Lavoro: nuovi modelli organizzativi se la vita privata viene prima della carriera

Ripensare il lavoro – Se la vita privata viene prima della carriera

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero dell’ 11 settembre 2022

I tempi stretti di una campagna elettorale non consentono certo di affrontare in modo adeguato le trasformazioni che, con velocità accelerata dal Covid, stanno investendo il mondo del lavoro.

Tuttavia, se è comprensibile che i confronti elettorali si concentrino sugli aspetti che già da tempo esercitano conseguenze concrete sulla nostra società, come la precarietà, la disoccupazione giovanile, le disuguaglianze retributive, la sicurezza degli ambienti di lavoro e l’incertezza sul futuro del sistema pensionistico, bisogna fin da ora riflettere sul fatto che, in una parte crescente delle nuove e meno nuove generazioni, il concetto stesso di lavoro sta velocemente e profondamente cambiando.

Un cambiamento che, quando ha cominciato a prendere forma poco più di dieci anni fa, un rapper canadese ha tentato di interpretare con l’acronimo inglese Yolo (You Only Live Once). Quando l’ho sentito la prima volta mi è sembrato semplicemente una provocazione, o meglio la semplice ripetizione di un concetto, non certo nuovo, dell’antico “carpe diem” che, tradotto in italiano, ci ricorda che si vive una volta sola.

Questo slogan, che sembrava rimanere tale, ha invece segnato l’inizio di un progressivo cambiamento nelle priorità delle scelte e dei modelli di vita di un numero sempre più grande di persone. La realizzazione di se stessi non viene più ricercata nel lavoro, ma nell’organizzazione della propria vita.

Lo stipendio, la carriera e la stabilità del posto di lavoro vengono messi in secondo piano di fronte all’esigenza più personale di essere padroni della propria quotidianità.

Ne consegue una spinta sempre più diffusa verso una vita che permetta rapporti famigliari più facili, una maggiore autonomia decisionale,  luoghi di lavoro meno tradizionali, orari flessibili e un’attività professionale che tenga maggiormente conto delle diverse attitudini e dei diversi obiettivi degli individui.

Da un certo punto di vista si può pensare che tutto questo sia solo il proseguimento della plurisecolare tensione per il miglioramento del mondo del lavoro. Vi è invece una differenza fondamentale:  questo miglioramento non è più visto come un obiettivo corale (lavoratori di tutto il mondo unitevi), ma come un traguardo personale, con tutte le conseguenze sul modello operativo dei sindacati e sul modello organizzativo delle imprese.

Tutto questo, almeno nelle società più avanzate, si traduce in un forte aumento della mobilità e, con sempre più frequenza, in un crescente numero di dimissioni, nella ricerca di nuove motivazioni.

Il fenomeno sta assumendo quantità del tutto inattese sia in molti paesi europei che negli Stati Uniti, dove il numero degli impiegati che non torna in ufficio, dopo l’esperienza del lavoro a distanza obbligato dal Covid, sta aumentando in modo inatteso anche nelle imprese più raffinate. Un fenomeno per cui è stato coniato il termine di “great resignations”, cioè di dimissioni di massa, a volte dirette verso la ricerca di un lavoro più individuale e a volte generate da una semplice rinuncia. Una rivoluzione che parte dagli uffici, ma che attraversa tutto il mondo del lavoro, dai ristoranti alle fabbriche, dagli addetti alle palestre agli autisti dei Tir.

Un fenomeno a cui le imprese della Silicon Valley cercano di porre un limite introducendo speciali benefici non solo con orari più flessibili e complicate alternanze fra lavoro a distanza e lavoro in ufficio, ma anche con supplementi salariali per le spese di viaggio, pasti gratuiti e intervalli di socializzazione sul luogo di lavoro, fino alla possibilità di portarsi in ufficio i propri animali domestici. In fondo il modello di lavoro che si svolgeva obbligatoriamente a distanza durante il Covid era molto più semplice del modello ibrido post-Covid, che deve comporre e conciliare tante esigenze diverse.

Tutto questo apre inoltre la prospettiva, e credo la necessità, di una crescente divisione, anche salariale, tra chi ricopre mansioni che possono essere esercitate con questa nuova flessibilità e personalizzazione e coloro che, tanto nelle fabbriche quanto nei servizi, sono invece obbligati a seguire i ritmi di un’organizzazione o di una tecnologia che fatica a tenere conto di queste nuove esigenze. Il mondo del lavoro deve quindi vestirsi non con indumenti standardizzati, ma con abiti su misura, una misura attenta a non riprodurre le eccessive disuguaglianze che abbiamo messo in atto nella scorsa generazione.

Non pensiamo che l’Italia sia esente da questa tacita rivoluzione. La scarsità di offerta di mano d’opera che si è manifestata nell’attuale fase di ancora alta disoccupazione è stata certamente incentivata dalle forme di sussidio pubblico, ma il Reddito di Cittadinanza, che pure deve essere modificato soprattutto nella parte che riguarda l’avvio al lavoro, non spiega certo la vastità di un fenomeno che non solo sta assumendo dimensioni non previste, ma che molto crescerà anche in futuro.

Oggi, per costrizione o per scelta, i sindacati e i datori di lavoro (privati o pubblici) operano sui binari del presente, ma si troveranno presto obbligati ad affrontare questa nuova realtà, che esige un cambiamento nel modo di operare non solo dei lavoratori, ma anche dei datori di lavoro.

Se così stanno le cose mi sembra giunto il momento che, con la partecipazione degli uni e degli altri, si costituisca un gruppo di lavoro di alto livello per affrontare subito le possibili conseguenze di questi cambiamenti, che obbligano a regole e comportamenti più partecipativi e, nello stesso tempo, più flessibili.

Le nuove esigenze e i nuovi orientamenti della società esigono infatti radicali cambiamenti nelle tecnologie e nei modelli organizzativi, cambiamenti che ancora non conosciamo.

Sono infatti convinto che da questa rivoluzione in corso non si tornerà indietro e penso che queste svolte della storia debbano essere affrontate in anticipo e non dopo i conflitti che, oltre a produrre danni, rendono molto più difficile trovare le necessarie soluzioni.

 

 

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