Italia e concorrenza UE: la rincorsa necessaria sul mercato dell’auto

Concorrenza Ue – La rincorsa necessaria sul mercato dell’auto

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 10 giugno 2023

La rivoluzione nell’industria dell’auto procede a marce forzate. Le decisioni per metterla in atto si susseguono ad un ritmo velocissimo, con una concentrazione quasi esclusiva verso l’ elettrico, accompagnata da pur discutibili norme che prevedono il pensionamento obbligatorio della produzione dei motori a diesel e a benzina.

Nella scorsa settimana, in coerenza con questa strategia, è iniziata, con la massima solennità, la costruzione di un mega stabilimento di batterie nel nord della Francia da parte di un consorzio franco-tedesco formato da Stellantis, Total e Mercedes. Mega stabilimento significa un impianto lungo più di seicento metri e largo cento: una fabbrica immensa. In contemporanea è stato dato inizio alla costruzione di uno stabilimento gemello in Germania.

Nella solenne cerimonia, a cui, insieme a tre ministri francesi e un rappresentante del governo tedesco, ha doverosamente partecipato anche il ministro del Made in Italy che, nonostante la sua qualifica, non può essere ritornato a Roma entusiasta.

Nello stesso tempo, il governo spagnolo ha presentato un piano di riorganizzazione del settore dell’auto che, coinvolgendo oltre trecento imprese, prevede la costruzione di due grandi impianti di batterie, mentre cinque sono previsti in Ungheria e altri sparsi per l’Europa. Nel frattempo vi è notizia che la cinese Byd, oggi il maggior produttore di auto elettriche del mondo, stia trattando per la localizzazione di impianti di batterie con Francia, Spagna, Repubblica Ceca e Polonia, ma non con l’Italia, anche se questo gigante produttivo, nella sua infanzia di piccola impresa, era cresciuto in attiva collaborazione con un socio italiano.

Se il futuro del nostro settore automobilistico si presenta con questo quadro così grigio, il presente non è meno preoccupante. Un anno fa osservavo con tristezza che nel decennio precedente eravamo passati dal terzo al settimo posto tra i costruttori europei. Oggi dobbiamo constatare che siamo regrediti di un’altra posizione, superati anche dalla Romania.

Pur essendo il secondo paese industriale d’Europa e secondo nella produzione di componenti per le automobili, la nostra posizione nella produzione di vetture è ora al di sotto del mezzo milione di unità. Cioè quasi niente rispetto alla dimensione del mercato europeo.

Osservando più a fondo il problema, dobbiamo constatare che siamo stati messi in angolo sia dai paesi che hanno un costo del lavoro molto più elevato del nostro, come la Germania e la Francia, sia da paesi con salari inferiori, come l’Ungheria e la Romania.

Il Consigliere delegato di Stellantis ha, con onestà intellettuale, ammesso che i nostri salari sono assai inferiori a quelli francesi o tedeschi, ma ha aggiunto che i costi italiani sono troppo alti a causa del prezzo dell’energia e della cattiva organizzazione del lavoro.

D’accordo sul pur limitato svantaggio nel costo dell’energia ma, per quanto riguarda l’organizzazione, dobbiamo ammettere che non si potrà mai avere un’elevata produttività degli impianti se questi non lavorano a piena capacità.

I nostri impianti residui, a differenza di quelli degli altri paesi, sono attualmente dominati dalla cassa integrazione: producendo sempre meno, hanno evidentemente costi più alti per unità di prodotto. Quando, “ormai più di cent’anni fa”, spiegavo ai miei studenti queste situazioni, ero costretto ad adottare il termine anglosassone di senility effect, cioè del fatale declino di un’impresa quando la diminuzione della produzione ne indebolisce progressivamente la presenza nel mercato.

In questo caso l’impresa Stellantis sta andando benissimo, ma sono i centri di ricerca e le fabbriche italiane che, salvo qualche eccezione, sono entrate in questa fase di pericoloso declino. Non serve certo, come recentemente è stato proposto, fare entrare il governo Italiano come azionista di Stellantis alla pari con il governo francese.

Questo poteva essere forse utile nel momento della fusione ma oggi, per essere efficace, l’entrata dell’Italia nel capitale aziendale dovrebbe essere accompagnata da cambiamenti nella “governance” aziendale che non sono nemmeno ipotizzabili.

E’ invece possibile e doveroso, come hanno fatto altri paesi, preparare un progetto auto dell’Italia. Un progetto fornito delle necessarie risorse e di una “task force” dedicata a riorganizzare, reindirizzare e diversificare l’industria componentistica italiana oggi esistente e a trattare con tutti i potenziali investitori del settore auto che, in conseguenza degli enormi cambiamenti delle tecnologie e dei mercati, sono intenzionati a investire nel mercato europeo.

E’ chiaro che quando si interviene a processo già iniziato, le possibilità di successo sono minori, ma è altrettanto vero che, in termini di costi e produttività, stiamo dimostrando, in molti campi, di avere capacità concorrenziali di gran lunga superiori alla nostra immagine.

Se abbiamo mantenuto (e in molti casi guadagnato) quote di mercato in tanti settori dell’industria meccanica non vedo perché non dovremmo essere in grado di farlo nell’automobile.

Deve essere infatti chiaro a tutti che, spinta dalla benzina, dall’elettricità o dall’idrogeno, l’automobile rimarrà ancora a lungo uno strumento di importanza fondamentale per il funzionamento della nostra società. Non dovremo perciò continuare a mantenere la posizione irrilevante che abbiamo oggi.

 

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