Italia sparita dalla scena internazionale. Il federalismo fiscale? Non si capisce cosa sia

Memoria del confine abbattuto il 30 aprile 2004

Oggi l’ex premier a Nova Gorica a sei anni dalla caduta del confine. “Il federalismo fiscale? Non si capisce cosa sia.”

Prodi: Italia sparita dalla scena internazionale

“Allargamento, Europa troppo lenta. Ma niente fermerà l’ingresso di Croazia e Serbia.”

Intervista di Roberta Giani a Romano Prodi su Il Piccolo di Trieste

Trieste «Pioveva che Dio la mandava. Ci ho ancora bagnata la schiena! Ma c’era una grande gioia, in piazza, una gioia vera». Romano Prodi torna alla Transalpina dove, sei anni fa, come presidente della Commissione europea, “picconò” l’ultimo muro e l’ultima eredità della guerra fredda. Ci torna oggi, con il ricordo vivissimo di quel 30 aprile 2004 in cui l’Unione europea spalancò le sue porte ai Balcani, ma anche con la constatazione dolorosa di una storia ancora incompiuta perché la “casa comune” si allarga troppo lentamente: «L’Europa, a causa delle sue divisioni, ha un’andatura da tartaruga». Non è l’unico limite: l’Europa non contrasta adeguatamente nemmeno l’emergenza numero uno, la crisi economica «da cui non siamo ancora fuori», perché ci attende «una ripresa len-tis-si-ma». E l’Italia? L’ex premier, schivando come la peste la politica politicante, il Cavaliere, i finiani, le leggi Porcellum, gli Ulivi e i Nuovi Ulivi, il papa nero oppure no, e dedicandosi full time all’insegnamento in Cina e America e alle missioni Onu in Africa, dosa parole e giudizi con il bilancino. Afferma di non aver ancora capito cos’è il federalismo fiscale. Boccia le politiche «contraddittorie» sull’immigrazione e le ultime sortite sulla Romania. E fotografa, amaro, l’Italia di oggi vista all’estero: «Siamo usciti dagli schermi internazionali, se non per fatti folcloristici. E non è certo positivo».

Professore, come sta?

Benissimo. Sono appena tornato dall’Africa. Domani vado negli Stati Uniti a insegnare e, prima, vengo a Nova Gorica. Che si vuole di più dalla vita?

Che effetto le fa tornare a Nova Gorica, dove le daranno la laurea honoris causa, e alla Transalpina? Il 30 aprile 2004 è stata davvero una data storica?

Torno molto volentieri perché ritengo che il 30 aprile sia stata davvero una data storica: si è posto fine a un triste capitolo fatto di enormi dolori, profonde divisioni, e si è riaperto un dialogo in un contesto nuovissimo. Naturalmente, io pensavo che l’ingresso di tutti i Paesi dell’ex Jugoslavia fosse più veloce.

Non si aspettava tante difficoltà?

Fortunatamente, sei anni fa, abbiamo assunto le decisioni storiche. Comunque no, non mi aspettavo tante difficoltà, perché questi Paesi costituiscono tutti assieme una piccola parte della popolazione e dell’economia europee e hanno ultimato o stanno ultimando i passi necessari verso la completa democratizzazione.

Come se le spiega, allora, queste difficoltà?

Credo siano dovute in gran parte alle divisioni dell’Europa. Non me le spiego in altro modo.

La Croazia, comunque, è in dirittura. C’è ancora il rischio di intoppi o la strada è in discesa?

No, non prevedo più intoppi, ma la strada era in discesa già da anni… L’Europa è talmente lenta nelle sue decisioni e io ne soffro. Spero solo che, in questa andatura da tartaruga, si faccia largo qualche lepre.

L’hanno rimproverata spesso di aver forzato le tappe dell’allargamento.

Le decisioni storiche si prendono in fretta. Altrimenti, si perdono le occasioni storiche.

Teme che i rigurgiti di nazionalismo serbo, esplosi a Genova, possano frenare l’ingresso di Belgrado?

No.

Saranno mai maturi i tempi per l’ingresso della Turchia?

Ho sempre avuto un atteggiamento aperto verso la Turchia. Ma ho sempre detto ai turchi che, se volevano l’ingresso in Europa, dovevano pazientare perché il processo di avvicinamento delle opinioni pubbliche europea e turca sarebbe stato lungo. Dopo di che, però, sono successi accadimenti imprevisti: i francesi, con il referendum, hanno posto uno stop pesante. E, più recentemente, la Turchia ha iniziato una politica estera interessante, profonda, alternativa.

Una data ipotizzabile per l’ingresso?

Difficile dirlo. Molti osservatori ormai mettono in dubbio non il “quando”, ma il “se”.

Sin dove dovrebbe allargarsi la “sua” Europa?

In tempi prevedibili sino ai Balcani. Sulla Turchia abbiamo appena detto. Altra cosa, invece, è la costituzione dell'”anello degli amici” che avevo proposto e reputo ancora strumento valido: tutti i Paesi alle frontiere della Ue, dalla Bielorussia all’Egitto, potrebbero organizzare rapporti di cooperazione molto forti con la Ue e condividerne tutte le politiche, pur non essendone membri.

In Italia, intanto, il ministro Roberto Maroni esprime apprensione per l’ingresso in area Schengen di Romania e Bulgaria e annuncia contromisure. Apprensione giustificata? Contromisure possibili?

