Come la Cina riuscirà a mantenere il proprio ”normale” tasso di sviluppo

La Cina e i consumi. Le due ragioni che frenano la crescita di Pechino

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 18 ottobre 2015

Di solito quando ci si avvicina ad un oggetto lo si vede con maggiore chiarezza. L’economia cinese fa eccezione a questa regola: più mi addentro nel paese, più cerco di approfondirne i problemi con gli interlocutori e più crescono gli interrogativi.

Per essere sincero, i segni di preoccupazione non sono molto visibili qui in Cina e le risposte dei responsabili politici ed economici appaiono sostanzialmente rassicuranti, ma quando si passa a prendere in esame importanti dati settoriali sorgono molti punti interrogativi sulla possibilità che la Cina raggiunga il tasso di crescita del 7%, tuttora ribadito dalle dichiarazioni ufficiali in materia e confermato anche da una serie di valutazioni internazionali.

Le ultime statistiche ci dicono infatti che le importazioni hanno un segno negativo da quasi un anno e che, nell’ultimo mese, sono addirittura calate del 17%, mentre le esportazioni crescono poco sopra all’1%. Risulta inoltre quasi stagnante il consumo di energia elettrica.

Si tratta di dati difficilmente compatibili con una crescita del 7%, anche se si tende a mettere in rilievo un inizio di ripresa dell’attività edilizia, colpita negli scorsi trimestri dallo sgonfiamento di una bolla immobiliare di grandi proporzioni.

L’arresto della crescita dell’industria manifatturiera e degli investimenti ad essa collegati verrebbe compensata da una spinta all’aumento dei consumi, da un forte sviluppo del settore terziario e da uno sforzo addizionale negli investimenti in infrastrutture.

L’aumento dei consumi, che costituisce ormai l’obiettivo di riferimento della politica cinese, non sembra però riuscire a sostituire con sufficiente velocità gli effetti negativi della stagnazione delle esportazioni e degli investimenti. Questo per una ragione di fondo ed una situazione contingente.

La ragione di fondo sta nel fatto che, pur avendo aumentato i salari in modo cospicuo, molta parte dei cittadini impiega i maggiori guadagni non in consumi ma in risparmio, per fare fronte ad un’insufficiente diffusione di un adeguato sistema sanitario e pensionistico. I progetti in materia sono numerosi ed in alcuni casi hanno cominciato ad essere messi in atto, con un piano di costruzione di migliaia di presidi sanitari distribuiti in tutto il paese. Piani di questo genere richiedono tuttavia tempi molto lunghi, mentre l’emigrazione delle imprese a bassa tecnologia e ad alta intensità di mano d’opera procede alla velocità di un fulmine verso i paesi a più basso costo del lavoro, come il Viet Nam, il Bangladesh o Myanmar.

La situazione contingente, che tende a deprimere i consumi, deriva dalla grande lotta contro la corruzione che si sta mettendo in atto in Cina. Un’operazione assolutamente necessaria perché la corruzione si stava diffondendo in modo tale da mettere a rischio le radici stesse dello stato.

Questo processo si sta tuttavia protraendo da oltre un anno e si sta allargando in tutte le province, coinvolgendo oltre centomila pubblici ufficiali, a partire dai quadri più bassi, che aggiustavano i propri salari con modeste bustarelle, fino a toccare alcuni tra i più alti responsabili del partito, del governo e delle imprese pubbliche.

Tutto questo ha portato da un lato ad un forte calo della domanda dei beni di lusso, non solo mettendo in difficoltà le nostre aziende esportatrici ma molti produttori cinesi che erano vigorosamente entrati nel settore dei prodotti di consumo più costosi.

Dall’altro lato questa necessaria ed indifferibile battaglia, in corso da ormai lungo tempo e senza confini  prevedibili riguardo ai suoi svolgimenti futuri, rallenta il funzionamento del settore pubblico, rinviando di fatto molte delle necessarie decisioni economiche.

Non è tuttavia la prima volta che l’economia cinese si trova di fronte a un rallentamento della crescita. Un fatto analogo si verificò all’inizio del 1999, ma esso fu rapidamente superato da una cospicua iniezione di investimenti pubblici. Oggi tuttavia si tratta di un fenomeno più prolungato, in una situazione resa difficile dall’elevato livello della concorrenza e dai maggiori limiti della finanza centrale e locale.

Nonostante questi limiti il governo cinese ha già iniziato una politica espansiva del bilancio volta a contrastare gli elementi negativi che si sono prodotti negli ultimi mesi e ad accelerare le trasformazioni necessarie per fare fronte al rallentamento dell’economia.

Il sistema possiede infatti ancora grandi potenzialità di crescita di lungo periodo: l’urbanizzazione di altri 200 milioni di contadini, risorse umane sempre più specializzate, un rapidissimo sviluppo dei consumi di prodotti elettronici, massicci investimenti nel settore ecologico e sanitario e, soprattutto, un impressionante stimolo alla modernizzazione delle strutture produttive. Il tutto non arriverà probabilmente a tempo per mantenere l’obiettivo del tasso di crescita nel breve periodo ma vi sono buone probabilità che lo sviluppo “normale” del 7% (normale per la Cina) possa essere ancora mantenuto a lungo.

Nel frattempo tutti attendono il Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista che, nella riunione che si aprirà il prossimo 26 ottobre, dovrà impostare il nuovo piano quinquennale che guiderà la politica cinese dal 2016 al 2020. Non sarà una riunione semplice.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
ottobre 18, 2015
Articoli, Italia