Fidel Castro: la speranza di un comunismo diverso

Cosa rischia la Disneyland della miseria

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 27 novembre 2016

È ovvio, ma tuttavia obbligatorio, scrivere che con la morte di Fidel Castro si chiude un importantissimo capitolo della storia contemporanea. Diventa invece complesso dare un definitivo giudizio su questo capitolo e ancora più complesso prevedere quale sarà il capitolo successivo. Riflettiamo un attimo sul passato.

Fidel ha preso il potere entrando vincitore ad Avana nel 1959 e lo ha trasferito a suo fratello Raul, di cui è rimasto influente consigliere fino alla morte, solo nel 2006. Un periodo di storia eterno, più lungo di qualsiasi altra dittatura.

Nel primo periodo successivo alla rivoluzione Fidel è stato un mito per un enorme numero di giovani idealisti di tutti i paesi del mondo. Portava infatti con se la speranza di un comunismo diverso, del tutto distante dalla rivoluzione cinese e dalla feroce e gelida dittatura dell’URSS.

Castro era nato come un democratico radicale, come Davide contro due diversi Golia: il dittatore Batista e il colosso americano. È diventato poi lui stesso dittatore, reprimendo ogni dissenso e trasformandosi nel tempo in un comunista vero, anche se protetto da temporanee aperture e perenni sorrisi.

Una trasformazione spinta all’interno dall’obiettivo di eliminare ogni opposizione e, all’esterno, dalla necessità di mantenere la propria autonomia di fronte al vicino americano, costantemente ostile nei confronti di Cuba. Questo anche per la grande influenza politica degli esuli cubani, determinanti nella gara elettorale della Florida e non solo della Florida. Castro ha convissuto in perenne conflitto con undici presidenti, da Eisenhower fino ad Obama e le tensioni sono state costanti e continue, con un alleggerimento soltanto nel periodo di Carter e un primo reale colloquio fra il fratello Raul e il presidente americano solo nel marzo di quest’anno. Un colloquio preparato da lunghi mesi di trattative sotto l’attenta guida della diplomazia vaticana. Alcuni osservatori, forse con una forzatura giornalistica, hanno collegato questa prima stretta di mano al fatto che Obama, da giovane studente avrebbe, in consonanza con la politica cubana, partecipato a manifestazioni in favore di Mandela e della fine dell’Apartheid in Sud Africa.

La continua tensione con gli Stati Uniti e, soprattutto, l’embargo americano all’importazione dello zucchero, sono stati determinanti nell’involuzione dell’economia cubana. In un primo tempo l’Unione Sovietica si è infatti sostituita agli Stati Uniti come importatore ma questo sostegno sempre più fragile e sempre più politicamente pesante si è definitivamente annullato con la fine dell’impero sovietico.

I limiti della politica economica cubana sono diventati sempre più evidenti nel tempo: la collettivizzazione dell’agricoltura ha fatto mancare il cibo in uno dei paesi potenzialmente più fertili del mondo e la politica sostanzialmente autarchica ha impedito ogni sviluppo industriale. I soli punti forti sono stati nel campo dell’istruzione e della sanità, tanto è vero che una delle principali risorse del paese è stata generata dalle forzate rimesse dei medici e del personale sanitario inviati dal governo cubano a lavorare nei paesi del terzo mondo, soprattutto nei paesi nei quali Cuba aveva sostenuto (anche con notevoli sforzi finanziari) i processi rivoluzionari. A questo proposito, mi viene spontaneo ricordare che, nei nostri colloqui, Fidel Castro mi ha soprattutto sottolineato, con l’analitica pedagogia che era propria di un Fidel divenuto anziano, gli sforzi e i successi ottenuti dal suo regime nel campo dell’istruzione e della sanità.

Castro lascia quindi un paese che, dopo cinquantasette anni di castrismo, è ancora esausto economicamente e vede un avanzamento solo nel settore del turismo, tanto da essere definito, pur da non imparziali osservatori americani, come una “Disneyland della miseria”.

Non è facile prevedere a questo punto che cosa accadrà in futuro. Le relazioni con gli Stati Uniti sono infatti migliorate ma la paura che un’apertura troppo rapida possa mettere il paese nelle mano del gigante americano è ancora la bussola della politica cubana. “L’impero non ci regala nulla” ripete continuamente Raul ed aggiunge che Cuba è capace di produrre da sola le cose di cui ha bisogno e che bisogna evitare le “precipitazioni e le improvvisazioni” che condurrebbero al fallimento. Si annuncia quindi una politica di cambiamento lentissimo, favorita anche dal fatto che gli eredi di Fidel appartengono ancora alla prima generazione del castrismo e non sono certo dei ragazzi, avendo Il fratello Raul 84 anni e il suo vice (José Ventura) 85.

Anche se il nuovo piano per i prossimi 15 anni prevede uno sviluppo dell’agro-industria, delle nuove tecnologie e della ricerca, il principale problema sarà quindi quello di trovare le risorse per mettere in atto questi obiettivi mantenendo l’autonomia dagli Stati Uniti, soprattutto dopo che è venuto a mancare il rifornimento di petrolio a basso prezzo dal Venezuela, che tanto ha aiutato l’economia cubana negli ultimi quindici anni.

Per questo motivo, anche nel caso cubano, è assai più facile riflettere sul passato che prevedere quello che avverrà in futuro.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
novembre 27, 2016
Articoli, Italia