Trump e Sanders: anche gli USA corrono dietro a uomini della provvidenza e a promesse impossibili

Il caso Trump – In democrazia non ci sono uomini della provvidenza

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 maggio 2016

Non nego di essere stato inizialmente sorpreso dalla progressiva affermazione di Donald Trump alle primarie americane. Cominciata la campagna in modo quasi quasi folcloristico, il candidato miliardario ha guadagnato punti su punti fino a superare, negli ultimi confronti, i due terzi dei voti. Tutto questo è avvenuto senza che Trump abbia mai moderato le sue tesi esasperate e le sue espressioni verbali così paradossali da sembrare quasi impronunziabili dalla bocca di un qualsiasi politico americano, ma ancora più dalla bocca di un rappresentante del Partito Repubblicano che ha principalmente sostenuto le proprie tesi con atteggiamenti moderati e conservatori.

Non è difficile elencare le provocazioni della campagna di Trump, provocazioni che vanno dai ripetuti richiami razzisti agli insulti alle donne, dalle violente posizioni nei confronti degli immigrati alle insinuazioni senza fondamento contro i propri competitori. Senza contare le proposte di politica economica, fra di loro contraddittorie e sempre mancanti di ragionevoli riscontri quantitativi.

Eppure Trump ha vinto. E ha vinto nonostante la contrarietà di tutto l’establishment del suo stesso partito.

Ha vinto perché ha interpretato, anche se con accenti volgari ed istintivi, le angosce e i problemi di tanti americani, soprattutto di un ceto medio impaurito dalla globalizzazione e dal l’immigrazione e per i due terzi convinto che i passati governanti ed i partiti tradizionali avevano operato solo in favore dei ricchi e non si erano curati dei problemi della gente comune. Trump è stato portato in trionfo da un ceto medio impaurito dalla concorrenza del terzo mondo, dal declino dei salari, dalle insicurezze per il futuro, dalla decadenza delle infrastrutture pubbliche ma anche ( e forse soprattutto) dal peso umano e finanziario di una serie di guerre ritenute del tutto inutili.

Senza proporre alcun ragionevole programma alternativo,Trump si è fatto paladino della lotta contro tutte queste paure che, pur essendo tante e così grandi, non trovavano risposta nella piattaforma di alcun rappresentante della politica tradizionale.

Un simile radicalismo e un’identica opposizione all’establishment, anche se in direzione del tutto opposta, ha reso possibile un’inattesa affermazione del candidato di sinistra Bernie Sanders che sta insidiando il primato di Hillary Clinton non solo definendosi socialista ( cosa che in passato lo avrebbe avvicinato più alle patrie galere che alla Presidenza americana) ma portando avanti tesi che, prese tutte assieme, non sono al momento compatibili con qualsiasi equilibrio di bilancio.

Sanders ha infatti promesso non solo sanità pubblica per tutti ma una più equa distribuzione dei redditi, il raddoppio del salario minimo e il college gratuito per tutti gli studenti. Il che deve mettere in guardia Hillary Clinton perché se, come spesso avviene, i due radicalismi almeno in parte convergeranno, la sua elezione correrà molti rischi.

Demagogia e populismo hanno guidato questa prima fase della campagna elettorale. Un processo certamente nuovo per gli Stati Uniti. A ben guardare si tratta invece di un’imitazione di quanto è già da tempo avvenuto in Europa, dove la caduta dei partiti tradizionali si è incontrata con una crisi senza fine dell’economia ed il ceto medio non solo ha visto diminuire il livello salariale ed aumentare la precarietà ma la disoccupazione e le migrazioni hanno iniettato negli elettori paure ed insicurezze perfino superiori a quelle degli americani.

Da tempo i movimenti alternativi ai partiti tradizionali hanno conquistato spazio in Francia, in Italia, in Gran Bretagna ed in Spagna. Come conseguenza della paura per le migrazioni, questo fenomeno si è ora esteso alla Germania che ne era rimasta quasi immune soprattutto perché le ansie degli elettori tedeschi erano state messe in secondo piano per effetto del migliore andamento dell’economia e dal ruolo di guida che la Germania aveva assunto in Europa.

Al di là delle sue “americanate” Trump non è quindi un caso atipico dell’evoluzione dei nostri sistemi democratici. È un ulteriore segnale d’allarme della crisi dei partiti tradizionali e della loro difficoltà di affrontare la crescente complessità dei problemi delle nostra società. E del progressivo indebolimento di corpi intermedi che sempre aiutano a considerare i problemi collettivi in modo più rispondente all’interesse generale. Di fronte a queste inadeguatezze gli elettori sono sempre più disposti a consegnare il loro futuro nelle mani di demagoghi capaci di rendere credibili anche le più impossibili soluzioni.

Su entrambe le sponde dell’Atlantico siamo di fronte ad un indebolimento delle strutture democratiche, malamente sostituite dalla ricerca di uomini della Provvidenza che, pur non avendo niente in mano, sono però abilissimi nell’alimentare impossibili promesse per il futuro.

Il caso Trump non è quindi nulla di sostanzialmente nuovo. È tuttavia un ulteriore grave segnale d’allarme per la democrazia.

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maggio 22, 2016
Articoli, Italia

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