per l’Africa, e sulla scorta della sua esperienza alla guida della Commissione Europea, che idea si è fatta dell’argomento? Quali soluzioni vede?

«Questo peso non può essere sostenuto da un solo Paese. Serve un’azione comune. Ma le parole del Papa contengono non un obbligo bensì un invito netto affinché le autorità politiche inseriscano questo tema come prioritario nella loro agenda. È un monito forte che interroga le coscienze».

Papa Francesco ha già compiuto diversi gesti di rottura: la sedia vuota al concerto in suo onore, la permanenza a Santa Marta, niente vacanze a Castel Gandolfo. Sembra parlare ai fedeli, senza curarsi delle conseguenze politiche dei suoi atti. Che Pontefice è, secondo lei?

«Un pastore al cento per cento. Direi che la definizione più precisa è questa. Non fa prediche astratte: per guidare un gregge bisogna camminare, soffrire la fame e la sete. Io lo interpreto così: conta l’esempio, il resto è contorno. Compresa la parola».

Si rivolge alle coscienze dei singoli, senza mediazioni?

«Non si rivolge ai singoli ma a tutti. La fede non è un fatto individuale ma un essere insieme nella Chiesa. È un pastore che condivide il cammino, beve la stessa acqua, mangia lo stesso cibo».

La sera del 13 maggio, quando dal conclave è arrivata la fumata bianca, lei era in piazza San Pietro. Cosa ha provato quel giorno? Si aspettava questi gesti da Papa Francesco?

«Quel giorno io non conoscevo questo Papa. Ero in fiduciosa attesa. Il messaggio fortissimo è arrivato dopo. Certo, la scelta del nome era di per se stessa un messaggio, ma non immaginavo una coerenza così forte e una velocità così imprevista nell’imprimere questa nuova direzione alla Chiesa».

Papa Francesco continuerà su questa strada? O incontrerà troppi ostacoli?

«Mi aspetto reazioni sempre più forti. Non crediamo che quando un messaggio diventa di cambiamento così evidente sia accolto in modo non conflittuale. Il mutamento di rotta della Chiesa è solo iniziato».

Il Papa ha mandato anche un messaggio al mondo islamico. Dopo aver lavato i piedi a una giovane detenuta musulmana a Casal del Marmo. Un altro segnale?

«Lampedusa non è un luogo di sofferenza cristiana. La maggioranza di chi vi approda arriva dal sud del mondo. Pakistan, Somalia, Bangladesh: Paesi musulmani. La partecipazione così diretta alle loro sofferenze è un messaggio che è stato accolto con grande interesse anche da quel mondo».

Come valuta la proposta di introdurre lo ius soli temperato come criterio per l’attribuzione della cittadinanza italiana?

«Mi sono già espresso a favore, purché sia fatto in modo serio. Bisogna mettersi in testa che con la nostra demografia e con le scelte professionali che fanno i nostri ragazzi, il problema è inserire la prossima generazione composta da figli di immigrati nel sistema Italia. Dobbiamo renderli cittadini attivi e capaci di innovare il Paese, come accade in Usa e Francia. Se li terremo esterni o ai margini, non contribuiranno alla nostra crescita».

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