Trump – Putin: il prezzo da pagare se l’Europa si divide
Il prezzo da pagare se l’Europa si divide
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 21 agosto 2025
Sono ormai tre anni e mezzo che la guerra di Ucraina insanguina l’Europa e mette a rischio il mondo, ma mai avevamo assistito a un’attività diplomatica così intensa come in quest’ultima settimana.
Forse per questo semplice motivo la nuova e frenetica attività diplomatica è stata accompagnata da commenti positivi sui risultati che tutti noi speriamo avvengano, ma che non si sono visti.
Le interpretazioni sugli opportuni colloqui fra Trump e Putin in Alaska hanno insistito sul sostanziale cedimento da parte di Trump, in quanto ha accettato di aprire le trattative senza pretendere che Putin interrompesse le attività belliche. Non era e non è questo il disegno di Trump, il cui obiettivo è semplicemente quello di trattare direttamente con Putin senza impedimenti e, soprattutto, senza intermediari che usano ragioni e motivazioni al di fuori della forza. Unicamente la forza, sia essa politica o economica, è il solo movente delle decisioni di Trump.
Naturalmente questa linea politica ha provocato a Zelensky e ai sui alleati europei un profondo smarrimento e un grande senso di paura riguardo al futuro della sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa intera.
L’incontro di Washington, in cui sia Zelensky che i maggiori leader europei sono stati solennemente invitati alla Casa Bianca, è stato organizzato proprio per attenuare questi sentimenti.
A questo punto sono obbligato a fare una digressione sulla regia dell’incontro di Washington, elemento che può sembrare di secondaria importanza, ma che ci aiuta a capire come sono andate realmente le cose. Nella mia lunga esperienza in materia di vertici internazionali, era uso costante che gli incontri di questo tipo si svolgessero attorno ad un tavolo rotondo. A volte vi era una sedia con uno schienale più alto per il presidente, ma tutti i partecipanti avevano anche plasticamente lo stesso ruolo e la stessa autorità.
Può anche darsi che alla Casa Bianca non posseggano un tavolo rotondo, ma mi ha fatto grande impressione vedere Trump emergere solitario e incombente dietro a una scrivania che sembrava un trono e, di fronte a lui, i leader europei e Zelensky nella postura di scolaretti.
Sono state giustamente sottolineate le espressioni di reciproca confidenza e cortesia ed è stato opportunamente messo in rilievo come l’atmosfera fosse diversa da quella del famoso colloquio in cui Trump aveva ridicolizzato e strapazzato Zelensky. E’ perfino stato visto con favore che mai tanti leader europei siano stati ricevuti insieme alla Casa Bianca, ma le conclusioni non si discostano da quelle dell’incontro in Alaska.
La sostanza si limita alla prospettiva di un possibile, ma improbabile, colloquio fra Zelensky e Putin a cui dovrebbe seguire un vertice conclusivo a tre, fra Trump, Putin e Zelensky.
Un programma certamente da condividere, ma non accompagnato da nessun accordo di alcun tipo sulla cessazione delle ostilità, sulla definizione dei problemi territoriali e sulle garanzie di sicurezza che dovrebbero fare seguito ai possibili accordi.
Insisto sull’aspetto positivo che la diplomazia, seppure in modo abbastanza anomalo, abbia cominciato ad agire e che finalmente si sia preparato uno schema di lavoro per il futuro. Non è però emersa una linea diversa da quella prospettata in Alaska, che prevede l’ipotesi di soluzione del conflitto soltanto nel colloquio diretto fra Russia e Stati Uniti, ovviamente dopo un precedente lavoro ai fianchi nei confronti di Zelensky.
Mi auguro di cuore che questo processo porti finalmente la pace in Ucraina, ma mi rendo conto che il prezzo è un arretramento della democrazia e dei diritti che, in passato, vedevano negli Stati Uniti un protagonista fondamentale.
A questo punto mi chiedo quale è stato il ruolo effettivo giocato dai leader europei nei colloqui (si fa per dire) della Casa Bianca. Si è infatti ripetuto che “finalmente l’Europa tiene il punto.” Ma quale punto?
Il primo nostro obiettivo dovrebbe essere quello di impedire l’abbraccio fra Stati Uniti e Russia sulla nostra testa e garantire, nello stesso tempo, la sicurezza dell’Ucraina e, con essa, dell’Europa intera. Ovviamente di questo non si è discusso a Washington, anche perché le attitudini e le posizioni dei paesi europei differiscono profondamente tra di loro. Francia, Germania e anche Italia ritengono che la Russia non attaccherebbe mai un’Europa Unita, mentre i paesi baltici, la Polonia e la Finlandia sono di parere opposto.
Altrettanto nette sono le divisioni sull’ipotesi di garantire la sicurezza dell’Europa inviando truppe sul terreno anche perché, riguardo agli armamenti più sofisticati, queste truppe si troverebbero totalmente dipendenti dagli Stati Uniti che, ovviamente, non hanno alcuna intenzione di inviare soldati sul suolo ucraino.
Il ruolo europeo, almeno nelle prospettive che si presentano, viene confinato, in una prima fase, all’acquisto di armi americane e, in una seconda fase, a sostenere il peso maggiore per la necessaria futura ricostruzione dell’Ucraina.
Non riesco quindi a vedere gli aspetti realmente innovativi riguardo alla presenza europea nei colloqui della Casa Bianca e penso che la prospettiva non possa facilmente migliorare, tenuto conto delle involuzioni autoritarie che stanno rivoluzionando la politica internazionale. Una politica in cui le nostre divisioni, se continueranno in futuro, ci impediranno di essere protagonisti e ci obbligheranno ad essere seduti di fronte al Trump di turno che ci ordinerà cosa dobbiamo fare. Per ora prendiamo atto che almeno i leader europei erano tutti seduti dalla stessa parte.