Chi offende l’unità d’Italia affossa il federalismo

bandiera_italiana_web-400x300Il futuro è sotto una sola bandiera

Chi offende l’unità d’Italia affossa il federalismo

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 05 Maggio 2010

Qualche giorno fa il presidente Azeglio Ciampi ci ha ricordato, con semplici e brevi parole, come il rafforzamento dell’unità nazionale sia la premessa di ogni riforma. E ha insistito sul fatto che questo rafforzamento sia una condizione essenziale perché si possano togliere i molti ostacoli che bloccano lo sviluppo del Paese. In poche parole ci ha detto che non si può passare all’attuazione del federalismo se non si parte dalla constatazione che viviamo in un’unica comunità e camminiamo dietro una sola bandiera.

Quando ho letto queste parole speravo che fossero superflue, quasi un richiamo di rito da parte di chi aveva ed ha sempre fatto dell’unità nazionale un punto fondamentale della propria vita personale e politica.

Ho dovuto non solo constatare che di queste parole vi era assolutamente bisogno ma anche vedere con personale sofferenza che sono ricominciate le fronde nei riguardi delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità Italiana e gli ormai abituali insulti nei confronti della bandiera nazionale. Voglio subito dire che questa mi sembra la peggiore premessa all’introduzione del federalismo.

Federalismo non vuole dire anarchia, non vuole dire scioglimento dei legami che ci tengono insieme, non vuole dire adozione di regole vaghe e flessibili. Dove il federalismo esiste vi è certamente maggiore capacità decisionale da parte degli enti periferici (a cominciare dalle Regioni) ma vi è un profondo senso di appartenere ad una comunità guidata da regole inflessibili e da una riconosciuta autorità in grado di garantire la compatibilità e l’armonia dei diritti e dei doveri delle diverse componenti della comunità nazionale. Se si parte mettendo in dubbio quest’appartenenza non si va da nessuna parte. Per essere ancora più preciso, mi chiedo come si possa arrivare ad un qualsiasi accordo sui temi oggi sul tavolo, come le definizioni dei costi standard e il concreto significato di perequazione, concetti sui quali si dibatte tra sottintesi, cose non dette e obiettivi divergenti. E ancora più come si possa parlare di sanzioni quando l’obiettivo primario diviene quello dell’indebolimento dell’unità nazionale e quindi della cancellazione di ogni autorità sanzionatoria.

Non ci dobbiamo perciò stupire del fatto che si discute accanitamente sui costi standard senza nessun accordo sulla qualità e la quantità dei servizi da prestare. Se non c’è un accordo politico (perché deve essere eminentemente politico) sugli standard come vi può essere un accordo sui costi?

E potremmo procedere con l’elenco di tanti altri problemi che debbono assolutamente essere affrontati prima di attuare una riforma così radicale e importante, ma voglio limitarmi a due osservazioni di preliminare buon senso. La prima è che, nel dibattito sul federalismo fiscale ognuno assicura ai propri elettori (siano essi del sud che del nord, siano essi professionisti che lavoratori dipendenti) grandi vantaggi dall’attuazione del federalismo stesso. Anche tenendo conto delle sue potenziali conseguenze virtuose, questa mi sembra un’affermazione priva del necessario supporto numerico.

Partendo inoltre dal vecchio concetto che chi ben comincia è a metà dell’opera vorrei notare l’incongruenza di chi vuole il federalismo fiscale e nello stesso tempo ha voluto la cancellazione dell’imposta sugli immobili (la ben nota Ici ) che, in tutti i Paesi del mondo, è il fondamento di ogni imposizione locale. Capisco, e me ne sono reso conto di persona, che parlare di Ici è assolutamente impopolare ma so anche che, come si dice dalle mie parti, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. E che perciò, pur salvaguardando le classi più deboli, bisognerà pur arrivare a qualche diffusa applicazione di imposta sugli immobili o perlomeno a dichiarare con che cosa la si sostituisce, in modo da impedire il definitivo crollo delle autonomie locali. A questo punto mi resta che concludere ritornando alle parole di Ciampi, che ci ricorda che per costruire l’autostrada delle riforme occorre “una tensione morale e una politica lungimirante che sappia assumere le sue responsabilità”.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
maggio 5, 2010
Italia