La scissione nel Pd sarebbe un suicidio

Il professore a Brescia
Prodi al San Barnaba: un «suicidio» la scissione del Pd
Non ha concesso nulla alla platea gremita del San Barnaba e ai microfoni dei cronisti che lo assediavano ha rilasciato un lapidario: «La scissione nel Pd sarebbe un suicidio»

Articolo di Massimo Tedeschi su Il Corriere della Sera del 22 febbraio 2017

Dal «padre» dell’Ulivo, ieri a Brescia, tutti aspettavano una parola sulle convulsioni del Pd. Romano Prodi non ha concesso nulla alla platea gremita del San Barnaba e ai microfoni dei cronisti che lo assediavano ha rilasciato un lapidario: «La scissione nel Pd sarebbe un suicidio». Un modo, comunque, per «gelare» le aspirazioni degli scissionisti che nel nome del nuovo partito vorrebbero evocare l’Ulivo prodiano.

Il professore, invitato dalla Fondazione Calzari Trebeschi rappresentata da Mario Bussi (ma anche dalla Cooperativa cattolico democratica, dal Comune di Brescia e dalla Fondazione Asm) ha aperto ieri il ciclo di incontri sul «Disordine globale». Titolo azzeccatissimo, ha premesso, visto che «se non sei confuso vuol dire che non hai capito niente».

Eppure alcuni fenomeni sono evidenti. Ad esempio la crisi delle democrazie: «Oggi il mondo sta volgendo lo sguardo all’autoritarismo». Prodi snocciola i casi di Cina, India, Filippine, Turchia, Russia e Stati Uniti. La democrazia avanza in Africa «ma molti presidenti, una volta eletti, si sentono padroni del Paese». Insomma, solo l’Europa è «immune da questo processo». Alla radice di tale svolta c’è, secondo Prodi, «una gestione sbagliata della globalizzazione» che ha diffuso «la paura dell’immigrato, della concorrenza cinese, della globalizzazione».

Fenomeni di fronte ai quali «è mancato il governo collettivo e l’Onu è debolissimo: l’insediamento del nuovo segretario sui giornali italiani non ha lasciato traccia». Fra gli effetti sociali di questa gestione sbagliata della globalizzazione c’è poi «la caduta della classe media», l’allargarsi della forbice fra ricchi e poveri. Da Reagan e Thatcher in poi «chi parla di tasse perde le elezioni, lasciatelo dire a me che lo so bene» ironizza Prodi alludendo alla sua vittoria dimezzata del 2006. Eppure il tema fiscale è gigantesco: «La Gran Bretagna dopo la Brexit promette di trasformarsi in un paradiso fiscale, ma già oggi c’è un paradiso fiscale in Europa ed è l’Irlanda: l’Unione europea ha imposto ora all’Irlanda di far pagare a Apple 13 miliardi di tasse, ma Dublino si oppone. Eppure Apple ha 250 miliardi di utili netti».

Prodi invita a essere prudenti a giudicare le mosse di Trump, che peraltro rispecchiano una visione globale chiara, secondo cui esistono due sole grandi potenze (Usa e Cina) e l’Europa è marginale.

In tutto questo che futuro ha il vecchio continente? Prodi sottolinea che l’Europa è numero uno al mondo per produzione e export, e compete ad armi pari con gli Usa per il Pil. Eppure è uscita indebolita dalla crisi, con uno slittamento di poteri dalla Commissione (l’organismo politico unitario) al Consiglio (la somma degli Stati), dove il potere tedesco è aumentato di pari passo con l’indebolimento francese e l’uscita della Gran Bretagna. Prodi difende l’allargamento dell’Ue a dieci Paesi del 2004 («l’unico caso riuscito di esportazione della democrazia») e ricorda il ruolo nella pacificazione del continente («dall’impero romano a oggi non c’erano mai state tre generazioni di seguito che non avessero conosciuto la guerra»).

L’Europa ha bisogno però di avere un proprio esercito e una propria politica estera, ad esempio cessando le sanzioni anti-Russia fatte in obbedienza agli Usa. L’ex commissario Ue dice sì all’idea di un’Europa a due velocità evocata dalla Merkel. Certo i punti di debolezza sono molti, a partire dal «disastro demografico» in cui versano tanti Paesi a cominciare dall’Italia. Ma non mancano i punti di forza (il welfare diffuso) e le necessità (una dimensione sufficiente per competere sullo scenario globale, governare i problemi mediterranei, aiutare l’Africa).

Il professore evoca «la necessità di avere leaders che si mettono a rischio, che hanno sguardi lunghi e non misurano tutto sul metro del prossimo test elettorale locale». La platea applaude. E pensa, un poco, anche al Pd.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
febbraio 22, 2017
Articoli, Italia