Oggi c’è già una circolazione totale: non vedo come l’ingresso in Schengen possa produrre cambiamenti significativi rispetto alla situazione attuale. Una situazione che, senz’altro, presenta aspetti difficili e preoccupanti. Ma una politica seria può tenerli sotto controllo.

Le contromisure ipotizzate?

Difficile immaginare contromisure utili. Ma, per giudicarle, dovrei conoscerle.

Lei è il presidente del gruppo di lavoro Onu-Unione africana. La politica italiana sull’immigrazione, a partire dalla Bossi-Fini, è adeguata?

La Bossi-Fini si è rivelata in contraddizione con se stessa. Hanno fatto una legge di propaganda che non teneva conto della realtà e, quindi, non hanno potuto applicarla: si sono dovuti inventare un sacco di sanatorie per regolarizzare gli immigrati già presenti in Italia. Del resto, hanno approvato la legge Bossi-Fini, come il decreto Maroni, solo perché ha fruttato molto elettoralmente.

Quando ha portato l’Italia nell’euro, in tanti l’hanno accusata di aver impoverito gli italiani. Che dovrebbero fare oggi, scusarsi?

Tutti hanno detto che nella crisi attuale, non ci fosse stato l’euro, saremmo stati travolti da un’ondata di svalutazioni e disastri economici. Ma non mi aspetto scuse: in politica non si usa.

Nel suo ultimo editoriale, parlando del fallimento del vertice del Fondo monetario, ammette di guardare con preoccupazione al G20 di Seul. A che punto siamo della crisi?

Non ne siamo ancora fuori né negli Stati Uniti né in Europa. Non andremo più in basso, non ci sarà un altro crollo, ma vedo una ripresa lentissima.

Lamenta, sempre in quell’editoriale, la prudenza della Bce. Ma che dovrebbe fare l’Europa per fronteggiare la crisi?

Ho solo segnalato la grandissima prudenza sul versante della politica dei tassi. Ma non è certo la Bce che può portarci fuori dalla crisi: ci vorrebbe una politica armonizzata da parte degli Stati membri, e invece ognuno si fa la sua politica.

Dalla Cina all’Africa agli Usa, lei sta viaggiando molto. Ha detto, in un’intervista, che l’Italia all’estero ormai si vede poco. È davvero così?

Noi siamo usciti dallo schermo internazionale, se non per fatti folcloristici. E questo non è certo positivo per il nostro Paese.

L’architetto Renzo Piano, in un’intervista al “Corriere”, afferma che l’Italia si sta facendo del male da sola. Ha ragione?

Renzo Piano è un grande architetto. E, di solito, è di una grande onestà intellettuale.

Tornando all’ex confine nordorientale. La Slovenia fa passi da gigante, il porto di Capodistria corre, il regime fiscale è assai più vantaggioso. Come può il Friuli VeneziaGiulia fronteggiare la concorrenza? Il federalismo fiscale è una soluzione?

Scusi la franchezza, ma potrò dare una risposta sul federalismo fiscale solo quando saprò cos’è, perché per ora se ne parla in termini assolutamente astratti e generici. Per ora, piuttosto, vedo con dolore che non si realizza la sinergia tra i porti di Trieste, Capodistria, Fiume e Venezia, che non si coglie la grande occasione di costruire un grande porto per l’Europa centrale. È quasi passato sotto silenzio l’accordo tra la Cina e il Pireo ma quell’accordo può rendere molto, molto più difficile l’ascesa di Trieste e di tutti i porti del Nord Adriatico.

Unicredit ha presentato un progetto di “superporto“.

Lo so.

Che ne pensa?

Che le cose bisogna metterle in atto. Trieste ha fondali meravigliosi, ha grandissime carte in mano ma deve giocarle, e deve riorganizzare i rapporti con gli altri porti.

Dall’incontro dei tre Capi di Stato a Trieste alla visita di Gianfranco Fini a Pola e Zagabria, la riappacificazione tra le due sponde dell’Adriatico si può dire definitivamente compiuta?

Penso proprio di sì. Non penso ci siano più elementi che impediscano una riappacificazione doverosa e a vantaggio di tutti.

Oggi, a Nova Gorica, il sindaco di Gorizia non ci sarà, ufficialmente a causa di un impegno pregresso. Ma c’è chi teme che l’assenza sia politica e il gap tra le due città non ancora colmato.

Non sono in grado di giudicare. Posso solo dire che spero che l’assenza non sia dovuta a scelte politiche.

Dal 2003 al 2008, a condividere “in loco” le sue battaglie sull’apertura ai Balcani, c’era Riccardo Illy. Lo sente o lo vede ancora?

Ho lavorato sempre molto bene con Riccardo. Non l’ho più visto, ma ci siamo sentiti e spero ci sentiremo ancora.

Illy si è ritirato dalla politica. Lei pure. Non è un peccato?

Non mi volto assolutamente indietro. Sto facendo cose che mi assorbono completamente e mi danno grande soddisfazione. Allora, certo, sarei rimasto volentieri: non mi sono ritirato dopo una vittoria ma dopo una sconfitta in Parlamento. Ma adesso, con coerenza, seguo la mia decisione in modo da lasciare spazio alle nuove generazioni.

Da tempo non parla di Berlusconi, Pd, Pdl e politica italiana. Quando tornerà a parlare?

Il problema non è quando. Ma se.

Un pronostico?

Non certo in un futuro prevedibile.


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Dati dell'intervento

Data
Categoria
ottobre 15, 2010
Interviste