La guerra alla Russia in Ucraina e i danni per Biden e Xi

Verso il G20 a Bali – Il conflitto in Ucraina e i danni per Biden e Xi

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 06 novembre 2022

La guerra in Ucraina continua: non si ha per ora un vincitore e siamo solo in presenza di un lungo conflitto, con immense perdite umane e materiali da entrambi i fronti.

L’Ucraina ha mostrato capacità di resistenza e di combattimento al di sopra di ogni previsione.

La Russia, a sua volta, è stata ferita dal conflitto in modo pesante, ma, quest’anno, il suo PIL calerà del 4,4%, cioè di una percentuale inferiore a quanto si pensava qualche mese fa.

Gli introiti della Russia per la vendita di prodotti energetici si mantengono infatti su cifre in grado di sostenere il costo della guerra.

Inoltre i danni delle severe sanzioni imposte dall’Occidente sono in buona parte alleviati dal corposo aumento degli scambi con i paesi che non si sentono obbligati dalle sanzioni stesse, a partire da Cina, Turchia, India e Stati del Golfo.

In un quadro così incerto i due eserciti si preparano ad affrontare il lungo inverno senza che nessuno dei contendenti abbia concrete probabilità di vittoria o sia in grado di prospettare un accordo di pace.

Questo perché la guerra di Ucraina è diventata fin dall’inizio un confronto a livello mondiale che, come ho più volte ripetuto, può essere risolto solo dalle due grandi potenze mondiali.

L’invasione russa si è infatti trasformata in una guerra di trincea: gli Stati Uniti sono corsi in soccorso del paese invaso e la Cina ha fornito alla Russia buone e amichevoli parole, ma non un’arma e non una pallottola per aiutare una sua vittoria sul campo.

A loro volta Stati Uniti e la Nato hanno rinforzato il debole esercito ucraino con ogni strumento offensivo e difensivo, ma senza fornire i missili di lunga gittata e gli altri armamenti che avrebbero portato il confronto a livello mondiale, con conseguenze che potrebbero sfociare in uno scontro nucleare.

Le due grandi potenze hanno perciò permesso che si svolgesse una guerra “per procura”. Una guerra sostenuta dal forte sentimento nazionale sempre insito nei paesi dominanti e, in questo caso, alimentato da anni di crescenti tensioni generate dalla sfida per la supremazia globale nel campo economico, politico e militare.

Il tutto in un mondo già flagellato dalle conseguenze del Covid e da un processo inflazionistico che non ha precedenti negli ultimi quarant’anni.

Difficile quindi il colloquio fra Biden e Xi Jinping, reso ancora più difficile dal fatto che il leader cinese si trovava alla vigilia di un Congresso del Partito Comunista che doveva confermarlo Presidente per la terza volta, in un momento storico in cui la diminuzione del tasso di crescita, le difficoltà del settore finanziario e il fatto che oltre duecento milioni di cinesi si trovavano sottoposti a severe forme di restrizione per il Covid, non permetteva alcuna decisione politica che potesse contenere un qualsiasi margine di incertezza.

Biden, a sua volta, era ormai immerso in una campagna elettorale di un paese pieno di divisioni e di tensioni. Un paese in cui la rivalità nei confronti di Cina e Russia è forse l’unica scelta politica sostenuta da un condiviso consenso popolare.

Xi Jinping non solo è stato confermato come previsto, ma ha rinforzato la sua presidenza con la nomina di suoi fedelissimi al vertice del Partito e dello Stato, mentre, fra due giorni, le elezioni negli Stati Uniti porranno finalmente termine a questo processo di incertezza politica.

Credo che, qualsiasi sia il risultato delle urne, non cambierà certo l’appoggio americano all’Ucraina ma, senza l’ansia per la campagna elettorale, ne cambieranno probabilmente le modalità.

Le conseguenze della guerra stanno infatti spingendo un crescente numero di responsabili politici americani a suggerire una diminuzione del livello di tensione. Mentre il leader del partito repubblicano al Senato ha invitato il Presidente a inviare più armi all’Ucraina, alla Camera, il leader dello stesso partito, lo ha esortato a non firmare “un assegno in bianco” a Zelensky.

A loro volta, nell’ambito del partito democratico, trenta parlamentari hanno scritto una lettera (peraltro non resa ufficiale proprio per non turbare la campagna elettorale) nella quale si chiede a Biden di esercitare un maggiore sforzo diplomatico per porre fine al conflitto.

Non è certo sorprendente dover ancora una volta constatare che Cina e Stati Uniti sono gli arbitri della politica mondiale perché, già dall’inizio della guerra, era evidente in quali mani stava il potere di decisione, ma è indubitabile che, in conseguenza del conflitto, le due massime potenze mondiali hanno ulteriormente aumentato il loro peso nel decidere il futuro del pianeta.

La voce dell’Europa non si è sentita e, come il recente incontro di Samarcanda ha dimostrato, il destino della Russia è nelle mani della Cina.

Ritengo quindi probabile (almeno me lo auguro) che Biden e Xi Jinping finalmente si incontrino al vertice del G20 che si terrà fra un paio di settimane a Bali.

Questo non vuol dire che dall’auspicato incontro possa nascere un immediato processo di pace, ma è certo che può almeno dare inizio a un confronto capace di interrompere la spirale di violenza nella quale stiamo precipitando da oltre otto mesi.

Guardandosi in faccia Biden e Xi Jinping dovranno almeno convenire sul fatto che questa guerra è ora dannosa tanto per la Cina quanto per gli Stati Uniti.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
novembre 6, 2022
Articoli, Italia