Per costruire il lavoro di domani

Il senso di una sfida
Cercando nel futuro il lavoro perduto

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 26 agosto 2012

In una vignetta apparentemente innocente apparsa sul New York Times, un bambino domandava al papà quante persone sarebbero state necessarie per fare funzionare un grande e moderno stabilimento tessile. “Sono sufficienti un uomo e un cane” risponde il padre. “L’uomo per sorvegliare che tutte le macchine funzionino regolarmente e il cane per impedire che l’uomo si avvicini troppo alle macchine!”

Una risposta apparentemente paradossale ma che riassume il grande problema di fronte al quale l’umanità si trova oggi e, ancora più, si troverà in futuro.

Negli ultimi anni i processi di automazione si sono accelerati e i nuovi robot compiono funzioni multiple e si muovono così velocemente che vengono spesso chiusi in gabbie di plastica proprio per evitare che qualche malcapitato operatore venga colpito dal loro vorticoso movimento, in grado di continuare ininterrottamente per ventiquattro ore al giorno e trecentosessantacinque giorni all’anno, come nessun essere umano al mondo è in grado di fare.

Questa progressiva automazione investe tutte le produzioni, dalle automobili agli elettrodomestici, dalla rivettatura degli aeroplani alla movimentazione dei magazzini.

In parallelo, con ancora maggiore ampiezza, milioni di posti di lavoro vengono eliminati dalla rivoluzione informatica che, ormai da decenni, sta trasformando la nostra vita quotidiana ed il modo di operare delle imprese.

Milioni di segretarie hanno perso il posto di lavoro e nelle grandi imprese sono scomparsi gli spazi aperti, dove migliaia di disegnatori operavano con i tecnigrafi.  Allo stesso modo, negli studi legali non vi è più bisogno di coloro, che per tutto il giorno, analizzavano i volumi delle vecchie sentenze. I compiti amministrativi, sia nelle aziende che negli studi professionali, sono ormai svolti automaticamente da programmi prefabbricati.

E potremmo proseguire elencando l’emissione dei biglietti aerei o ferroviari per arrivare ai servizi bancari e assicurativi.

Se ciascuno di noi si ferma un attimo a riflettere sulla propria esperienza personale si accorgerà che la frequentazione degli sportelli bancari o delle agenzie di viaggio si riduce di anno in anno: nello stesso modo si riduce e si ridurrà il numero delle persone che operano dietro a questi sportelli. Nella maggior parte dei casi non si tratta della chiusura di grandi impianti ma di un continuo stillicidio che non provoca rivolte sociali, ma produce, come è avvenuto in Italia negli ultimi anni, la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Si può obiettare che tutte le rivoluzioni tecnologiche hanno avuto gli stessi effetti ma non è vero! L’avvento dell’automobile ha certamente danneggiato i produttori di carrozze e gli allevatori di cavalli ma ha prodotto una quantità enormemente superiore di nuovi posti di lavoro nella fabbricazione e nella riparazione di automobili, nella costruzione di strade e in tutti i settori legati all’energia necessaria per muoverle.  Lo stesso è avvenuto quando è arrivata la ferrovia, l’elettricità o il telefono.

Certamente anche dalla rivoluzione informatica sono nate nuove imprese sia nell’hardware sia nel software, ma il numero dei nuovi addetti, come il numero di chi produce i nuovi automatismi, non arriva a un decimo del numero di posti di lavoro perduti.

Il problema dell’occupazione diventa quindi ogni giorno più grave e non si può certamente pensare di alleviarlo rallentando il progresso tecnico. Questo significherebbe perdere un numero ancora maggiore di posti di lavoro a vantaggio dei paesi più rapidi nell’innovare, come gli Stati Uniti o la Germania.

Se per produrre tanti beni e tanti servizi bastano poche persone, la semplice soluzione sarebbe naturalmente quella di lavorare meno per lavorare tutti. Una soluzione semplice ma impossibile. Nel mondo reale accade l’opposto: si lavora di più e si produce di più per conquistare quote di mercato.  Non esiste alcuna autorità sovranazionale che possa distribuire gli scarsi posti di lavoro fra tutti i paesi del mondo. E’ certo una contraddizione ma nel mondo in cui viviamo, l’occupazione si salva solo nei paesi che crescono in fretta.

In attesa che il mondo prenda coscienza del pasticcio in cui si è ficcato, un paese come l’Italia deve non solo attuare le ben note e necessarie riforme (alle quali aggiungere una rapida diffusione tutti i processi di automazione e informatizzazione) ma deve moltiplicare, nel senso letterale del termine, gli sforzi nell’istruzione tecnica, nella ricerca e nello sviluppo. In questo periodo di folle corsa dell’umanità, se si vuole sopravvivere, bisogna essere sempre all’avanguardia.

In secondo luogo una domanda che non può essere soddisfatta dall’automazione è quella dei servizi personalizzati come l’artigianato, il turismo o l’assistenza alle persone. Se per quest’ultimo caso occorrono evidentemente risorse pubbliche non facili da trovare, non si capisce come non si sia ancora data priorità assoluta a un grande progetto di insegnamento tecnico  e di sistemi di apprendistato all’altezza delle esigenze del ventunesimo secolo.  E tanti altri esempi potrebbero seguire. Si continua invece ad affrontare il problema del lavoro sotto l’aspetto del costo orario o della mobilità, rifiutando di ammettere che tale costo è inferiore a quello dei nostri maggiori concorrenti europei (anche tenendo conto di tutti gli oneri possibili e immaginabili) e che la mobilità è talmente spinta da essere, soprattutto attraverso il precariato, la regola ormai dominante della nostra economia.  Senza pretendere di cambiare il mondo, mobilitiamo tutte le nostre energie a costruire il lavoro di domani, non limitandoci a sollevare questo problema solo quando un’impresa entra in una crisi irreversibile.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
agosto 26, 2012
Italia