Il Sahel sta per esplodere. Anche l’Italia deve intervenire

“Il Sahel sta per esplodere L’Italia deve intervenire”
Prodi: la mia nomina a inviato Onu? Ha sorpreso anche me

Intervista di Andrea De Gregorio a Romano Prodi su La Stampa del 27 ottobre 2012

BAMAKO (MALI) «In questi casi non si può dire di no, però…». Romano Prodi non si nasconde, la nomina a inviato Speciale nel Sahel del Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, ammette candidamente, lo ha colto di sorpresa. L’annuncio è arrivato da pochi giorni quando il due volte ex, primo ministro italiano e presidente della Commissione Ue, vola a Bamako, capitala del Mali. È il 19 ottobre, per la prima volta sono riunite attorno allo stesso tavolo l’Onu, l’Ue, l’Unione Africana e la Cedeao (o Ecowas, la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale) per discutere le linee guida dell’intervento di una forza internazionale nel Paese. Invocato da Parigi pur fra mille distinguo e precisazioni, e non bocciato da Palazzo di Vetro che in una risoluzione dà 45 giorni di tempo all’Ecowas per fornire i dettagli di un’eventuale azione armata. Alla fine dei lavori di Bamako, il Professore parla del suo incarico e dello stupore con cui ha accolto il gravoso e insolito per lui incarico. «Non ho negato a Ban Ki-moon – spiega il Professore – che non mi ero mai occupato specificatamente del Sahel in linea diretta, pur essendomi spesso occupato di problemi africani. In questi casi non si può dire di no, quindi ho accettato. Sapendo benissimo, come mi rendo conto adesso, la difficoltà, la vastità e la pesantezza del problema».

Esordio allora nelle nuove vesti a Bamako. Com’è stata la conferenza?  

«Molto utile. Erano presenti i ministri dei Paesi confinanti e quelli degli stati interessati dalla crisi del Sahel. Ho potuto parlare con tutti gli attori principali della regione, venuti fin qui a esporre le proprie posizioni all’Onu, all’Unione Africana, all’Ecowas e all’Unione europea, anch’essa presente con una delegazione ad alto livello».

E cosa è emerso?  

«Un’unità d’intenti estremamente forte, che però non significa unità d’azione. L’accordo completo al Consiglio di Sicurezza dell’Onu così come l’unanimità all’Ue e l’incoraggiamento da parte dei Paesi della regione circa un intervento internazionale per risolvere la crisi del Mali dimostrano quanto il punto di partenza sia consolante, nonostante la tragicità della situazione».

Quale potrà essere il suo apporto alla risoluzione della crisi del Sahel?  

«Non lo so, ma il mio mandato lo conosco bene. Ban Ki-moon mi ha affidato un compito che riguarda sì i problemi politici e di sicurezza, ma che ha a che fare anche con l’aiuto umanitario e i progetti di sviluppo dell’area».

Un mandato a lungo termine dunque.  

«Sì ed estremamente complesso. Anche se sarò supportato dall’intera struttura dell’Onu. Naturalmente il mio compito è di impostare questi aspetti. Lo sviluppo della regione saheliana, data la grave situazione di partenza, prenderà decenni».
Perché in Italia continuiamo a leggere la crisi del Mali come un problema prettamente africano e non riusciamo a sviluppare la consapevolezza che la minaccia terrorista, leggi Al Qaeda, potrebbe mettere in pericolo l’Europa?  

«I ministri di tutto il mondo che ho incontrato qui mi hanno chiesto a più riprese perché l’Italia fosse assente. È semplicemente incredibile come il nostro Paese non rifletta seriamente sui problemi africani. Non abbiamo neanche un’ambasciata in Mali, ma non è soltanto questo il problema».

Qual è allora?  

«Che non ci sono uomini d’affari né corrispondenti che si occupino dell’Africa, nemmeno per queste situazioni. E questo è propria una limitazione della cultura e della politica italiana».

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
ottobre 27, 2012
Interviste