L’Italia è in prima linea, promuova un massiccio piano di aiuto al nuovo Egitto

Non dimentichiamo il nuovo Egitto

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 maggio 2011

Da mesi continuiamo a cantare inni alla liberazione dai tiranni e alle rivoluzioni democratiche dell’Africa del Nord senza però offrire il necessario aiuto perché queste rivoluzioni possano radicarsi e trasformare stabilmente la vita dei cittadini di quei paesi. Continuiamo a ripetere litanie astratte senza accorgerci del deterioramento progressivo della situazione politica e della vita quotidiana.

La mia preoccupazione maggiore riguarda l’Egitto, perché ha ottanta milioni di abitanti, perché è la chiave di tutti gli equilibri del Medio Oriente e perché le sue Università sono il maggior centro di elaborazione del pensiero del mondo islamico. Ebbene l’Egitto è in condizioni drammatiche.

La disoccupazione giovanile, che è stata una delle origini della fiamma rivoluzionaria, aumenta di giorno in giorno e il turismo è a livelli minimi. L’inflazione cresce e con essa le richieste salariali dei dipendenti pubblici e privati. Due milioni di  lavoratori sono forzatamente ritornati dalla Libia e dal Golfo, l’attività produttiva e il sistema bancario funzionano a singhiozzo e senza alcuna prospettiva di miglioramento, anche perché molti uomini d’affari sono fuggiti  o sono in prigione  e quelli che sono rimasti non sanno quale delle due opzioni toccherà a loro in futuro.

I danni materiali provocati dalle sommosse e la fuga dei capitali completano un quadro economico nel quale la miseria estende ogni giorno i propri confini.

Sotto l’aspetto sociale la situazione è ugualmente inquietante perché i disordini sono orami quotidiani e la delinquenza comune  ha ovviamente uno spazio crescente, soprattutto nelle aree metropolitane.  Non ci si deve perciò sorprendere che, in questo quadro, la situazione politica diventi ogni giorno più preoccupante e più densa di nuvole per il futuro.

La rivoluzione non è partita da frange islamiche e i fratelli mussulmani hanno agli inizi giocato un ruolo abbastanza marginale. Non hanno fronteggiato l’esercito, hanno messo sul tavolo obiettivi politici modesti ma, con il passare dei giorni, essi si presentano come l’unica forza organizzata e tendono ad accreditarsi come l’unico rimedio di fronte agli estremisti salafiti, che stanno portando sangue e tensione soprattutto tra i cristiani, che pure rappresentano il dieci per cento della popolazione egiziana.

Le manifestazioni, che si susseguono ormai quotidianamente, assumono obiettivi politici sempre più precisi non solo in politica interna ma anche in politica estera, con crescenti manifestazioni di massa perché l’Egitto entri a Gaza per opporsi direttamente ad Israele. Mentre tre mesi fa si poteva davvero affermare che la rivoluzione egiziana non aveva alcun atteggiamento antioccidentale ma si ispirava anzi alle grandi rivoluzioni dell’occidente, oggi il quadro mi sembra cambiato.

Nell’incapacità delle forze democratiche di trasformarsi in partiti, l’Egitto si trova sempre di più di fronte alla scelta fra le organizzazioni politiche islamiche e l’esercito che, pur non essendosi opposto alla rivoluzione, tende ovviamente a mantenere la forza e i privilegi che derivano da un’ Istituzione che, tra gli altri poteri, possiede  più di un quarto dell’economia del Paese, gestendo organizzazioni finanziarie, alberghi, case vacanze e strutture produttive. Bisogna quindi essere finalmente oggettivi ed ammettere che, pur continuando a ripetere che quanto è avvenuto in Egitto può cambiare la faccia del mondo, facciamo finta di non accorgerci che il Paese sta crollando e che, nelle rivoluzioni incompiute, il vero problema è quello del dopo. Prima o poi il caos permanente non potrà essere preferito all’islamizzazione del Paese.

Bisogna perciò avere presenti le nostre responsabilità e sapere che l’unica linea di azione perché la rivoluzione vada a buon fine è quella di mettere assieme gli Stati Uniti e l’Unione Europea per un massiccio piano di aiuto all’economia e alla società egiziana. Sarà sufficiente incamminarsi in questa via perché il processo di disfacimento si arresti, perché mutino le aspettative, perchè si dia respiro alle forze più moderate e si possa forse cominciare un nuovo cammino. La prossima settimana verrà a Roma il ministro degli esteri egiziano.

Gli interessi e i legami fra noi e l’Egitto sono straordinariamente forti e le recentissime prese di distanza dei media egiziani nei nostri confronti molto preoccupanti. Credo che l’Italia abbia tutto l’interesse di fare capire agli interlocutori egiziani ed agli amici europei e americani che, in futuro, non ci limiteremo a cantare inni alla rivoluzione democratica per poi vederla crollare di fronte alle difficoltà della sua realizzazione. E’ questa la politica mediterranea di cui oggi c’è  bisogno ed è compito dell’Italia proporla ed imporla ai suoi amici, proprio perché noi siamo in prima linea.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
maggio 15, 2011
Italia