Nuova rivoluzione dell’auto: l’Italia non resti marginalizzata

Le vite di Marchionne
Il Paese torni strategico nella nuova era dell’auto

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 7 giugno 2015

Anche in Italia il mercato dell’auto sembra in ripresa dopo la lunga crisi. In maggio gli acquisti sono aumentati del 10,8% rispetto allo stesso mese dello scorso anno e l’unico grande produttore che si adorna, almeno parzialmente, della bandiera italiana, cioè la Fiat-Chrysler, ha smesso di perdere quote di mercato, passando dal 27,8% del maggio scorso al 28,5% di quest’anno. Vi  sono anche, finalmente, elementi per pensare che quest’inversione di tendenza sia l’inizio della fine di una ritirata che si era prolungata per troppi anni. Da oltre un milione e trecentomila vetture prodotte dalla Fiat all’inizio degli anni ’90 si era arrivati intorno alle 500mila quando Marchionne ha preso il timone dell’azienda, per ridursi alle 360mila dello scorso anno, con pesanti conseguenze negative per la nostra industria e la nostra bilancia commerciale.

Sono dieci anni che Marchionne è al timone della Fiat, chiamato quando ormai la nostra maggiore impresa era in fin di vita. Il nuovo manager ha immediatamente capito che era già tardi per le cure di risanamento tradizionali e che solo le imprese più grandi potevano sfidare la globalizzazione. Ha portato a termine con successo la fusione fra Fiat e Chrysler, fusione che avrebbe creato un colosso che, anche se solo settimo tra i produttori mondiali, poteva produrre oltre quattro milioni di vetture all’anno. Con l’aiuto del governo americano, con una capacità negoziale senza limiti, con una politica sindacale inflessibile fino alla provocazione e una strategia finanziaria estremamente sofisticata, il processo di risanamento del gruppo è riuscito. Marchionne ha restituito al governo americano i cinque miliardi di dollari ricevuti in dote e, nel 2014, ha superato i 700 milioni di dollari di utile netto.

Un profitto generato negli Stati Uniti ed in Brasile perché in Europa la concorrenza aspra e la crisi prolungata hanno reso assai più difficile il risanamento.

In questo processo di trasformazione il ruolo dell’Italia è divenuto sempre più marginale: la sede della nuova impresa è ora in Olanda, le tasse vengono pagate in Gran Bretagna e la quotazione azionaria è a Wall Street. La nostra produzione nazionale ha continuato a calare: fa una certa impressione constatare che, negli scorsi anni, siamo arrivati ad importare oltre un milione di auto in più di quelle che abbiamo prodotto. Cosa che non accade in nessun paese europeo, nemmeno nei paesi che, come la Germania e la Francia, hanno costi del lavoro sensibilmente più elevati dei nostri. Impianti che erano arrivati a produrre più di un milione e trecentomila vetture all’anno si sono ridotti, nello scorso anno, a fabbricarne 360 mila. Nel 2014 l’Italia ha dato origine a meno di un decimo della produzione della FCA.

Negli scorsi mesi abbiamo appreso con molta soddisfazione che questa fase di rigetto nei confronti dell’Italia si stava progressivamente attenuando, prima con il rilancio della Maserati e poi con la ripresa degli investimenti a Pomigliano e Melfi. L’aspetto più positivo di questa seconda vita di Marchionne  sta tuttavia nel fatto che da Melfi escono finalmente modelli nuovi e che il rilancio dell’Alfa Romeo procede ora con energia, anche se i risultati cominceranno ad arrivare solo nel prossimo anno.

Dati gli accordi sindacali che permettono di utilizzare gli impianti per l’intera settimana (compreso un turno alla domenica) e un costo orario incomparabilmente inferiore a quello tedesco non vi erano certo ragioni perché l’Italia continuasse ad essere marginalizzata nella strategia aziendale. I segnali di cambiamento sono perciò un messaggio importante dopo tanti anni nei quali  il dinamismo di Marchionne sembrava premiare tutti i paesi ( dal Brasile agli Stati Uniti, dalla Polonia alla Serbia e la Turchia ) fatta esclusione per l’Italia.

Non ci si avvicinerà certo alle quantità prodotte in passato ma è sicuramente di buon auspicio una più forte concentrazione verso le vetture di maggior pregio e, quindi, di maggior costo unitario.

Negli ultimi giorni l’inarrestabile Marchionne ha dato inizio ad una sua terza vita nell’industria dell’auto, proponendo nuove fusioni tra i grandi produttori mondiali, in modo da raggiungere maggiori economie di scala nella produzione dei nuovi modelli. Una proposta sotto molti aspetti ragionevole ma gettata in modo improvviso e provocatorio sul tavolo dei concorrenti, a cominciare dalla General Motors che ha rifiutato di prendere in considerazione la pur sensata proposta. Tutto questo dinamismo non può che fare piacere, così come fa piacere constatare che l’FCA si muove con energia e velocità per essere tra i protagonisti del futuro dell’auto mondiale. Non sarà facile perché Wolkswagen, General Motors, Toyota,Mercedes e compagnia bella non stanno con le mani in mano. Tuttavia è certo che l’FCA, da sola o con altri, parteciperà a questa gara.

Non contento del subbuglio causato Marchionne, sempre capace di sorprendere, ha dato poi grande pubblicità ai suoi incontri di lavoro con i massimi dirigenti dell’Apple e delle altre imprese della Silicon Valley che stanno pensando intensamente a modelli di auto totalmente rivoluzionari.   Modelli innovativi che, per trasformarsi in produzioni di grande serie, avranno tuttavia bisogno della cooperazione dei tradizionali produttori di automobili. E Marchionne si è quindi preparato a vivere una quarta vita, alla quale auguriamo un pieno successo.

L’unica cosa che chiediamo è che, in quest’ulteriore fase di trasformazione, l’Italia non venga sacrificata come in passato e ad essa sia affidato il compito che le compete sia nel campo produttivo che, soprattutto, in quello della ricerca e dell’innovazione. Questo non per astratto patriottismo ma per le competenze che il nostro paese è in grado di offrire in questo settore, purché abbia la possibilità di partecipare fin dall’inizio alla nuova rivoluzione dell’ancora importantissima industria dell’automobile.

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