Ora la missione dell’Europa è di guardare a Sud

Prodi: “Ora la missione dell’Europa  è di guardare verso Sud”
«Serve una partnership per far germogliare i semi della democrazia»

Intervista di Fabio Martini a Romano Prodi su La Stampa del 1 marzo 2011

Da presidente del Consiglio e da incaricato dell’Onu, Romano Prodi è stato spesso in Maghreb e in Medio Oriente, conosce tutti i leader, continua a parlare con diversi potenti del mondo e in queste ore si è fatto un’idea:

«L’Europa? In quest’area, in queste settimane, sta perdendo ulteriormente terreno. E invece si sta concretizzando una ripresa di influenza da parte degli Stati Uniti. Dopo aver a lungo sostenuto il governo-chiave di tutta l’area, l’Egitto, gli americani si sono schierati a favore del cambiamento e lo hanno fatto rapidamente. Non è privo di significato il fatto che in Tunisia la gente in piazza sventolasse la bandiera americana e bruciasse quella di un grande Paese europeo».

Quando è scoppiato l’incendio in Tunisia, lei ha detto: attenti all’Egitto

«Sì, perché l’Egitto è la chiave di tutto. Lo è per dimensioni, numero di abitanti e per posizione strategica. Ma soprattutto – e questo viene spesso dimenticato – perché è il Paese delle grandi università, della profondità del pensiero islamico. E attraverso queste università l’Egitto influenza tutta la fascia subsahariana che arriva fino all’Oceano Atlantico. Le città costiere del Nord Africa oramai sono città di diplomati e laureati senza un futuro».

Nell’Università del Cairo, nel giugno del 2009, Barack Obama – Presidente afroamericano dal nome islamico – disse che la democrazia non si esporta ma che gli Stati Uniti sono al fianco di chi la anela. Gli americani hanno una «dottrina» per quest’area. L’Europa?

«Il discorso del Cairo era stato meraviglioso ma aveva lasciato un po’ di frustrazione perché non era stato seguito da azioni. L’Europa? L’opinione diffusa nel Medio Oriente che ti senti ripetere è questa: voi europei siete i numero uno per i rapporti commerciali e negli investimenti, ma politicamente non contate nulla».

In un editoriale per «La Stampa», l’ex direttore dell’«Economist» Bill Emmott ha proposto che l’Ue, come nei suoi momenti migliori, dovrebbe saper cavalcare proposte anticipatrici, in questo caso l’espansione dell’Unione alla costa meridionale del Mediterraneo: che ne pensa?

«Mi sembra un intervento interessante. E non soltanto perché riprende una proposta che nel 2003 avevo fatto come Presidente della Commissione Europea. Dopo il fulmineo allargamento verso Est, dicevo: la storia ci ha spinti verso il Nord, ora dobbiamo andare verso il Sud».

Emmott suggerisce forme diverse di adesione…

«Siamo d’accordo. La proposta della Commissione che confidenzialmente chiamammo allora “l’anello degli amici” e in modo strutturato “politica di vicinato”, sostanzialmente diceva questo: tutti i Paesi confinanti con l’Europa – la Bielorussia e l’Ucraina ma anche Israele, la Libia, l’Algeria, l’Egitto, la Siria e Libano – se vogliono, nei prossimi decenni potranno condividere tutte le regolamentazioni europee (mercato interno, politiche culturali e di ricerca) ma non le istituzioni. Un cammino previsto per tutti, ma che con realismo si proponeva di contrattare con ogni singolo Paese. Non se ne fece nulla. Il Nord Europa non ci voleva sentire».

Oggi, davanti al terremoto in corso, quella proposta può riprendere forza?

«Certo. L’idea più realistica sarebbe quella di evitare di mettere assieme tutti i Paesi in un colpo solo. Bisogna fare uno schema aperto che consenta a ciascuno di accostarsi adagio adagio».

Sembra comunque una chimera…

«Il vero problema è che oramai da diversi anni il bilancio europeo – lo 0,96% del prodotto lordo – viene tenuto su un livello inadatto per operazioni di questa portata. Ma c’è problema ancora più grande che impedisce di volare alto…

Quale?

«La politica nel Mediterraneo dovrebbe essere sentita come politica comune europea. Ma così non è, neppure davanti all’emergenza. Non c’è alcun richiamo a impegni di lungo periodo».

Forse un terremoto ancora più grande di quello in corso potrebbe aprire gli occhi ai Paesi del Nord Europa?

«Attenzione: il terremoto è già avvenuto! Qui abbiamo dei semi di democrazia e il momento della coltivazione è questo, perché se la democrazia va avanti aiutata solo dagli americani, ogni intervento nostro a posteriori sarebbe vano. Un intervento europeo è urgente. Il momento è adesso. Anche perché in situazioni come questa c’è sempre un grosso rischio».

Quale?

«Tutti quelli che hanno cominciato il cambiamento potrebbero venir messi in un angolo: vedete stiamo peggio di prima».

L’allargamento dell’Ue all’Est fu un investimento rischioso: è servito a tamponare il sentimento verso lo “stavamo meglio quando stavamo peggio”?

«Certo. Dopo il fulmineo allargamento ad Est, ricordo il rimprovero: perché con loro siete stati così rapidi? È vero, li aiutammo ad entrare. Ma è così che si aiuta la democrazia. Sono orgoglioso di quel che facemmo: l’allargamento è stato l’unico vero episodio di esportazione della democrazia nel mondo. L’unico. Ed ha funzionato».

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
marzo 1, 2011
Italia