Il Pd può vincere ma ascolti i problemi della gente

Romano Prodi “Il Pd può vincere le elezioni ma ascolti i problemi della gente” Il dibattito su La Stampa
L’ex premier: “La lezione dell’Ulivo? Parlare di quello che gli italiani discutono a tavola sono preoccupato perché il costo della vita sta aumentando troppo e i salari sono fermi”

Intervista di Fabio Martini a Romano Prodi su La Stampa del 30 giugno 2022

Alla fine sempre lì si torna. Passano gli anni, scorrono i decenni ma l’unico leader progressista che sia riuscito a vincere sul campo contro il centro-destra, continua a restare Romano Prodi e infatti ogni volta che si apre uno spiraglio elettorale, riparte il ritornello del “Nuovo Ulivo“.

La semplice evocazione fa già sorridere il Professore: “Lo chiamino come vogliono, anche Fiordaliso! Ma una cosa è chiara: se l’Ulivo non è riproponibile come tale, ogni stagione ha la sua storia, la lezione resta però attualissima: parlare e ascoltare la gente. E attenzione, quel modello ha dimostrato di essere vincente pochi giorni fa! Damiano Tommasi non ha fatto urli o proclami: ha radunato tanti giovani e con loro è andato a parlare, con tutti, chiedendo di cosa avevano bisogno, dicendo con chiarezza quello che si poteva fare e quello che non si poteva fare. Gli imprevisti vincitori di Catanzaro e di Fabriano hanno fatto la stessa cosa”.

Come sempre, i risultati delle elezioni amministrative sono oggetto di trasposizioni acrobatiche dal livello locale a quello nazionale. Però una tendenza emerge: ogni realtà locale è contendibile. ò esserlo anche il Paese?

“Il centrosinistra può farcela, ma la destra vincerà se non si costruisce un nuovo rapporto tra governanti e governati, tra eletti ed elettori. Un rapporto peggiorato dall’attuale legge elettorale. È un problema enorme: piano piano chi sta al vertice non conosce più i problemi della base”. In Italia ogni tanto la politica si arrende e si affida ai “Commissari”, chiamati a fare il lavoro sporco “Questo rimedio, che a volte raggiunge l’efficienza, finisce per diventare ancora più antidemocratico. Il commissariamento diventa condizione perché si faccia qualcosa, rendendo l’elettore ancora più scettico nei confronti della politica”.

Il Pd è un diesel che ogni settimana guadagna qualche centimetro, ma per sorpassare gli avversari non servirebbe quel che una vecchia pubblicità chiamava la “tigre nel motore”?

A Verona c’erano entusiasmo, un elettorato giovanile, un frontman nuovo e alternativo al sindaco “Quelli che hanno vinto nelle città, hanno vinto con una campagna elettorale che dovrebbe essere replicata da chi vuol vincere le prossime politiche! Hanno vinto quelli che hanno parlato con la gente“.

Ogni tanto si ricade nella retorica del nuovo Ulivo, ma effettivamente non servirebbe un’idea su come rimettere in piedi il Paese e un federatore, un nuovo Prodi?

“L’Ulivo vinse con una scarsità di mezzi spaventosa, ma con migliaia di “apostoli” che sono andati a parlare con le persone. Di che cosa si deve parlare? Si scelgano 15-20 temi, ma tra quelli di cui si parla a tavola, non quelli proposti nei referendum: a cena qualcuno parla forse del cambiamento delle regole del sistema di elezione del Csm? I fatti sembrano dimostrare che Enrico Letta sia già stato capace non solo di seminare, ma anche di raccogliere. Nei prossimi mesi dovrà solo continuare questo lavoro“.

Il prossimo autunno può diventare doloroso per milioni di italiani?

