Primato tecnologico: una task force per attirare investimenti

Primato tecnologico – la task force che occorre per attirare investimenti

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 04 luglio 2021

Da qualche settimana ci sentiamo un poco più sollevati. Le cose vanno infatti migliorando sia sotto l’aspetto sanitario che sotto l’aspetto economico.

Tutto questo non ci impedisce di cercare di capire se, e a quali condizioni, questi miglioramenti potranno rafforzarsi e, soprattutto, durare nel futuro.

Naturalmente non mi soffermo su quanto dobbiamo fare nel campo sanitario e nella politica della vaccinazione: non è il mio mestiere e, inoltre, su questo è già stato detto tutto (e forse qualcosa di troppo).

Il sentimento di ottimismo nei confronti dell’economia italiana si è invece soprattutto limitato a porre l’accento sul miglioramento delle previsioni di crescita per l’anno in corso e ad aggiungere fondate speranze che le cose andranno bene anche nel prossimo anno.

Il tutto basato su corrette analisi delle conseguenze dell’ondata di fondi pubblici che sta fertilizzando l’economia americana ed europea e dell’enorme aumento di disponibilità finanziarie dovute alla moltiplicazione dei depositi nelle banche di entrambi i continenti, senza contare la straordinaria crescita dell’export e del mercato interno cinese.

Su questi temi ritorneremo con analisi più accurate in seguito, ma oggi voglio sottolineare come, di fronte alla tanta attenzione rivolta al breve periodo, non si stia dedicando altrettanta energia nel definire e preparare le strutture e le decisioni necessarie per mettere in atto le trasformazioni radicali delle quali il nostro sistema produttivo ha bisogno per aumentare efficienza e produttività.

Gli operatori economici italiani hanno invece necessità di sapere verso quali specifici e particolari settori si dirigeranno gli incentivi pubblici, quali produzioni avranno le maggiori prospettive di penetrare nei mercati mondiali del futuro, e come incentivare le trasformazioni necessarie perché i nostri distretti industriali possano adattarsi a quanto avviene al mondo.

Il lodevole PNRR presentato e approvato da Bruxelles non può essere solo accompagnato dalle necessarie e urgenti riforme delle nostre strutture pubbliche, ma deve essere completato dalla formulazione di una strategia dei singoli settori produttivi, così da trasformare in modo radicale la nostra economia.

Si tratta non solo di formulare una politica industriale preparata da esperti e dai responsabili di tutti i ministeri interessati, ma di preparare paralleli progetti dedicati all’agricoltura, al turismo e ai servizi.

Quest’inizio di ripresa non può limitarsi a concentrare il dibattito nel semplice elenco della distribuzione dei soldi disponibili, ma deve proporre concrete e analitiche scelte di lungo periodo, comprese le scomode decisioni sulle priorità e, di conseguenza, sui settori e progetti non ritenuti prioritari.

Se si parte con un inflessibile coordinamento fra i ministeri e fra i ministeri e gli altri decisori politici, quest’essenziale compito può essere rapidamente messo in atto, dato che i cassetti delle varie amministrazioni sono pieni di documenti contenenti le conoscenze necessarie per prendere rapidamente le doverose decisioni.

Abbondiamo infatti di analitici progetti su tutti i singoli settori industriali e sui servizi, fino ad arrivare a un mai attuato, ma completo piano per lo sviluppo del turismo.

In questi giorni, oltre a parlare di soldi, si ripete continuamente che, nel nostro sistema produttivo, tutto deve cambiare.

Le fonti del cambiamento non nascono solo da quanto illustrato in precedenza, ma dalla messa in atto di legami sempre più stretti con i sistemi produttivi degli altri paesi.

Negli ultimi anni questi legami si sono concentrati soprattutto nell’acquisto delle nostre imprese da parte degli investitori stranieri, che solo raramente hanno scelto l’Italia per costruirvi nuovi impianti (i così detti Greenfield).

Non riflettiamo mai che, con il cambiamento della concorrenza in corso, sono già cominciati i processi decisionali per stabilire in quale paese europeo si localizzeranno gli impianti e i centri di ricerca americani o asiatici che, necessariamente, dovranno essere trasferiti in Europa.

Purtroppo noi italiani non abbiamo più alcuna grande impresa capace di fare sentire la propria voce negli oligopoli mondiali nei quali sono prese le nuove decisioni.

È quindi necessario che venga costituito dalla Presidenza del Consiglio un ristretto gruppo di operatori ed esperti che si occupi esclusivamente di portare in Italia gli investimenti esteri di media e alta tecnologia.

In molti di questi campi abbiamo una risorsa purtroppo formidabile, che è la disponibilità di tecnici e specialisti non certo inferiori a quelli tedeschi e francesi (tanto è vero che li vengono sempre più a reclutare in Italia) ma con un costo del lavoro ormai fortemente (insisto con l’avverbio fortemente) inferiore.

Non vi è alcuna ragione economica perché i nuovi impianti di semiconduttori, di batterie o di intermedi farmaceutici non debbano arrivare in Italia, non solo portando nuova tecnologia, ma spingendo tutto il nostro sistema produttivo verso nuove frontiere.

Il prestigio di Draghi può permettere di istaurare quel dialogo con i grandi protagonisti stranieri che la nostra frammentaria struttura produttiva non è in grado di portare avanti.

A condizione, naturalmente che il Presidente del Consiglio disponga di un piccolo e raffinato numero di analisti a questo dedicati e si serva di un suo molto autorevole rappresentante personale che, viaggiando per tutto il pianeta in modo indefesso e direttamente da lui seguito, presenti ai grandi decisori il nuovo volto del nostro paese.

Non è un volto perfetto, ma molto migliore di quello che viene comunemente dipinto.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
luglio 4, 2021
Articoli, Italia

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