Ombre sulla crescita: salari e gas, i due nodi da scogliere dopo il voto
Ombre sulla crescita – Salari e gas, i due nodi da sciogliere in autunno
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 31 luglio 2022
All’inizio delle ferie estive è buona abitudine fare il punto sull’economia e su cosa ci si può aspettare quando riprenderà la vita normale. Quest’analisi, di solito, si conclude constatando che le cose sono andate peggio del previsto, ma che andranno certamente meglio in futuro. Quest’anno, mentre sta iniziando il mese di agosto, ci troviamo in una situazione sostanzialmente opposta.
Nonostante la pestilenza, l’inflazione e la guerra, il PIL italiano, nell’anno in corso, crescerà del 3,5%, quindi assai più di ogni previsione precedente e, finalmente, al ritmo dei paesi più virtuosi dell’Unione Europea. Si può anche aggiungere che, nelle ultime analisi del Fondo Monetario Internazionale, l’Italia risulta essere l’unico paese membro dei G7 per cui sono migliorate le precedenti previsioni. L’inflazione è alta e preoccupante (7,9%) ma, comunque, inferiore a quella dei nostri vicini europei (8,9%) e altrettanto rispetto agli Stati Uniti.
In misura ugualmente sorprendente i risultati semestrali delle imprese sono buoni e i bilanci delle banche non solo positivi, ma anche con rischi di insolvenza decisamente inferiori a quelli del passato.
Di conseguenza il debito pubblico, che resta il punto più nero della nostra economia, non raggiungerà (come era invece previsto) il 160% del PIL, ma si fermerà intorno al 145%, cifra pesantissima ma non come si prevedeva.
Questi dati di miglioramento non sono certo dovuti al caso ma, come ha ripetuto il Ministro dell’Economia, sono prima di tutto il frutto di un incremento della domanda interna dovuto all’aumento del potere d’acquisto che il governo Draghi ha messo in atto utilizzando massicciamente le risorse europee generate dal PNRR. Le nostre esportazioni hanno inoltre beneficiato di un livello salariale sensibilmente inferiore a quello francese e tedesco.
In sintesi: una corretta gestione del denaro pubblico, con una iniezione di potere d’acquisto pari all’1,8% del PIL, la tenuta della produzione industriale, la competitività dei prezzi e l’inattesa ripresa del turismo hanno permesso di porre rimedio al cattivo andamento dell’annata agraria e alla crescita del processo inflazionistico.
Naturalmente, con quest’analisi, non si vuole dire che tutto vada bene. Lo spread resta alto, molti tra i nostri migliori ragazzi continuano ad emigrare, le disparità sociali non diminuiscono, l’evasione fiscale e il numero degli Italiani in povertà assoluta sta crescendo. Si può comunque riconoscere che, almeno in termini relativi, abbiamo posto le premesse per risalire nella classifica dei paesi europei.
Se il presente ci ha dato qualche segno di sollievo, il dopo ferie ci offre invece una serie di preoccupazioni.
Dal punto di vista generale, l’aumento dei tassi di interesse, perseguito in modo massiccio dagli Stati Uniti e forzatamente seguito, anche se in misura più modesta, dalla Banca Centrale Europea, non può che rallentare la corsa dell’economia mondiale.
Negli Stati Uniti abbiamo già due trimestri con segno negativo mentre, in Europa, questo rallentamento sta assumendo un pesante significato simbolico con la crescita zero della Germania, paese verso cui si dirige una parte cospicua delle nostre esportazioni. A questo si aggiungono le tensioni politiche che, a partire dalla guerra di Ucraina ed estendendosi alle relazioni fra le grandi potenze, tendono a frammentare l’economia mondiale e a invertire i processi di globalizzazione che, pur con i loro indubitabili limiti, avevano tuttavia contribuito a frenare l’aumento dei prezzi negli ultimi decenni.
La lotta all’inflazione continuerà quindi a produrre i suoi effetti depressivi, anche se il contesto più recente ha mostrato un accenno di calo delle quotazioni dei cereali, del petrolio e di alcune materie prime, mentre stanno lentamente rientrando nel mercato componenti e semilavorati in precedenza non reperibili. Fenomeni ancora limitati, che sono più la conseguenza di un rallentamento della domanda che non dell’aumento dell’offerta.
Essi, comunque, dimostrano che il processo inflazionistico può essere attenuato prima che il freno finisca col produrre la temuta stagflazione, cioè un ristagno generale dell’economia in presenza di un’elevata inflazione.
A questo si aggiungono altri due punti interrogativi.
Il primo riguarda il gas che è usato dalla Russia come nel gioco del gatto contro il topo, con restrizioni mirate a limitare le quantità consegnate e ad aumentarne i prezzi, con la continua minaccia che le restrizioni si trasformino in un blocco totale delle forniture.
Il secondo punto interrogativo riguarda la necessaria politica di aumenti salariali. Dico necessaria perché la crescita del costo della vita, anche se attenuata dai sussidi governativi, supera in molti casi il livello tollerabile da parte delle famiglie. Aumenti tuttavia gestibili perché lo stesso problema si sta presentando ovunque.
Le ombre del prossimo autunno sono quindi tante e, come purtroppo capita troppo spesso nel nostro paese, terribilmente accresciute dall’incertezza politica di un’elezione che potrebbe mettere a rischio i miglioramenti resi possibili dalla solidarietà europea, che ci ha permesso di non essere travolti dalle turbolenze in corso.