“Lo scenario economico è in movimento. I dati reali, per la prima volta da parecchio tempo, sono migliori delle previsioni. C’è una crescita un po’ più forte della media europea e questo è abbastanza confortante. Poi c’è chi esagera e parla di “primavera” o di boom. Non è così: da noi il calo da Covid era stato molto più sensibile e dunque la nostra è più una ripresa del perduto che una conquista del nuovo. Ma la prendiamo con piacere. Però attenzione, perché il costo della vita, l’inflazione e il livello del debito sono altrettanti punti interrogativi riguardo al futuro. E quello che mi preoccupa è l’allargamento della forbice tra l’andamento del costo della vita e il livello dei salari. Questo sta diventando un problema sempre più grave”.

Non esiste una formula magica, ma come si riesce a non darla vinta all’invasore russo e al tempo stesso impedire che l’Italia non cada in recessione?

“C’è un solo rimedio: si chiama pace! Tutto il resto mantiene il livello di rischio molto elevato. Certo, si dice che “questa inflazione è diversa, perché deriva da offerta e non da domanda” ed è vero, anche se in misura differente a seconda dei settori produttivi. Ma l’inflazione è inflazione, ed è difficile combatterla senza correggere i tassi di interesse, che si sono mantenuti sullo zero per un lunghissimo periodo nel tempo”.

In poche settimane è stata ridotta una quota significativa della dipendenza dalla Russia: il recupero prova che volere è potere?

“Stiamo attenti a dire che stiamo già diventando indipendenti dal gas russo. È ovvio, ed era abbastanza prevedibile, che sui 29 miliardi di metri cubi importati l’anno scorso dalla Russia, per una decina si potesse rimediare abbastanza in fretta perché i tubi possono portare un po’ più di gas. Considerando anche un possibile aumento di importazioni di gas liquido possiamo arrivare a 8-9 miliardi di metri cubi aggiuntivi. Però per liberarcene definitivamente occorrono i “magici” tre anni, dei quali parlano sempre i tecnici. Il lavoro che ancora resta da compiere è il più difficile”.

Si arriverà ad un razionamento?

“Il governo dice che “si vedrà” e io sono d’accordo sul “si vedrà”. Ma una politica, almeno di consigli, sul controllo dei consumi per arrivare ad ottobre con le riserve piene, be’ questo me lo aspetto. Poi certo i consigli e le norme-guida raggiungono solo parzialmente i loro obiettivi, però il Paese deve essere messo in sicurezza riguardo ai peggiori avvenimenti che possono capitare. Abbiamo bisogno di un “vaccino” anche per l’uso di elettricità e di gas! Senza pensare a provvedimenti estremi, un sistema democratico deve almeno consigliare i necessari comportamenti collettivi”.

Dopo le avvisaglie delle Borse e della Bce, non pensa che ora il governo sarà costretto a dare una stretta alla spesa pubblica a pie’ di lista, da due anni imposta per impedire il collasso sociale?

“No, credo che il Pnrr debba essere portato avanti con vigore, anche se si dovrà accentuare il più possibile la parte che ci consenta di aumentare la produttività del sistema. La quota di investimenti è ancora bassa: non possiamo pensare di trasformare il Paese con il 110 per cento e con i pur necessari sussidi alla sua parte più fragile. È difficile infatti che si possa approvare un sussidio indifferenziato di 200 euro per 31 milioni di persone. La politica deve differenziare per bisogni e per obiettivi. E rispetto agli investimenti non intendo solo macchinari o edifici. Penso alla qualificazione della forza lavoro e nell’innovazione: non possiamo ridurre il Pnrr in un grande piano edilizio, pubblico o privato”. Gli indicatori della produttività italiana da anni sono immobili “Mi chiedo come mai nessuno tra sindacati, imprenditori e governo, non proponga un piano che, nelle mutate condizioni storiche, abbia la stessa funzione che intendevano avere le 150 ore, ossia stimolare la qualificazione del lavoratore e di chi si appresta a diventarlo. Una missione collettiva che ci consenta di restare concorrenti con gli altri Paesi, anche quando dovremo alzare il costo del lavoro. C’è qualcosa che proprio non va: da anni stiamo spendendo miliardi per dare manodopera specializzata ai nostri concorrenti”.

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