Conferenza di Pechino: cooperazione e infrastrutture per la pace e lo sviluppo in Africa

CONFERENZA DI PECHINO, COOPERAZIONE STRUMENTO DI PACE

(MISNA) 25 ottobre 2013 – “La cooperazione è la chiave della pace perché molto spesso i conflitti hanno conseguenze regionali” dice alla MISNA Erastus Mwencha, vice-presidente dell’Unione Africana. Il tema della sicurezza, intesa come precondizione allo sviluppo economico-sociale, sta dominando i lavori di una Conferenza Internazionale organizzata a Pechino dalla Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli.

Secondo Mwencha, uno dei partecipanti all ’incontro, “l’Africa guarda all’esperienza dell’integrazione europea, nata dopo la fine della Seconda guerra mondiale dall’alleanza tra Francia e Germania, due acerrimi nemici”. Oggi, e’ stato sottolineato a Pechino, l’Africa resta il continente dove si concentra il maggior numero di conflitti al mondo. Situazioni di crisi tengono in ostaggio il Mali e le regioni limitrofe del Sahel, la Libia e l’Egitto, il Centrafrica e la Repubblica democratica del Congo. “Conflitti – ha sottolineato Mwencha – rispetto ai quali è indispensabile un’azione coordinata a livello regionale e internazionale”.

Una necessità, questa, evidenziata durante la conferenza anche da dirigenti ed esperti europei, cinesi e americani. “L’assunto di partenza – sottolinea David Shinn, ex ambasciatore statunitense in Etiopia e Burkina Faso – è che la sicurezza è una questione collegata al nodo dello sviluppo: la povertà, la disoccupazione, l’assenza di istruzione e di assistenza sanitaria creano un terreno favorevole alla violenza e al terrorismo”. Sulla stessa linea Li Xinfeng, esperto di Sudan dell’Istituto di studi dell’Africa e dell’Asia occidentale (Iwaas). Il suo presupposto è che Cina e Stati Uniti hanno un interesse comune a sostenere la cooperazione tra Khartoum e Juba. “Entrambi – ha detto Li – dobbiamo impedire che i contrasti politici tornino a ostacolare le esportazioni di petrolio, la fonte principale di entrate per i due Sudan”.

Un caso, questo, significativo della complementarità che può caratterizzare la presenza cinese e americana a sud del Sahara. “Juba ha contato sugli Stati Uniti per ottenere l’indipendenza – ha sottolineato Li – ma ora ha bisogno della Cina per costruire il Sud Sudan su un piano economico”. Della necessità di una cooperazione tra le potenze mondiali ha parlato anche Liu Guijin, per anni rappresentante speciale della Cina per gli Affari africani. “La Repubblica Popolare e le potenze occidentali – ha detto Liu – possono agire insieme a sud del Sahara: la prima si concentra sulla realizzazione delle infrastrutture mentre le seconde, in particolare gli Stati Uniti, sono più attive sul terreno della sicurezza”.

Il punto di incontro tra queste due prospettive, è stato sottolineato a Pechino, è la consapevolezza che violenza e terrorismo nascono in contesti di povertà. “Anche per questo – dice Liu – la Cina è determinata a dare un contributo non solo sul piano delle infrastrutture ma anche su quello della sicurezza, come dimostra la decisione di inviare un primo contingente di paecekeeper nel quadro di una missione delle Nazioni Unite in Mali”.

La conferenza, intitolata “Africa: 54 Paesi, Una Unione”, è centrata sul tema dell’integrazione africana. L’appuntamento di Pechino è il quarto e ultimo di un ciclo cominciato a Bologna nel 2010 e proseguito a Washington nel 2011 e ad Addis Abeba lo scorso anno.

CONFERENZA DI PECHINO, INFRASTRUTTURE PER LO SVILUPPO

(MISNA) 25 ottobre 2013 – Solo unita l’Africa può svilupparsi, combattere con efficacia la povertà e diventare protagonista sulla scena internazionale: lo hanno sottolineato i partecipanti alla conferenza organizzata a Pechino dalla Fondazione per la collaborazione tra i popoli, in una sessione conclusiva dedicata agli ostacoli costituiti dalla frammentazione economica del continente, in particolare sotto il profilo delle infrastrutture.

“Senza infrastrutture non ci può essere industrializzazione – ha detto Hoseph Atta-Mensah, direttore del dipartimento di pianificazione strategica della Commissione economica per l’Africa (Uneca) – e senza industrializzazione la crescita economica non può essere inclusiva”. Secondo Atta-Mensah, “sei o sette paesi africani registrano i tassi di incremento del Prodotto interno lordo tra i più elevati al mondo ma questo non ha portato con se’ vittorie decisive nella lotta contro la povertà ”.

Stando a dati della Banca mondiale, rilanciati durante la conferenza, per colmare il deficit di infrastrutture dell’Africa nei prossimi dieci anni bisognerà investire 93 miliardi di dollari l’anno. Un impegno, questo, rispetto al quale la Cina e’ in prima fila. Secondo Njunga Mulikita, professore dell’Università del Copperbelt nello Zambia, le potenzialità degli investimenti nelle infrastrutture rispetto all’obiettivo dell’integrazione sono esemplificate da uno dei primi progetti realizzati a sud del Sahara dalla Repubblica Popolare, negli anni ’70 del secolo scorso. “La costruzione della ferrovia Zambia-Tanzania (Tazara) – ha sottolineato lo studioso – ha promosso in modo decisivo l’integrazione nell’area della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe”.

Anche guardando dalla prospettiva proposta a Pechino, però, l’Africa ha di fronte una sfida complessa. “Nonostante il continente sia una delle regioni del mondo che crescono più velocemente, la povertà si stia riducendo e il numero dei conflitti stia calando e nonostante i progressi ottenuti negli ultimi anni – si legge in un messaggio diffuso al termine dell’incontro – continua a esserci una contraddizione di fondo tra l’aspirazione alla cooperazione regionale e continentale e la realtà.

Vincenzo Giardina

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ottobre 25, 2013
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