Il “rinascimento cinese” guarda all’Europa per il passato ma guarda agli USA per il futuro

Crisi e occasioni perse

 

La Cina chiama, l’Europa tace

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 18 Settembre 2011

L’unione Europea è il più grande importatore di beni dalla Cina, è una destinazione privilegiata degli investimenti cinesi ma non è un interlocutore politico del colosso asiatico. Le nostre divisioni, le nostre incertezze e le nostre ambiguità spingono sempre di più la Cina a immaginare il suo destino politico in un rapporto diretto e quasi esclusivo con gli Stati Uniti.

L’Europa esercita ancora un fascino particolare ed è di gran lunga la meta preferita di un immenso e crescente numero di turisti cinesi ma non è l’oggetto dei desideri dei giovani e non è la prima meta per gli studenti. Le nazioni europee, dopo avere deliberatamente ridotto la forza dell’Unione, cercano di ricostruire una propria politica autonoma, ma è uno sforzo impari, anche perchè la Cina non ritiene interlocutori credibili i singoli Paesi dell’Unione. Nemmeno la Germania è in grado di assumere questo ruolo, anche se la sua forza economica, superiore a quella di tutti gli altri Paesi europei, le ha permesso di esportare per 71 miliardi di euro nel 2010, con l’obiettivo di arrivare a 120 miliardi nel 2012.

Il paradosso tedesco è proprio questo; vista da Bruxelles la Germania è forse troppo grande per l’Europa ma vista da Pechino essa, pur con tutti i suoi successi, è certamente troppo piccola per il mondo. La Cina, quindi, guarda all’Europa per il passato ma guarda agli Stati Uniti per il futuro. Con attenzione e ammirazione  ma con molta preoccupazione. L’interlocutore americano è il padrone della scena anche se la Cina e la tranquillità futura del mondo preferirebbero un gioco a tre oggi e un equilibrio con ancora più protagonisti domani. La nostra assenza lascia cinesi e americani sempre più soli gli uni di fronte agli altri. Questo non è interesse di nessuno, nemmeno dei due grandi protagonisti della politica mondiale perchè il confronto a due sta facendo crescere una reciproca diffidenza che molto probabilmente porterà ad un pericoloso aumento della tensione fra di loro. Dal lato americano la Cina è la prima vera sfida dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Di fronte a questa sfida la società americana è divisa: una parte pensa che lo scontro sia inevitabile mentre un’altra parte è altrettanto convinta che una forma di accordo sia l’unica via per uscire stabilmente dalla crisi economica e politica. La Cina, a sua volta, conosce i propri limiti ed è consapevole di avere bisogno di molto tempo e di molta crescita per completare la propria modernizzazione, che i cinesi amano sempre più definire “rinascimento“, proprio per mettere in rilievo come questo processo non solo implichi una trasformazione di tutta la società cinese ma si proponga come il punto di riferimento per tutti gli altri Paesi in via di sviluppo.

L’obiettivo è molto ambizioso. Forse non è un obiettivo impossibile ma esige moltissimi anni di sviluppo continuo. Su questo sono tutti d’accordo; è sulla modalità di questo sviluppo che si snoda il dissenso fra chi pensa di dovere spingere al massimo la velocità della crescita e chi invece ne teme le tensioni e i pericoli. Un dibattito duro e appassionato il cui centro è, come sempre, il problema delle centinaia di milioni di cinesi che spingono per spostarsi dalle campagne alle città sommandosi alle altre centinaia di milioni che già vi abitano. con l’enorme costo che tutto questo comporta e con l’ancora più temuto rischio di crescenti tensioni sociali. La Cina oggi conta intorno al 20% della popolazione ma non arriva al 10% del reddito mondiale e non vuole e forse non può permettersi di rallentare il suo cammino verso il benessere, ma non si nasconde il rischio che questa corsa comporta. Essa cerca di fare quadrare il cerchio cominciando a costruire uno stato sociale che ancora non esiste e spostando gli investimenti verso le zone periferiche, ma è davvero una corsa difficile perchè uno sviluppo non lontano dal 10% all’anno comporta un aumento di produttività che può essere raggiunto solo se milioni di persone abbandonano i campi, dove il contributo alla produzione è trascurabile, e si dirigono verso le città. Intanto Pechino cresce di 700 mila abitanti all’anno e nonostante la vendita di automobili sia severamente razionata e siano in costruzione centinaia di chilometri di metropolitana, le condizioni del traffico sono ovviamente sempre più difficili e il costo dei servizi sempre più elevati. E insieme a Pechino si gonfiano le altre 160 città che hanno oltre un milione di abitanti e le 10 metropoli che superano i 10 milioni.

La Cina ha dimostrato di sapere andare veloce ma non sappiamo se sa stare in equilibrio andando piano. Venga fatta l’una o l’altra scelta una cosa è certa: la Cina ha bisogno di molti anni di sviluppo pacifico e teme più di ogni altra cosa una probabile escalation di tensione con gli Stati Uniti. Per questo motivo aveva molto contato su una saggia e forte presenza europea, capace di prevenire gli attriti fra i due giganti. Questa attenzione verso l’Europa si è affievolita fino a scomparire. Essa non può essere certo risvegliata dal pur formidabile attivismo economico della Germania.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
settembre 18, 2011
Italia