La doppia rassegnazione che il Paese deve vincere

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 29 novembre 2009

Nella vita delle nazioni e dei popoli periodi di entusiasmo e di speranza si alternano spesso a periodi di sfiducia e di rassegnazione. In molti casi l’alternarsi di questi periodi è dettato da eventi improvvisi, come le guerre o le carestie. In altri casi si tratta invece di fenomeni lenti, che accompagnano lunghi periodi di crescita o di decadenza.

Credo che mai, come in questo periodo, le differenze nello “spirito pubblico” dei diversi popoli siano state così marcate. In Cina, in India e in Brasile tutto sembra possibile. Anche se le condizioni generali ed il reddito medio delle popolazioni rimangono nettamente inferiori rispetto a quelle dei paesi più avanzati, il messaggio che si riceve è che il futuro non può che essere migliore, che i giovani vivranno meglio degli anziani e che il progresso non potrà in alcun modo essere fermato. E’ un sentimento generale che in vario modo accomuna, in una specie di speranza collettiva, chi gia è arrivato, chi sta arrivando e chi ancora deve partire.

Un fenomeno che per un breve periodo abbiamo vissuto anche in Italia dalla fine della guerra fino alla metà degli anni sessanta. Non posso non ricordare quando, da semplice neolaureato tra i tanti, ho ricevuto, nel 1961, una decina di offerte di lavoro o quando, pochi anni dopo, alla cerimonia di laurea di uno dei miei primi studenti, un genitore di uno di questi mi veniva a ringraziare commosso perché lui nella vita non aveva avuto fortuna ma per suo figlio le cose sarebbero andate diversamente “perché si era laureato”. La stessa fiducia nella scuola e nel futuro che si ritrova oggi negli studenti cinesi che, dopo la lezione, ti assalgono con i foglietti delle domande scritte e si appuntano religiosamente anche le più semplici e banali risposte.

Mi sono chiesto tante volte se e come sia possibile ricostruire questo clima in Italia, anche con una minore intensità rispetto ai paesi in cui alla speranza collettiva si accompagna la grande spinta del bisogno individuale. Non alludo tanto alle possibili riforme legislative o alle ne cessarie decisioni di politica economica quanto alla costruzione di quel clima per cui queste decisioni possano essere credute organizzate, accettate e messe in atto. Perché se ne possa almeno parlare senza sembrare ridicoli bisogna almeno lottare contro la rassegnazione di essere fatalmente perdenti. Quello di essere rassegnati a perdere è un sentimento generale, che ritrovo purtroppo ormai in tutti gli incontri e in tutte le conversazioni a cui ho l’occasione di partecipare.

Su due temi soprattutto la rassegnazione impedisce all’Italia di ritrovare una speranza per il proprio futuro.

Il primo riguarda la rassegnazione ad una fatale diversità del Mezzogiorno. Una diversità che riguarda non solo la differenza di reddito rispetto al resto dell’Italia ma l’intera organizzazione della società, sia nelle sue strutture pubbliche che nella vita quotidiana dei suoi cittadini. Ma che riguarda soprattutto la rassegnazione al fatto che una grande parte del Paese sia sottratta alla maestà della legge per essere assoggettata al potere di organizzazioni criminali così potenti da inquinare in modo diretto o indiretto tutta la vita economica e politica italiana. E’ una rassegnazione che, al di là di ogni dichiarazione, cresce insieme al crescere dello sdegno rispetto al dilagare di questo fenomeno.

La seconda forma di rassegnazione da cui dobbiamo liberarci riguarda il fatto di ritenere scontato il nostro progressivo allontanamento dagli altri paesi europei. In tutti i confronti internazionali, sia che si tratti di crescita economica, di funzionamento delle strutture scolastiche o di ricerca scientifica, da ormai qualche decennio, cadiamo sempre più in basso. A volte mettiamo giustamente in dubbio il rigore di queste classifiche, a volte andiamo a caccia dei rari indicatori che ci fanno fare una minore brutta figura, ma il quadro generale non cambia e si traduce naturalmente in una parallela perdita di peso specifico del paese, perdita che si traduce a sua volta in un ulteriore aumento della distanza rispetto agli altri paesi europei. E cio’ e’ tanto piu’ preoccupante perche’ in Italia, in ogni campo, non manca chi e’ in grado di competere con il mondo.

Ho parlato di queste due rassegnazioni perché esse portano ai giovani il messaggio che per essi non c’è futuro. Di conseguenza sono costretti a pensare che la loro vita sarà complessivamente peggiore di quella dei loro genitori. A questa perdita di ruolo essi si rassegnano, accontentandosi del poco che arriva nel presente e della precarietà che caratterizza il futuro. E quelli che pensano di reagire lo fanno sempre di più cercando la via dell’emigrazione verso paesi che offrono prospettive e speranze.

Di fronte a questo quadro non è possibile offrire ricette risolutive, ma è almeno doveroso sottolineare che questa rassegnazione è un sentimento che non porta a nulla, perché impedisce di scorgere le realtà e le forze positive che pur esistono anche nella nostra società.

E impedisce soprattutto di individuare, in mezzo ai cambiamenti profondi che questa crisi ci sta portando, gli obiettivi individuali e collettivi che possono trasformare questa rassegnazione in costruttiva speranza. Non pensiamo però a piccoli rimedi, perché le speranze individuali e collettive si modificano solo attraverso radicali cambiamenti nei comportamenti sia individuali che collettivi.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
novembre 29, 2009
Italia