L’Ulivo è morto e gli eredi non fanno che litigare. La politica deve tornare ai problemi concreti

prodi1Romano Prodi: “l’Ulivo è morto e gli eredi non fanno che litigare”

Il professore durante la presentazione del libro “Dove andremo a finire” di Alessandro Barbano ha risposto con una battuta a chi gli chiedeva un giudizio sugli eredi politici dell’esperienza dell’Ulivo

Articolo di Beppe Persichella su La Repubblica del 3 maggio 2011

Romano Prodi recita il requiem sulla stagione dell’Ulivo: “Quando uno è morto gli eredi non fanno che litigare e più grosso è il patrimonio che lascia, più litigano”. Il professore ha così risposto a chi gli chiedeva come si stessero comportando i politici che hanno raccolto il suo testimone.

L’occasione è la presentazione del libro “Dove andremo a finire” di Alessandro Barbano, otto interviste sul futuro immediato e inevitabile ad altrettante autorevoli personalità, da Giuliano Amato a Nicola Cabibbo, da Umberto Eco a Sergio Romano. In questo contesto, nell’aula magna di Scienze politiche all’Università di Bologna, Barbano ha interrogato il professore su temi di stretta attualità, dagli scenari politici internazionali al futuro dell’Italia. Inevitabile la domanda sull’Ulivo. Inattesa la risposta che è stata accolta dalla platea, formata da un centinaio di studenti, con un applauso.

Invitato al dibattito assieme al politologo Paolo Pombeni, l’ex premier ha posto l’accento su quello che, a suo dire, è il problema più urgente: “Tornare ad avere visioni di lungo periodo, avere un riformismo su temi concreti, a cominciare dal lavoro e dall’immigrazione. Invece nella politica di oggi è tutto concentrato su problemi più stretti, ma che non coinvolgono l’ansia di tutte le famiglie”.

Parlando degli interessi diffusi “che sono sempre deboli” mentre quelli “concentrati di pochi sono molto più forti”, l’ex premier ha dichiarato: “Non crediamo che l’Italia sia così anomala rispetto agli altri paesi”. Insomma, “la normalità di una democrazia debole è quella delle categorie che fanno prevalere i loro interessi”. La differenza, però, è la debolezza del governo. “In  Italia è semplicemente più debole il potere del governo e quindi gli interessi di categoria sono più forti”. Di fronte alle osservazioni di Barbano che ha sostenuto come nessuno, neanche a sinistra, si prenda davvero a cuore la difesa delle donne e la disoccupazione giovanile, Prodi ha risposto: “E’ il governo che deve capire quelli che sono i drammi futuri della società, quale deve essere il cammino della società. È Il governo che ha il compito di proporlo e poi di imporlo. Se il governo non è forte, gli interessi diffusi chi li può difendere?”.

Il ragionamento è lo stesso, secondo il professore, anche per il primo maggio, dove si contrappongono gli interessi della grande distribuzione (pochi ma forti) e quelli diffusi di lavoratori e famiglie. Se dal governo non arriva la battaglia per la difesa degli interessi diffusi, come è successo in altri paesi europei, allora è chiaro che la questione si ferma alla prevalenza degli interessi della grande distribuzione, a cui sono solo il sindacato si oppone. “Viene lasciata la lotta in questi termini, in questo momento in Italia è questo quello che avviene – dice Prodi – non c’è arbitrato forte da parte del governo” quindi ci sono questi scontri, “che sono assolutamente normali”.

Altro tema al centro del dibattito il federalismo fiscale, che “fino a due anni fa era una torta che tutti volevano mangiare” salvo poi rendersi conto “che i problemi sono più grossi delle soluzioni”. Una contraddizione che coinvolge anche la Lega: “Non ha cambiato il vocabolario, ma ha cambiato i contenuti. Si diceva che tutte le regioni ci avrebbero guadagnato, ma non può esistere una percentuale superiore al 100%”.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
maggio 3, 2011
Italia