La Fiat, il Paese, e quelle verità scomode ma utili

Scioperi a Pomigliano contro il piano Marchionne

Scioperi a Pomigliano contro il piano Marchionne

Marchionne e il futuro dell’Italia

La Fiat, il Paese, e quelle verità scomode ma utili

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 28 Ottobre 2010

Anche adagiati nella pacifica vita di una università americana ci si può trovare di fronte a inaspettati eventi di bruciante attualità. Poche sere fa una curiosità del tutto accademica, unita ad una certa nostalgia per i passati studi sul settore dell’auto, mi hanno spinto ad ascoltare una lezione di Steven Rattner, comunemente chiamato negli Stati Uniti “car- czar”, cioè lo czar dell’automobile, in quanto il presidente Obama aveva a lui affidato il compito di provvedere al salvataggio e al rilancio dell’industria automobilistica americana. Rattner, come ex allievo dell’Università di Brown, ha raccontato a un gruppo di studenti e di ricercatori il mandato ricevuto, le risorse messe a disposizione dal governo e le ragioni per cui è stata fatta la scelta di intervenire a salvare la General Motors e la Chrysler.

Affrontando il caso Chrysler lo stesso “czar” ha affermato che proprio nessuno la voleva prendere in mano, che nessuno voleva metterci un soldo e che la decisione di affidarla alla Fiat era dovuta solo al fatto che Marchionne, pur essendo anche lui senza un quattrino, aveva presentato l’unico progetto credibile. Ha inoltre aggiunto che «essendo un uomo di grandissime capacità e ambizioni e di una resistenza al lavoro sostanzialmente mostruosa» costituiva l’unica possibilità rimasta per la resurrezione (anche se in dimensione ridotta) della vecchia e gloriosa impresa americana. Lo czar-professore (ora contestato per una dubbia vicenda finanziaria di cui è stato protagonista) concludeva la sua analisi sottolineando come la rinascita si stava attuando secondo i piani, con l’appoggio di tutti i protagonisti, a cominciare dai sindacati.

Quarantott’ore dopo, forse pensando che l’Italia fosse l’America, lo stesso Marchionne faceva succedere davvero un quarantotto con le ben note dichiarazioni sul fatto che la Fiat guadagnerebbe all’estero ma perderebbe denaro in Italia.

Questo ha naturalmente scatenato un dibattito sugli aiuti e sui privilegi che lo Stato italiano ha elargito alla Fiat nella sua vita ultrasecolare, sull’ingratitudine del Marchionne medesimo nei confronti del suo Paese di origine e sulle sue supposte intenzioni di abbandonare progressivamente l’Italia.

Pur essendo convinto che nella sua lunga vita la Fiat sia stata così protetta da essere stata quasi viziata, ed essendo altrettanto convinto che riportare l’industria automobilistica nei Paesi ad alto costo del lavoro sia un’impresa davvero difficile, ritengo che questo sia un obiettivo realistico del nostro Paese e che le “mostruose verità” dell’intervista di Marchionne siano più utili che dannose per raggiungere l’obiettivo. Tali verità, al di là degli aspetti provocatori, debbono essere approfondite e discusse non con uno sguardo polemico rivolto al passato ma pensando al futuro e partendo dalle risorse e dalle mancanze italiane.

Le risorse si fondano sulla grande capacità ingegneristica della Fiat (che ha svolto anche una funzione di leadership mondiale nell’innovazione dei piccoli motori) e sulle economie di scala rese possibili con il legame con la Chrysler.

Le difficoltà nascono da una struttura degli impianti italiani ereditata dal passato (non per nulla le fabbriche più efficienti in Europa sono quelle costruite recentemente nei Paesi nuovi) con rapporti di lavoro anch’essi rivolti al passato.

La Germania è stata capace di liberarsi da questo peso riconquistando quote di mercato e, nello stesso tempo, potere d’acquisto per i lavoratori. Quest’obiettivo è stato però raggiunto con un rapporto di stretta e quotidiana collaborazione fra imprese, governo e sindacati.

Le imprese tedesche hanno compiuto un enorme sforzo di rinnovamento dei modelli e dei sistemi produttivi, mentre i sindacati hanno assicurato flessibilità e produttività in cambio di garanzie economiche e di un più elevato livello di sicurezza del posto di lavoro e di partecipazione alle decisioni aziendali. Naturalmente con un vigile e continuo arbitrato del governo.

A questo necessario appuntamento Marchionne dovrà arrivare con i nuovi modelli indispensabili per frenare la molto preoccupante perdita di quote di mercato della Fiat in Europa e con proposte analitiche sul destino finale e sul carico di lavoro dei diversi impianti. I sindacati con la strategia che solo un clima di costruttivo (e talvolta duro) dialogo potrà permettere la rinascita dell’industria automobilistica italiana, con l’enorme numero di posti di lavoro che ancora oggi essa si porta dietro. Non è che si possa tirare avanti a lungo senza prendere una decisione in materia perché il drammatico deficit nell’export-import automobilistico italiano ci dice che non siamo in situazione migliore di quella in cui si trovavano gli americani.

A questo punto ci vorrebbe subito una proposta concreta da parte del governo. Tutti l’attendiamo con ansia e non possiamo che fare nostre le parole del ministro Bondi quando, in riferimento all’esternazione di Marchionne, ha serenamente confessato che «se l’Italia avesse ancora una classe dirigente degna di questo nome si interrogherebbe a fondo sulle sue affermazioni». Mi auguro che quest’interrogazione avvenga subito senza attendere il difficile e complesso cambiamento della nostra classe dirigente.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
ottobre 28, 2010
Italia