Eurobond e sblocco delle imprese per impedire una crisi irreversibile

Dopo il caso Lagarde/ La cura giusta tra Eurobond e sblocco delle imprese

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 marzo 2020

La guerra più importante contro il Coronavirus la si combatte nei nostri ospedali e in tutto il Sistema Sanitario Nazionale che, pur con i suoi limiti ed i suoi problemi, si dimostra la migliore difesa anche di fronte all’attuale imprevista pestilenza.

A fianco di tutto ciò, per vincere questa guerra, sono state opportunamente decise restrizioni alla nostra vita quotidiana che mai avevamo sperimentato in precedenza.

Tutto questo incide in modo sempre più pesante sulla nostra economia perché si sono fino ad ora allungate, anche se in modo non ancora definito, le prospettive di durata del morbo.

Di fronte a un quadro così incerto non mi sento di esibire previsioni sul conseguente crollo del PIL e quindi sulla misura del deficit pubblico. Troppo lungo è purtroppo l’elenco dei settori per i quali è impedita, o pesantemente ridotta ogni attività. Ed è per riparare a questo immediato danno che si è evidentemente orientata la prima fase della politica del governo.

Non voglio entrare nei singoli provvedimenti che stanno per essere adottati in questa prima fase, salvo raccomandarne l’urgente messa in atto, almeno per evitare che la necessaria estensione della restrizione delle attività economiche si trasformi in fallimenti delle imprese e in conseguenti tragedie per le famiglie. La crisi in corso non parte infatti dalla finanza o dalle banche, ma tocca subito e direttamente lavoratori e aziende.

Sappiamo inoltre che, nel quadro in cui operiamo, le nostre risorse non bastano. La seconda fase della nostra politica economica antivirus deve essere perciò dedicata a promuovere una strategia europea per impedire una crisi irreversibile che oggi tocca noi ma che, fra meno di un paio di settimane, toccherà anche gli altri membri dell’Unione.

La scorsa settimana l’Europa ci ha inviato, su questo, messaggi ambigui. L’improvvida dichiarazione della Presidente della Banca Centrale Europea è riuscita, con una sola frase, a provocare un disastroso panico in tutti i mercati finanziari e un enorme danno specifico per l’Italia. La nomina di Christine Lagarde a presidente della BCE era stata accompagnata da un generale commento favorevole perché, nonostante la mancanza di una specifica preparazione tecnica, era ritenuta persona fornita di notevole sensibilità politica. Dopo la sua conferenza stampa mi auguro che essa abbia acquistato, nel frattempo, una buona capacità tecnica!

A questo infausto episodio sono opportunamente succeduti messaggi di corretta interpretazione della straordinarietà della situazione e di solidarietà nei confronti dell’Italia da parte della Presidente della Commissione Europea. A questa dichiarazione devono però seguire fatti concreti ed ancora una volta la Germania diventa il perno di ogni azione futura. Non sappiamo infatti se, nelle decisioni da prendere, la Germania si riconosca nelle dichiarazioni della Presidente della BCE, che il membro tedesco del Consiglio ha certamente ispirato, o nelle dichiarazioni della Presidente della Commissione, che il governo tedesco ha certamente approvato.

Una cosa è sicura: per salvare l’Unione Europea di fronte all’approfondirsi della crisi e alla sua espansione in tutti i paesi  non bastano più buone intenzioni o misure parziali, ma occorre un salto di solidarietà che, piaccia o non piaccia, passa solo attraverso l’istituzione degli Eurobonds.

Quest’obiettivo appariva necessario fin da quando è nato l’Euro: oggi non è più rinviabile.

Gli Eurobonds sono il segno strutturale della solidarietà e, in pari tempo, l’avvio della politica economica e della fiscalità a livello europeo che ancora mancano.

Esiste anche una terza sfida per il nostro governo: preparare un futuro nel quale l’Italia possa giocare, a differenza di quanto è avvenuto dopo la crisi del 2006-2008, un ruolo attivo e dinamico. Quest’epidemia cambierà infatti il comportamento delle imprese. Non credo ovviamente che la globalizzazione sia finita, perché sarebbe finito anche il nostro benessere.

Credo però che avrà caratteristiche molto diverse. Le imprese non potranno più dipendere da forniture o da prodotti che provengono da un solo paese o, in modo prevalente, da paesi troppo lontani da noi. Una maggiore divisione del rischio diverrà il comportamento comune di tutti gli operatori economici.

Se ne stanno accorgendo non solo le multinazionali americane, ma anche molti operatori europei che stanno progettando un seppur parziale “reshoring” (cioè un ritorno a casa) delle loro attività.

Mi permetto di ripetere l’assoluta urgenza che l’Italia prepari una strategia perché questo nuovo ciclo di investimenti tocchi finalmente il nostro paese. Abbiamo costi del lavoro ormai drammaticamente inferiori a quelli dei nostri maggiori concorrenti europei e abbiamo le enormi capacità produttive dimostrate dal nostro attivo della bilancia commerciale. Godiamo però di una sfiducia sistemica per i difetti delle nostre strutture burocratiche e giudiziarie.

È perciò prioritario, insisto nel ripeterlo ancora una volta, che il governo prepari un progetto con tutte le regole e gli incentivi necessari per cambiare il corso delle cose. Lo faccia subito, organizzando un ristretto gruppo di specialisti che cominci a operare immediatamente, iniziando fin da ora per via telematica.

Questo è il cammino che l’Italia deve percorrere e questo è il messaggio da inviare al mondo.

Ed è opportuno che questo avvenga oggi per darci qualche prospettiva positiva in un momento così buio, proprio come ci rasserena il fatto che, in questi stessi giorni, molti italiani si affacciano ai balconi per dimostrare che, insieme, possiamo superare anche le più gravi difficoltà.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
marzo 15, 2020
Articoli, Italia